tag:blogger.com,1999:blog-34985603223692392952024-03-06T01:50:01.605+01:00Fiori del Vaso ImproprioS'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.comBlogger141125tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-65858116094684802922022-10-28T19:36:00.004+02:002022-11-25T22:13:56.746+01:00Gabriella.0004 - L'assenso<p style="text-align: justify;"><span face="Arial, Helvetica, sans-serif" style="background-color: white; color: #500050; font-size: small;"><span style="color: black;"> (</span><a href="https://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.com/2022/02/gabriella0003-transitoriamente.html">Precedente</a><span style="color: black;">)</span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">Ciccio si svegliò sentendo che qualcuno lo stava pettinando, e vide la giovinetta che lo stava facendo.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Ciao. Che fai? Chi sei?”, lui chiese, e la ragazza rispose: “Mi chiamo Minna. Ho ceduto all’istinto felino di pettinare colui a cui voglio bene”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Col pettine e non con la lingua. Brava”, rispose Ciccio, che si guardò intorno e vide altre tre ragazze che stavano preparando la colazione.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Siete le ragazze in cui si è trasformata la mia gatta Gabriella?”, chiese Ciccio, e Minna annuì.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Come vi chiamate? Come ci siete riuscite?”, chiese Ciccio.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Io sono Anna”, disse quella che stava facendo il caffè; “Io sono Elisa”, disse quella che stava preparando dei panini con burro e marmellata; “Io sono Ida”, disse quella che stava tirando fuori dal frigo dello yogurt – e Minna spiegò: “Sappiamo anche leggere, non solo parlare. Così abbiamo letto stamattina la preghiera ad alta voce e siamo diventate umane”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“E come avete fatto ad imparare a fare la colazione?”, chiese Ciccio, e Minna rispose: “Ricordiamo tutto quello che abbiamo visto e sentito da quando nascemmo in forma umana nel 1078”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">Ciccio provò con un po’ d’imbarazzo a chiedere alle ragazze: “Ehm … perché non vi vestite?”</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Perché quando eravamo la tua gatta non ci siamo mai vestite. Ti turba?”, rispose Minna, e Ciccio ammise: “Frequento abitualmente campi nudisti, non ho il diritto di emozionarmi. Semmai … una di voi non aveva il ciclo?”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Finito”, rispose Elisa, “Non macchio nulla”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">Ciccio si sedette a tavola con le ragazze, e chiese loro: “Volete diventare permanentemente umane?”</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">Le ragazze si misero a ridere, ed Minna disse: “Toh, ecco il primo che ce lo chiede. Nel corso dei secoli abbiamo dovuto scappare da chi ci voleva costringere a questo”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Non volete farlo?”</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“È solo nel tuo secolo che una donna è più libera di una gatta”, disse Anna, ed Elisa aggiunse: “Meglio vivere libera acchiappando sorci che schiava mangiando bistecche”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Tu, Ida?”, chiese Ciccio, ed ella rispose: “I nostri umani sono stati scelti dalla Provvidenza per come amavano le gatte, non per come amavano le donne”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Non pensate che potrei essere diverso?”, chiese Ciccio, le donne tacquero per un attimo, ed improvvisamente si ritrasformarono nella gatta Gabriella.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Cos’è successo? Che devo fare?”, chiese Ciccio, e la gatta, parlando con la voce di Minna, rispose: “Ci siamo distratte un attimo e ci siamo scordate di dire la preghiera per prolungare la nostra fase umana. Se ci dai da mangiare poi la recitiamo e ci ritrasformiamo”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">Ciccio diede a Gabriella una razione abbondante di crocchette, e la micia poté ritrasformarsi in Anna, Elisa, Ida, Minna – che però non erano sazie e divorarono quello che c’era in tavola.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Sei sicura che ti convenga mantenere quattro ragazze anziché una sola gatta?”, chiese Minna, e Ciccio rispose: “Mi piacerebbe molto vivere con quattro ragazze. Il problema è che non potete rimanere senza documenti. Dovrei denunciarvi all’anagrafe, e non saprei come fare”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Non mancano gli avvocati a Bosa”, disse Anna, “Puoi chiedere a loro”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">Ciccio tacque un attimo, e poi si rivolse ad Elisa: “La gatta Gabriella è stata sterilizzata – le sono state rimosse le ovaie e l’utero. Com’è che tu hai il ciclo?”</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Me ne stupisco anch’io”, rispose Elisa, “Credo ci voglia una visita medica”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“E ci vogliono dei documenti per questo”, osservò Ciccio.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Il rabbino Yoel è un avvocato”, osservò Ida, “Così almeno dice il suo biglietto di visita”.</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">“Allora gli dico che acconsentite a diventare permanentemente umane”, chiese Ciccio, “E deve perciò pensare a denunciarvi all’anagrafe?”</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">Le quattro ragazze si guardarono, e Minna disse: "Si può evitare di rivolgersi a lui?"</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">"Perché?", chiese Ciccio, e Minna rispose: "Di te ci fidiamo del tutto, del rabbino Yoel un po' ci fidiamo, ma dei dieci maschietti che pregheranno per noi e dopo la trasformazione ci vedranno nude ci possiamo fidare?"</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">"Non li conosco", disse Ciccio, "Spero che il rabbino convochi solo persone per bene".</span></p><p style="text-align: justify;"><span style="color: #500050;">"In nove secoli e mezzo abbiamo assistito a tante violenze contro le nostre umane, che non siamo riuscite ad impedire", disse Minna, "Capisci ora perché ci fidiamo poco?"</span></p><p style="text-align: justify;"><br /></p><p class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small; margin: 0px; text-align: justify;"><br /></p><p class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: medium;">(Segue)</span></p>S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-20780913584055424082022-02-20T21:19:00.009+01:002022-10-28T19:39:14.426+02:00Gabriella.0003 - Transitoriamente<p style="text-align: justify;"> (<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.com/2022/02/gabriella0002-post-covid.html">Precedente</a>)</p><p style="text-align: justify;">“Che sta guardando nel suo telefonino?”, chiese Rav Yoel, e Ciccio rispose: “Cerco preghiere da usare per ridare forma umana alle anime dentro la mia gatta”.</p><p style="text-align: justify;">Rav Yoel rispose trattenendo un sogghigno: “Non sia ingenuo. Queste preghiere non si trovano neanche nel Dark Web. Stabilirò con i miei colleghi un rituale da usare. Una cosa gliela posso chiedere intanto?”</p><p style="text-align: justify;">“Sentiamo", rispose Ciccio, e Rav Yoel disse: “Servono quattro vestitini da donna, taglia 46. Non devono essere sontuosi - bastano quelli che una massaia indossa mentre cucina”.</p><p style="text-align: justify;">Il giorno dopo Ciccio comprò i vestitini in un negozio di cinesi - la commessa glieli procurò dello stesso taglio, ma di diversi colori, e gli fece pure lo sconto. Mentre pagava, nel negozio entrò Yael, la moglie del rabbino.</p><p style="text-align: justify;">“Buongiorno, Ciccio. Vedo che lei ha preso i vestiti che ha prescritto mio marito”, disse Yael, e Ciccio rispose: “Sì - serve altro?”</p><p style="text-align: justify;">Yael gli sussurrò nell'orecchio, e Ciccio comprò anche biancheria intima per signora ed una confezione di assorbenti mestruali, dicendo fra sé: “Beate le gatte che non hanno questo problema”.</p><p style="text-align: justify;">Quella sera vennero a trovare Ciccio Rav Yoel e la sua signora Yael; mentre la micia saltava in grembo a Yael, Rav Yoel mostrò a Ciccio un fascicolo con le preghiere da recitare, e gli chiese se poteva mettere la lettiera della micia in un'altra stanza, “perché è vietato pregare dove ci sono degli escrementi - anche i bambini piccoli creano complicazioni ai loro papà”.</p><p style="text-align: justify;">Yael fece invece una domanda a Ciccio: “Vedo che la sua casa è un terracielo. All’ultimo piano cosa c'è?”</p><p style="text-align: justify;">“Una camera matrimoniale con bagno, signora”.</p><p style="text-align: justify;">“Si potrebbero portare la gatta e gli indumenti lassù?", chiese il rabbino, e Ciccio prese in mano la gatta, si incamminò verso la scala e disse: “Seguitemi. Portate voi per favore i vestiti”.</p><p style="text-align: justify;">Una volta lassù Yael mise i vestiti sul letto matrimoniale addossato alla parete ovest, mentre Rav Yoel diceva a Ciccio di tenere la micia in braccio volgendo le spalle alla parete est; il rabbino si volse verso Ciccio e la micia, cominciò a pregare, ed alla fine la gatta scomparve sostituita da quattro donne nude, che scesero dalle braccia di Ciccio, e s'incamminarono verso il letto matrimoniale, in direzione dei vestiti e di Yael.</p><p style="text-align: justify;">Yael disse ai due uomini: “È meglio che usciate - queste donne non sono le vostre mogli e finché non sono vestite non le potete guardare”.</p><p style="text-align: justify;">Mezz'ora dopo però Yael strillò, richiamando in camera Yoel e Ciccio - che videro la gatta dentro uno dei vestiti, e nessuna traccia delle donne.</p><p style="text-align: justify;">“Marito mio, che è successo? È stata solo un'illusione?", chiese Yael, e Ciccio osservò: “Illusione non è stata: sul letto vedo un assorbente macchiato”.</p><p style="text-align: justify;">Rav Yoel rilesse il fascicolo e con una smorfia disse: “La trasformazione è solo transitoria, a meno che queste preghiere non vengano recitate da un minyan, ovvero dieci ebrei maschi adulti nella medesima stanza”.</p><p style="text-align: justify;">“Non si può fare”, disse Ciccio, “Facciamo i conti: lei, altri nove oranti, io che devo portare qui la gatta, le quattro donne che la sostituiranno, e sua moglie che le deve assistere - sedici persone qui dentro non ci stanno! Affittiamo una sala?”. </p><p style="text-align: justify;">“No, perché la pubblicità sarebbe tanto inevitabile quanto indesiderata. Potremmo invece portare la gatta nella mia sinagoga, convocare un minyan, e completare così l'operazione”, rispose il rabbino, ma la moglie indicò il sole che stava per tramontare, e di Sabato non si parla neanche di ciò che in quel giorno non si può fare.</p><p style="text-align: justify;">Il rabbino e sua moglie salutarono quindi Ciccio, dandosi appuntamento per la domenica successiva; poiché è vietato portare oggetti dentro o fuori casa di Sabato, il rabbino lasciò il fascicolo a casa di Ciccio.</p><p style="text-align: justify;">Quella notte Ciccio entrò nel divano-letto matrimoniale della stanza al pianterreno (tecnicamente, un salotto con angolo cottura ed antibagno e bagno a lato - Ciccio e la micia risparmiavano riscaldamento e condizionamento stando quasi sempre in quella stanza) e la gatta lo seguì; Ciccio coccolandola disse: “Ti voglio bene”, e la micia rispose: “Anche noi tanto!”</p><p style="text-align: justify;">“Ma ... micia! Tu parli!”</p><p style="text-align: justify;">“Questo effetto della preghiera non è transitorio!”, osservò la micia, che continuò, cambiando voce: "Il rabbino è un po' maschilista, non gli importa di ascoltare le donne, e perciò non ha badato ad un'avvertenza in fondo al fascicolo”.</p><p style="text-align: justify;">“Se io recitassi di nuovo la preghiera che accadrebbe?”, chiese Ciccio, e la micia, cambiando ancora voce, rispose: “Per favore, non farlo. Trasformazione e ritrasformazione ci hanno stancato molto. Ci dai una razione extra di cibo e ci mettiamo a dormire?”</p><div style="text-align: justify;">(<a href="https://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.com/2022/10/gabriella0004-lassenso.html">Segue</a>)</div>S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-34141629268991066472022-02-18T17:12:00.005+01:002022-02-20T21:21:16.394+01:00Gabriella.0002 - Post COVID<p style="text-align: justify;"><a href="https://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.com/2022/02/gabriella0001-pogrom.html">(Precedente)</a></p><p style="text-align: justify;">“Buonasera, Bastiano”.</p><p style="text-align: justify;">“Buonasera, Ciccio. Mi spieghi perché tutte le volte che qui a Bosa si parla di cose ebraiche, la tua gatta viene ad arruffianarsi il conferenziere, e tu devi venire a riprenderla?”</p><p style="text-align: justify;">“Devi chiederlo a lei. Con chi parla di altre cose è molto fredda, invece”.</p><p style="text-align: justify;">“Tra l'altro, questi incontri sono gratuiti, ma con prenotazione a causa del COVID. Non c'è bisogno di mandare lei in avanscoperta”.</p><p style="text-align: justify;">“Lei è una gatta, non una cagna. Va dove vuole lei, non dove vorrei io”.</p><p style="text-align: justify;">“Buonasera”, disse un signore vestito come un chassid con una gatta in braccio, “È lei l'umano della micia?”</p><p style="text-align: justify;">“Sì, la perdoni”, rispose Ciccio, ed il chassid rispose: “Perdonatissima. Le spiace parlarmi in privato dopo la conferenza? La sua gatta ha una peculiarità che le debbo spiegare”.</p><p style="text-align: justify;">La conferenza era sulla reincarnazione nella Qabbalah, ed al termine il conferenziere rav Yoel Ben Nun, il sindaco di Bosa e Ciccio si recarono al ristorante “Pardes Rimmonim = Giardino dei Melograni”.</p><p style="text-align: justify;">Come ricordava Ciccio, era nato come ristorante vegano crudista e naturista, ma il COVID aveva obbligato le proprietarie a vendere, e l'acquirente ne fece un ristorante kasher (solo carne, a scanso di complicazioni), con rav Yoel Ben Nun come “mashgiach = ispettore”, che garantiva la kashrut del locale.</p><p style="text-align: justify;">Non è che un ristorante giapponese organizzi seminari di iamatologia, ma il nuovo proprietario del Pardes Rimmonim ritenne che delle conferenze di ebraistica fossero un modo alto ed efficace di fare pubblicità al locale - e Gabriella, la gatta di Ciccio, ne era la frequentatrice più assidua.</p><p style="text-align: justify;">Dopo cena rav Yoel prese da parte Ciccio e gli chiese: “Ha ascoltato bene la conferenza?”</p><p style="text-align: justify;">“Sì. C’entra con la gatta?”</p><p style="text-align: justify;">“Sì. Secondo la Qabbalah, una persona può reincarnarsi in un animale, ed un corpo può ospitare più anime precedentemente appartenute a diverse persone”.</p><p style="text-align: justify;">“Questo è successo alla mia gatta?”</p><p style="text-align: justify;">“Pare proprio di sì. La sua gatta ospita l’anima di quattro donne ebree, trucidate durante il pogrom di Worms del 1096”.</p><p style="text-align: justify;">“E come mai si sono reincarnate proprio in lei?”</p><p style="text-align: justify;">“Qualcuno ha pronunciato un incantesimo che ha fatto passare le anime di costoro in una gatta, che le ha poi trasmesse alla sua figlia maggiore, e costei alla nipote, fino alla sua micia”.</p><p style="text-align: justify;">“E adesso?”</p><p style="text-align: justify;">“E qui c’è una complicazione: la sua gatta ha un orecchio spuntato. Vuol dire che è stata sterilizzata?”</p><p style="text-align: justify;">“Sì. Lei mi capisce, non posso accudire due o tre cucciolate l’anno per 10-20 anni”.</p><p style="text-align: justify;">“Lei non avrebbe dovuto farlo. Il Signore lo ha espressamente vietato nella Torah”.</p><p style="text-align: justify;">“Ai soli ebrei, ed io non lo sono”.</p><p style="text-align: justify;">“Lei crede?”, chiese rav Yoel, sbalordendo Ciccio.</p><p style="text-align: justify;">Rav Yoel riprese: “Quello che è fatto è fatto. Il problema è che occorre far riassumere a queste quattro donne forma umana. Se la gatta avesse generato quattro micine insieme, ognuna di esse avrebbe ricevuto un’anima, ed alla successiva reincarnazione ognuna di loro sarebbe entrata in un corpo umano. Queste anime rischiano invece di estinguersi alla morte della sua gatta”.</p><p style="text-align: justify;">Ciccio osservò: “Se le antenate della mia micia non sono state capaci di generare quattro micine insieme, ma solo una ogni volta, questo spiega perché tutte e quattro le anime siano passate a quella micia. Ma lei ha spiegato nella conferenza che il reincarnarsi in un animale è una punizione – com’è che è durata oltre mille anni?”</p><p style="text-align: justify;">Rav Yoel rispose: “Il Talmud [<a href="https://www.sefaria.org/Eruvin.100b.29?ven=William_Davidson_Edition_-_English&vhe=William_Davidson_Edition_-_Vocalized_Aramaic&lang=bi">Eruvin 100b.29</a>] dice che l’essere umano avrebbe potuto imparare la modestia dal gatto, e mi sa che queste donne avevano molto da imparare. Comunque, la punizione è al termine, ed ora occorre aiutarle a ritornare umane”.</p><div style="text-align: justify;">(<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.com/2022/02/gabriella0003-transitoriamente.html">Segue</a>)</div>S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-66964004183426026762022-02-18T16:56:00.003+01:002022-02-20T17:37:21.694+01:00Gabriella.0001 - Pogrom<p style="text-align: justify;"> (Inizio)</p><p style="text-align: justify;">“Buonasera, Tzitzu. Ma perché mi avete portato il formaggio a quest’ora? Sta tramontando il sole, è già cominciato il Sabato!”</p><p style="text-align: justify;">“Buonasera. Rabbino. Mi spiace, si era sfilato un ferro all’asino, sono dovuto smontare, abbiamo preso il sentiero più facile e l’ho accompagnato prima dal maniscalco”.</p><p style="text-align: justify;">“Povera bestia! Avete fatto bene. Sentite, il modo per consegnarmi il formaggio c’è, ma non per pagarvi fino al tramonto di domani. Di me vi fidate?”</p><p style="text-align: justify;">“Certamente. Ci conosciamo da un pezzo”.</p><p style="text-align: justify;">“Benissimo. Voi posate il formaggio sulla soglia, ed io lo porto dentro. Così non violo il Sabato. Ma non posso pagare nessuno di Sabato, e quindi lo faccio domani”.</p><p style="text-align: justify;">Tzitzu non perse tempo ad acconsentire, ma cominciò a scaricare l’asino come lo aveva istruito il rabbino, ed in pochi minuti ebbero finito e si salutarono.</p><p style="text-align: justify;">La sera dopo Tzitzu passò a ritirare i soldi, ed il rabbino, mentre lo pagava, disse: “Volete passeggiare con me? Devo farvi una proposta”.</p><p style="text-align: justify;">“Non è di matrimonio, immagino”, rispose scherzando Tzitzu, ed il rabbino rispose, iniziando la passeggiata ed agitando la mano in segno di diniego: “Mia figlia è già promessa – ma in qualche modo c’entra. Il suo promesso sposo viene dalla Germania, ha trovato delizioso il vostro formaggio, e vorrebbe rivenderlo nella sua città, a Worms”.</p><p style="text-align: justify;">“Quanto mi pagherebbe vostro genero?”, chiese Tzitzu, ed il rabbino rispose: “Tre quattrini alla libbra, anziché un denaro intero come pago io – ma lui è disposto a comprare anche mille libbre di formaggio all’anno …”</p><p style="text-align: justify;">“… Per un totale di 3 lire, 2 soldi, 6 denari”, interruppe Tzitzu dopo un rapido calcolo, “Più di quanto avrei mai sognato di guadagnare in vita mia. Ma non ho abbastanza pecore per produrre tutto quel formaggio”.</p><p style="text-align: justify;">“Possiamo finanziarti”, disse il rabbino, “Intendo dire, io ti faccio da garante presso il feneratore, e con i soldi che ti presta tu compri le pecore”.</p><p style="text-align: justify;">Tzitzu non comprò solo le pecore – anche i paioli e tutti gli attrezzi per produrre il formaggio, e dovette assumere dei servi-pastori che gli costruissero ovili e capanni, oltre a badare alle pecore, e si procurò pure degli asini per il trasporto e dei cani da guardia.</p><p style="text-align: justify;">Venne a trovarlo in campagna il rabbino, e Tzitzu gli chiese: “Che vi succede, rabbino?”</p><p style="text-align: justify;">“Chiamatemi pure Iochanan, o, nella vostra lingua, Iuvanne”, egli rispose, “Mi hanno semplicemente spaventato i vostri cani: ritenendomi un intruso mi fissavano come se avessero già deciso come sbranarmi. Per fortuna non mi hanno aggredito”.</p><p style="text-align: justify;">“Devo difendere i miei beni ed il vostro formaggio”, rispose Tzitzu, “Ma dopo una dozzina di volte che venite qui vi faranno le feste. Siete venuto a controllare la fabbricazione del formaggio?”</p><p style="text-align: justify;">“Sì, ma c’è un altro problema”, disse Iuvanne, e mostrò un topino che aveva appena preso per la coda, dicendo: “I cani vi difendono dai lupi a due gambe (quelli a quattro zampe in Sardegna non ci sono), ma dai topi vi devono difendere i gatti”.</p><p style="text-align: justify;">“E dove li trovo?”, chiese Tzitzu, ed il rabbino rispose: “Mia figlia è una gattara, e può darvi dei gatti che spaventano e prendono i topi. Vi rammento che il formaggio piace anche ai gatti, quindi non lasciatelo comunque incustodito”.</p><p style="text-align: justify;">I gatti li portò il mese dopo Eliyahu, il genero di Iuvanne – il matrimonio si era già celebrato, ma avevano fatto prima le gatte a generare i micini di Avigail a dargli il primogenito.</p><p style="text-align: justify;">Eliyahu disse a Tzitzu: “Sono molto contento di voi e del vostro formaggio, tant’è vero che mi sono permesso di passare dal feneratore e saldare il vostro debito …”</p><p style="text-align: justify;">“Grazie, ma avrei preferito usare quei soldi per alcuni lavori prima di restituirli”, rispose Tzitzu, ma Eliyahu disse: “Non vi preoccupate, il feneratore vi ha concesso una linea di credito – in una parola, ve li ripresterà volentieri. Volevo invece invitarvi a venire con me a Worms”.</p><p style="text-align: justify;">“A far che?”</p><p style="text-align: justify;">“Chi comprerà il formaggio non comprerà un cibo qualunque, ma un formaggio fatto da voi. Mio suocero ed io ne garantiamo la qualità, ma conoscervi personalmente sarà il miglior argomento per acquistarlo”.</p><p style="text-align: justify;">“Il formaggio viene lavorato in autunno. In inverno potrei lasciare le pecore ai servi-pastori ed accompagnare voi ed il vostro formaggio”.</p><p style="text-align: justify;">Così fu deciso, ma il maltempo fece rimandare la partenza fino all’inizio della primavera, e Tzitzu ritenne inopportuno lasciare il gregge quando nascevano gli agnelli, per cui infine Eliyahu e Tzitzu a metà aprile del 1096 s’imbarcarono da Bosa per Genova con l’intenzione di proseguire per Worms, accompagnati da Gabriella, la gatta preferita da Tzitzu, che doveva difendere il formaggio.</p><p style="text-align: justify;">Vi giunsero a fine mese, quando la Prima Crociata, bandita il 27 dicembre dell’anno prima, si stava trasformando da una spedizione verso il Santo Sepolcro in una serie di pogrom contro le comunità ebraiche di Germania.</p><p style="text-align: justify;">Eliyahu accompagnò Tzitzu a casa della zia Minna, donna ricca e colta di Worms – aveva suggerito ad Eliyahu l’affare e lo aveva finanziato.</p><p style="text-align: justify;">Tzitzu la trovò affascinante, ma nessuno dei due parlava la lingua dell’altro, ed oltre un gioco di sguardi non si poté andare.</p><p style="text-align: justify;">Il formaggio invece non aveva bisogno di parole, e Minna invitò tre sue amiche a cena quella sera per assaggiarlo.</p><p style="text-align: justify;">Alla cena parteciparono anche Tzitzu ed Eliyahu, che tradusse per Tzitzu gli apprezzamenti delle invitate per il suo formaggio, ma dopo la lavanda delle mani al termine del pasto bussarono alla porta.</p><p style="text-align: justify;">Era il capo della comunità ebraica locale, che voleva urgentemente parlare con Minna. Lo fece davanti a tutti, e tutti coloro che lo potevano capire si mostrarono sempre più spaventati – finché Minna si volse verso Eliyahu e Tzitzu, dando al primo un ordine che il secondo non capì.</p><p style="text-align: justify;">Eliyahu accompagnò Tzitzu in un’altra stanza, prese da un cassetto pergamena, penna e calamaio, si sedette ad un tavolo e scrisse un documento che consegnò a Tzitzu dicendogli: “Questa lettera ordina al feneratore di Bosa di pagarti lui il formaggio in nostro nome e conto. Mi spiace, ora devi scappare perché in questa casa siamo in pericolo, e rischi anche tu di essere ucciso”.</p><p style="text-align: justify;">“Adesso mi spieghi che sta accadendo”, disse Tzitzu mentre prendeva in mano la lettera, ed Eliyahu disse: “Ci sono delle persone che per dimostrare la loro fede in Dio ci vogliono ammazzare. Ovviamente hanno torto, ed il vescovo della città, a cui loro dovrebbero obbedienza, ci ha invitato a rifugiarci nel suo palazzo per metterci sotto la sua protezione. Speriamo che ci stiamo tutti lì dentro”.</p><p style="text-align: justify;">“Perché, quanti siete?”, chiese Tzitzu, ed Eliyahu rispose: “Più di ottocento”.</p><p style="text-align: justify;">Tzitzu aggrottò gli occhi per lo stupore e chiese: “E non potete difendervi?”</p><p style="text-align: justify;">Eliyahu rispose: “Ci è stato vietato di portare armi”, prima di accingersi a scrivere un secondo documento, che avrebbe poi consegnato al capo della comunità, il quale fuggì subito via.</p><p style="text-align: justify;">“In quella lettera che hai scritto?”, chiese Tzitzu, ed Eliyahu rispose: “I nostri confratelli di Magonza sperano di riscattare la loro vita con l’oro, se i medesimi malfattori assaliranno anche loro, e la lettera serve a procurarglielo”.</p><p style="text-align: justify;">“Siete matti”, rispose Tzitzu, “Anche nella mia isola si minaccia la gente di morte se non paga, ma il criminale spesso uccide lo stesso. Quell’oro vi servirebbe per rifarvi una vita altrove”.</p><p style="text-align: justify;">“Tzitzu, vattene”, ribattè Eliyahu, “E ringrazia che se qualcuno sospettasse che sei ebreo, ti basterebbe calare le brache per dimostrare che non è vero”.</p><p style="text-align: justify;">Tzitzu chiese: “Datemi la mia gatta Gabriella”.</p><p style="text-align: justify;">La gatta aveva cenato in grembo a Minna ed a tutte le sue amiche – ma Eliyahu volle prenderla in braccio dicendo: “Permettimi di darle una benedizione prima che ve ne andiate”.</p><p style="text-align: justify;">Tzitzu non si oppose, Eliyahu pronunciò delle parole che fecero piangere le donne, ma Tzitzu non capì, ed alla fine lui e Gabriella salirono su un asino e fuggirono, mentre Eliyahu, Minna e le sue amiche si incamminarono verso il palazzo vescovile – presagendo che vi avrebbero trovato la morte.</p><p style="text-align: justify;">(<a href="https://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.com/2022/02/gabriella0002-post-covid.html">Segue</a>)</p>S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-16674014378768013452019-12-30T11:38:00.005+01:002022-09-30T16:54:01.776+02:00Bina la vampira<div style="text-align: justify;">
Bina Carbonia stava portando alla sua cliente Angela Eletta un pacco che avevano consegnato al suo <i>B&B Elixir of Life</i>, quando ella sentì un forte calore promanare dal quel pacco e svenne.
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Angela stava dicendo: “<i>Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi</i>”, ma quando sentì il rumore di Bina che cadeva sul pavimento si interruppe, aprì la porta e soccorse la donna.
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Insieme con Angela c’erano altre persone, ma, essendo ella un medico, disse: “Andate via pure, ci penso io”; vedendo Bina rinvenire, tutti le obbedirono – ma Angela, osservando attentamente Bina, pensò: “Questo sembra avvelenamento acuto da radiazioni – ma perché io e gli altri non ne abbiamo sofferto?” Riconobbe il pacco: lo aveva ordinato il giorno prima, e conteneva ostie da consacrare.
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Capì cosa era successo: Bina era una vampira, ed Angela una sacerdotessa vetero-cattolica, la cui chiesa ordina anche le donne; pronunciando la formula della consacrazione aveva involontariamente consacrato anche le ostie del pacco che Bina teneva in mano – ma i vampiri dalle specie eucaristiche debbono stare lontani.
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Angela decise di salvare Bina – secondo una pagina Web occorreva innanzitutto far sparire tutte le specie eucaristiche nella stanza (cosa semplice – anche se costrinse Angela a fare indigestione), e poi somministrarle almeno un bicchierino di sangue.
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Ad Angela l’idea di pungersi per dare a Bina sangue fresco non piaceva, ma le sue parti intime le vennero in aiuto: aprì dolcemente la bocca di Bina e le versò dentro il contenuto della sua coppetta mestruale, guarendola.
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Bina chiese che le era successo, ed Angela glielo spiegò; Bina stupita chiese: “Come mai una sacerdotessa vetero-cattolica ha deciso di salvare quella che per lei è una creatura demoniaca?”
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Angela rispose: “Sapevi che ero una sacerdotessa, ma mi hai ospitato comunque. Ho pensato che sarai demoniaca, ma malvagia non lo sei. Ed anche se tu lo fossi stata, tocca solo a Dio giudicarti – il mio dovere era di salvarti”.
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“Grazie. Però sono ebrea – com’è possibile che le specie eucaristiche mi abbiano fatto questo effetto?”, osservò Bina, ed Angela rispose: “Questo sembra un miracolo eucaristico. Di solito questi miracoli servono a corroborare la fede dei cattolici che dubitano della presenza vera e reale (la chiesa cattolica romana ed altre dicono anche sostanziale) di Gesù nell’Eucarestia – nel tuo caso sembra invece che tu, pur ebrea, coltivi invece il dubbio che Gesù sia il Figlio di Dio e nell’Eucarestia sia presente in modo vero e reale. Senza questo dubbio, non ti sarebbe successo nulla”.
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“Già”, rispose Bina, “Questa storia mi fa venire in mente un passo del <i>Talmud</i>: ‘<i>Se uno se la merita, la Torah diviene per lui una pozione di vita; se non se la merita, la Torah diviene per lui una pozione di morte</i>’ [bYoma 72b]”.
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“Diciamo la stessa cosa dell’Eucarestia [1 Corinzi 11:23-32]”, osservò Angela, “e per noi Gesù è il Logos, il Verbo incarnato. Però l’assenso della fede non deve essere forzato, nemmeno da un prodigio – a chi chiese da lui un ‘segno’ Gesù rispose di no [Matteo 16:4]. Non insisto perché tu risolva il tuo dubbio in senso positivo – lascio a te il pensarci”.
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Le due donne si misero d’accordo: Angela celebrava la messa nel B&B mentre Bina faceva la spesa, e così Bina non correva pericolo. Bina comprava il vino ed il pane solo il venerdì pomeriggio, anche per il <i>Qiddush</i> del venerdì sera – le due cose venivano tenute in cantina, al riparo dagli effetti della consacrazione.
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Ad Angela non dispiaceva partecipare al rituale della <i>Qabbalat Shabbat</i>, facendosi spiegare da Bina alcune cose dell’ebraismo che lei ignorava, ed una sera disse: “Domenica sei libera?”
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“Perché?”, chiese Bina, ed Angela rispose: “La mia chiesa tiene un convegno domani – io sono venuta con un paio di settimane d’anticipo perché non ero mai stata a Roma, e non potevo immaginare quello che sarebbe successo”.
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“Sei una gran cliente, e non ho subìto danni permanenti”, rispose Bina, “Ma qual è l’argomento del convegno?”
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“Le Nozze di Cana”, rispose Angela, “Visto che alcuni relatori cercheranno di darne un’interpretazione ebraica, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere”.
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“Sicuramente”, rispose Bina, “Ma vorrei farti una domanda”.
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“Chiedi”, rispose Angela, e Bina rispose: “Siete davvero così <i>LGBT+Friendly</i> come fanno pensare i vostri siti?”
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“Sì e no. In origine praticavamo la ‘bicancellazione’, ovvero dividevamo le persone in eterosessuali e omosessuali, e consideravamo peccaminose le pratiche omosessuali compiute da persone eterosessuali”, rispose Angela, “Io, che sono bisessuale, ho dovuto faticare molto per spiegare che questa concezione non aveva senso, ma ho convinto la mia chiesa, tant’è vero che mi hanno ordinata. Ai sacerdoti di ogni genere consentiamo di sposarsi, ma al momento sono <i>single</i>. Tu?”
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“Il mio <i>nick</i> sui social è ‘Dorifora’ …”, rispose Bina, facendo morire dal ridere Angela, che chiese: “Mangi solo la patata od anche la melanzana?”
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“All’occorrenza anche il peperoncino e vado matta per il pomodoro”, rispose ridendo Bina.
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“È il mio turno di farti una domanda imbarazzante”, riprese Bina, “Perché ti chiami Carbonia? Molti ebrei hanno un cognome di città, ma Carbonia è stata fondata nel 1937, quindi la tua famiglia non può provenire da lì”.
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“È un po’ più complicato”, rispose Bina, “Il mio nome di nascita è Pina Carboni. Quando ho fatto il ‘<i>giyyur = conversione</i>’ ho fatto modificare il mio prenome in “<i>Bina = Intelligenza</i>”, ed il mio cognome in Carbonia, perché vengo proprio da quella città”.
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“Anche i tuoi genitori sono vampiri?”, chiese Angela, e Bina rispose: “Mio nonno materno era della Transcarpazia. Uno di quei rari vampiri che sopporta la luce del sole e può aprire un negozio di frutta e verdura pieno di aglio”.
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“E come si procurava il sangue per vivere?”, chiese Angela, e Bina rispose serafica: “La nonna faceva a lui quello che hai fatto a me. Poi l’hanno sostituita le figlie, cioè le mie zie, non vampire, quando è andata in menopausa”.
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Angela sorrise, e disse: “Insomma, hai bisogno di una che ti fornisca sangue fresco una volta al mese”.
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“Pagando si può avere anche quello”, rispose Bina, “Certo, se si ama chi te lo dà è molto meglio”.
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Angela nascose il suo turbamento prendendo dalla borsa l’invito ufficiale al convegno e porgendolo a Bina.
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Il convegno sviscerò esegeticamente le Nozze di Cana, partendo dall’osservazione che i Vangeli sinottici inseriscono l’Istituzione dell’Eucarestia nell’Ultima Cena, ma nel Vangelo secondo Giovanni sono quelle Nozze a sostituirla; durante la pausa Angela disse a Bina: “Devo darti un’altra dose di quello che ti ha salvato la vita”, e la portò nel bagno disabili – l’unico abbastanza grande per due persone.
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Bina non era però astenica: dopo che Angela le ebbe servito la coppetta, Bina sollevò la lunga tonaca di Angela fino alle anche (facendola ridere per l’eccitazione), la mise a sedere sul lavabo e cominciò a leccare scrupolosamente anche le gocce del suo sangue.
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Angela trattenne a fatica i gemiti, ed al termine Bina chiese: “Quanto sangue mi serve ancora?”
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“Il troppo qui non stroppia”, rispose Angela, “Puoi berne quanto ne vuoi fino alla fine del ciclo. Ma ora torniamo al convegno”.
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In quel momento aveva cominciato a parlare un relatore che fece notare che il <i>Talmud</i> [bBerakhot 40a] candidava ad Alberi della Conoscenza del Bene e del Male tre piante: il fico, il grano e la vite (dagli ultimi due si ricavano il pane ed il vino) – il che gli permise di ricollegare le Nozze di Cana al secondo racconto della Creazione [Genesi 2-3], attraverso una tradizione cabalistica per cui Noè avrebbe dovuto rimediare al peccato di Adamo celebrando il <i>Qiddush</i> sul vino la vigilia del Sabato – purtroppo Noè invece, dopo aver fatto il vino si ubriacò, e secondo il relatore, Gesù alle Nozze di Cana volle rimediare all’errore che prima fu di Adamo (mangiare l’uva anziché bere il vino) e poi di Noè (ubriacarsi anziché benedire), facendo celebrare dal maestro di tavola un <i>Qiddush</i> prima che gli ospiti tracannassero il vino.
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Gli altri relatori del convegno non sembravano convinti di questa proposta esegetica, che invece Bina trovò interessante, e sussurrò all’orecchio di Angela una sua personale osservazione.
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Angela disse: “Prendi il microfono e parlane al convegno”.
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Bina rispose: “Sono timida”.
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“Ti do tutto il sangue che vuoi fino alla menopausa, se parli”, rispose Angela, “E te lo faccio bere senza coppetta!”
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La proposta era irresistibile e, preso il microfono, Bina disse:
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“Vorrei aggiungere un’osservazione. Vi è mai capitato un matrimonio in cui, come dice il maestro di tavola delle Nozze di Cana, prima si è servito il vino buono e poi quello meno buono? No, e nemmeno a me che sono ebrea. Ma c’è un’altra situazione ebraica in cui si fa qualcosa di simile: a Pasqua con il pane azzimo.
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Infatti, durante il <i>Seder Pesach</i>, il pasto rituale di Pasqua, è obbligatorio mangiare la <i>Matzah Shemurah</i>, che viene fatta con grano sorvegliato dal momento del raccolto, ed i più rigorosi vogliono che sia fatta a mano. Se cercate di ordinarla online, scoprite che non vi costa meno di 50 Euro al chilo! Pasqua dura 7/8 giorni, ed una famiglia ebraica media non può mangiare questo tipo di pane azzimo per tutti quei giorni senza ridursi in miseria.
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Si usa allora, dopo il <i>Seder</i> che inaugura la Pasqua, il pane azzimo comune, fatto a macchina, ed il cui grano viene sorvegliato solo a partire dalla macinazione – online lo potete ordinare a meno di 6 Euro al chilo.
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Secondo me, il maestro di tavola parlava di vino, ma alludeva al pane azzimo, perché è l’unica cosa che fa comportare gli ebrei in questo modo. Se nelle Nozze di Cana è presente l’Eucarestia sotto la specie del vino, anche la specie del pane è presente, pur mimetizzata”.
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I relatori furono più impressionati dall’osservazione di Bina, che sembrava voler restituire il microfono, ma Angela la fermò, glielo prese e le chiese: “E qual era allora il vino buono tenuto in serbo fino all’ultimo, creato da Gesù e di cui parla l’ignaro maestro di tavola? Che tipo di pane rappresenta?”
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Bina rispose: “Rileggetevi Esodo 16: dopo che gli Israeliti ebbero terminato le azzime che avevano cotto in Egitto, Dio diede loro la manna, il pane del cielo, di qualità eccelsa. Gesù chiude l’era delle azzime (opera dell’uomo) ed inizia quella della manna (concessa per grazia di Dio)”.
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I relatori ringraziarono Bina, ed Angela disse: “Brava. Ceniamo insieme stasera?”
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“Sì”, rispose Bina, “Ma parti davvero domani?”
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“E se tu venissi con me?”, chiese Angela.
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“Non ho un lavoro, ma una pensione (essere vampiri procura multiple invalidità); siamo ora in bassa stagione, e nel mio B&B non ho ospiti per quattro mesi. Potrei accettare”.
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Cena e dopocena furono magnifici, ed Angela scoprì quella sera che anche le vampire hanno un mestruo – molto leggero, non doloroso, di sapor dolce; purtroppo il sangue di vampira non può salvare un’altra vampira: ci vuol proprio quello umano!
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La chiesa vetero-cattolica di Angela era una parrocchia del Nord Italia creata per speciale concessione dell’Unione di Utrecht, che si era ritirata dall’Italia nel 2011, lasciando aderire le parrocchie che aveva creato alla Comunione Anglicana; Angela ci voleva riprovare e sperava di riunire le altre chiese che si erano separate.
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Bina fu bene accolta dai parrocchiani, ed Angela le affidò il compito di pulire la chiesa (prima delle pulizie Angela rimuoveva il Santissimo Sacramento per riportalo nel ciborio alla fine) e di aiutarla nello studio biblico – Bina dimostrava talento sia nel chiarire i passi dell’AT che nell’individuare riferimenti ebraici nell’NT, rendendosi così molto utile.
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Un pomeriggio Angela dovette dire a Bina: “La mamma di questo bambino, che si chiama Giovanni, mi ha telefonato che non può riportarlo a casa dal catechismo perché le si è guastata la macchina. Puoi accompagnarlo tu?”
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“Volentieri”, rispose Bina, “Ma non ho la patente”.
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“La casa non è così lontana – ti mando l’indirizzo via <i>WhatsApp</i>”, ribatté Angela, “Puoi accompagnarlo a piedi”.
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Bina e Giovanni passarono davanti ad una bella chiesa cattolica romana, ed il bambino, che amava le opere d’arte, si staccò dalla mano di Bina mentre lei leggeva un manifesto politico su un muro vicino, ed entrò nella chiesa.
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Bina pensò: “Non posso lasciarlo solo”, inviò la sua posizione ad Angela via <i>WhatsApp</i> ed aggiunse: “Giovanni è dentro la chiesa. Io vado a tirarlo fuori, tu vieni a salvarmi!”
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Contrariamente ai suoi timori, Bina non provò alcun malessere dentro la chiesa, raggiunse Giovanni, lo prese per mano e gli disse: “Non devi staccarti dal tuo adulto quando vai a passeggio con lui! Non sai quello che ti può capitare!”
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Il bimbo rispose: “Questa è una bella chiesa, vero?” proprio mentre Angela stava entrando; ella vide che Giovanni stava bene, e pure Bina, salvo un gonfiore al pollice ed all’indice sinistro.
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“Che ti è successo?”, chiese Angela, e Giovanni rispose: “Le dita si sono gonfiate quando Bina ha usato il <i>selfie stick</i> per fotografare l’interno di una chiesa qui vicino …”
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Bina precisò: “Quella ortodossa”, ed il bimbo continuò: “… infilandolo in uno spiraglio della porta”.
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“Hmm …”, disse Angela, “Sembra un’ustione da radiazioni. Ho qui la medicina per te”, e le porse una bottiglia da Gingerino con dentro del sangue trattato con un anticoagulante [Giovanni non sapeva cos’era], sangue che Bina ingerì guarendo immediatamente.
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Le due donne ripresero la passeggiata per consegnare Giovanni alla mamma, ed a cena, quando furono sole, Angela chiese a Bina: “Quanto ne sai di teologia eucaristica?”
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“Quasi niente. Ho imparato a mie spese che le specie eucaristiche che mi fanno male sono quelle consacrate da chiese che credono nella presenza reale di Gesù in esse. Ad una Santa Cena valdese ho potuto partecipare, da una luterana me ne sono dovuta andare”.
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“Hmm … forse ti stai esprimendo male”, osservò Angela, “La principale differenza tra luterani e valdesi a proposito dell’eucarestia è che i luterani ritengono anche sostanziale la presenza di Gesù nelle specie eucaristiche – nella loro dottrina, la consacrazione crea un’‘unione sacramentale’, per cui nel pane c’è anche la sostanza del corpo di Cristo, nel vino anche la sostanza del sangue di Cristo; per i valdesi, ed i calvinisti in genere, la presenza di Gesù è reale, ma non sostanziale: il pane ed il vino sono i simboli che fanno ricevere al fedele in modo spirituale il corpo ed il sangue di Cristo, ma non mutano la loro sostanza”.
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“Dici dunque che il <i>busillis</i> è la presenza sostanziale, più che reale?”, chiese Bina, ed Angela rispose: “Ad interpretare le tue parole e la tua esperienza, sì. Strano però che specie eucaristiche ortodosse ti facciano male e specie cattoliche no”.
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Bina ribatté: “Non è che c’è una sottile differenza tra la teologia eucaristica ortodossa e quella cattolico-romana?”
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Angela rispose: “L’unica cosa che mi viene in mente è che sia i cattolici romani che gli ortodossi dicono che al momento della consacrazione il pane ed il vino diventano in modo vero, reale e sostanziale corpo e sangue di Cristo; però, mentre gli ortodossi dicono che il modo in cui accade è misterioso, i cattolici romani hanno dato una spiegazione metafisica di come ciò avvenga …”
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“… E l’aver sostituito il mistero con questo arzigogolo ha reso inefficaci in me le ostie cattoliche romane”, concluse Bina, ed Angela annuì concludendo: “Noi vetero-cattolici crediamo nella presenza reale, ma abbiamo rigettato la transustanziazione. Per questo le mie specie eucaristiche ti fanno male”.
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“Però tu mi fai molto bene”, disse Bina baciando Angela, e dopo un po’ di baci e carezze, le due donne andarono a letto lasciando i piatti sul tavolo.
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Il mattino dopo le due donne si accinsero a lavare i piatti, ed Angela chiese a Bina: “Vuoi stare ancora con me?”
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Bina rispose: “Con te mi trovo benissimo. L’unica cosa che mi tieni nascosta sono le specie eucaristiche”.
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Angela rise e disse: “La mia chiesa non è <i>LGBT+Friendly</i> come altre – non condanniamo le unioni tra persone dello stesso sesso, ma non abbiamo ancora deciso se farne un matrimonio sacramentale oppure benedirle soltanto. Io ho proposto di introdurre il rito dell’<i>adelphopoiesis</i> …”
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“Quello di cui parlava John Boswell a proposito dei santi Sergio e Bacco?”, chiese Bina, ed Angela aggiunse: “Nonché Pavel Florenskij a proposito di sé stesso e del suo caro amico Sergej Troickij. Sì, proprio quello – celebra un’amicizia intima tra due persone trasformandole in fratelli o sorelle”.
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Le due donne tacquero per un attimo, ed infine Angela chiese: “Vuoi che siamo noi due le prime persone della mia chiesa unite da questo rito? E dopo quello contraiamo un’unione civile?”
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Bina accettò con un bacio, e si preparò a traslocare in casa di Angela.
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Ella contattò il suo vescovo, che però rispose che la proposta dell’<i>adelphopoiesis</i> era da considerarsi superata, perché una consultazione informale tra i vescovi dell’Unione di Utrecht, i cui risultati sarebbero stati ufficializzati nel prossimo sinodo, aveva deciso che in questi casi si celebrasse un matrimonio vero e proprio, sacramentale.
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Qualche giorno dopo la risposta, Angela Eletta portò un biglietto a Bina Carbonia e le chiese: “Perché vuoi che al nostro pranzo nuziale sia servito solo vino bianco e lo hai scritto qui?”
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Bina si schiarì la gola e disse: “Al matrimonio devo invitare parenti vampiri di cui non mi fido molto. Non vorrei che versassero qualche goccia del proprio sangue nel vino di un non vampiro, facendone un vampiro. Se il vino è bianco, il viraggio in <i>rosé</i> si vede subito e l’inganno non riesce”.
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Angela impallidì per la sorpresa e disse a Bina: “Ma … il tuo sangue me lo hai fatto bere … e non mi sento una vampira!”
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“Tesoro”, rispose Bina, “Per diventare vampiri è necessaria anche una predisposizione genetica. Io ce l’ho così forte che sono nata vampira, prima di bere alcunché; io avevo già verificato che non ne hai alcuna prima di darti il mio mestruo da bere, quindi possiamo stare tranquille entrambe. Altre persone sono in una situazione intermedia, e per loro bere sangue di vampiro sarebbe fatale”.
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“Come facevi a sapere che non sono predisposta?”, chiese Angela, e Bina rispose: “Guarda il pendente che ti ho regalato, quello uguale al mio”.
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“Ho capito!”, rispose Angela, “Se il colore è bianco vuol dire che chi lo porta non ha predisposizione; se il colore è rosso come quello del tuo vuol dire che è un vampiro …”
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“… E se è giallo, vuol dire che può diventarlo”, concluse Bina, aggiungendo: “Questi pendenti sono fatti di una speciale lega d’oro che cambia colore a seconda dello ‘<i>status</i> vampirico’ di chi li porta. Vorrei regalarli agli invitati al posto delle bomboniere. Pensavo di farli di <i>vermeil</i> [argento 925/1000 placcato con uno strato di lega d’oro spesso almeno 2,5 <i>micron</i>] anziché di sola lega d’oro per risparmiare un po’”.
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“È una buona idea rivelare lo <i>status</i> vampirico di una persona?”, chiese Angela, e Bina rispose: “Tutti i miei parenti lo vorrebbero conoscere, ma l’alternativa alla mia lega d’oro sono dei complessi e costosi esami genetici. Certo, chi è già vampiro lo sa per forza, ma gli altri non sanno se sono immuni o potenziali vampiri”.
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“Allora fai pure”, disse Angela, e Bina rispose: “Sapevo che avresti capito. Ah, visto che noi vampiri siamo eterogami obbligati …”
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“Cioè?”, chiese Angela e Bina rispose: “… ovvero, un vampiro deve sposare una non vampira, meglio ancora se immune, per avere la sua fonte di sangue, è probabile che l’incontro tra vampiri e non vampiri al nostro matrimonio si evolva in una serie di fidanzamenti e matrimoni”.
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“Capito”, disse Angela, “Mi vuoi far lavorare. Ma come hai imparato l’oreficeria?”
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“Ho fatto l’apprendista orafa. Purtroppo il mio datore di lavoro era un porco. Non ti dico come mi sono vendicata di lui”, rispose Bina.
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“Dimmelo”, disse Angela.
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“Fervente greco-ortodosso, con predisposizione vampirica, abitualmente riceveva la comunione per intinzione [ovvero, intingendo l’ostia nel vino], ma una domenica al vino aggiunsi alcune gocce del mio sangue”, rispose Bina.
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“Perciò … è diventato vampiro prima di digerire l’ostia consacrata? E che gli è successo poi?”, chiese Angela, e Bina rispose: “Morì in peccato mortale”.
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Angela chiese: “Lo faresti ancora?”, e Bina rispose, mostrando le unghie lunghe e forti: “Secondo te, perché il mio piatto preferito è il pollo disossato?”
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Angela rise e commentò: “Se disossi chi ti sta aggredendo, può anche essere legittima difesa. Però quello che hai fatto a quell’uomo è stato premeditato, e dovresti parlarne nella tua confessione generale”.
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“Confessione generale?!?” chiese stupita Bina, ed Angela rispose: “Sei ebrea per scelta, quindi alla nascita i tuoi genitori ti hanno battezzata – ed ho rinvenuto l’atto di battesimo, nonché quello di cresima”.
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“Mi sono sbattezzata!”, protestò Bina, ed Angela spiegò: “Certo, però alcune conseguenze del battesimo sono rimaste. Tra esse il fatto che prima del matrimonio devi sottoporti alla confessione generale [cioè anche dei peccati da cui sei stata già assolta], e che il rituale prevede per forza l’eucarestia”.
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“Ti amo, ma non voglio morire sposandoti!”, disse Bina, ed Angela, dopo averla baciata, spiegò: “Credo di aver trovato la soluzione”.
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“Spiegami”, disse Bina, ed Angela l’accontentò: “Si fa un matrimonio per procura. In questo modo tu non entri in chiesa, e l’eucarestia la assume solo colui o colei che hai designato. Chi vuoi designare?”
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“Va bene Fiorenza?”, chiese Bina, ed Angela annuì.
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“Resta il problema dei miei parenti vampiri. Come fanno ad assistere alla cerimonia?”, chiese Bina, ed Angela spiegò: “Avrai notato che la mia chiesa ha un’aula grande per le messe festive ed una piccola per quelle feriali. Se gli invitati vampiri non sono troppi, posso togliere il Santissimo dall’aula piccola, noleggiare un grande schermo per permettere a codesti invitati (ed a te) di assistere alla cerimonia nell’aula grande in diretta TV – e tu fai loro compagnia. Dopo la messa, si esce dalle due aule e ci si ritrova nel sagrato”.
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“Ottima idea”, disse Bina, “E se non ti disturba porto Elena nell’aula piccola e fingo che tu l’abbia designata con una procura a sposarmi. Così abbiamo un secondo rito che rispecchia il primo, anche se solo con valore scenico”.
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“Bellissimo!”, acconsentì Angela – e le due donne si divisero i compiti: mentre Angela redigeva la procura da firmare e scriveva una relazione per il suo vescovo (prima gli aveva spiegato solo che voleva sposare una donna - non che era una vampira e perché si doveva sposare per procura), Bina inviava uno speciale invito ad Elena e Fiorenza sulla chat comune di <i>WhatsApp</i>.
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Angela e Bina non erano solo innamorate, ma anche poliamorose, e quando le specializzande in medicina Elena e Fiorenza, sorelle gemelle monozigoti, vennero da loro per indagare sulla fisiologia dei vampiri e sulla loro vita di coppia, scoppiò una scintilla che unì sessualmente e sentimentalmente le quattro donne.
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Però Elena e Fiorenza, essendo sorelle, non avevano rapporti tra loro, pur non avendo remore ad amare le loro donne nella medesima stanza e nel medesimo istante; ed in poco tempo si stabilì una preferenza erotica per cui Elena preferiva Angela e Fiorenza Bina.
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Quest’ultima si preoccupava alquanto: e se Fiorenza avesse avuto la predisposizione vampirica? Sarebbe bastato un bacio di lei mentre Bina aveva le gengive sanguinanti per rovinarla. Per questo Bina si era data da fare per sviluppare la lega d’oro capace di rivelare lo <i>status</i> vampirico di una persona.
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Perciò Elena e Fiorenza furono invitate non solo alla firma delle procure (quella seria per Fiorenza e quella teatrale per Elena), ma anche a ricevere i pendenti in lega d’oro (per loro a 18 carati, non in <i>vermeil</i>) per verificare il loro <i>status</i> vampirico – per fortuna, se Elena, la partner di Angela, aveva una predisposizione vampirica (il pendente diventava giallo al contatto con la sua pelle), Fiorenza non ce l’aveva (il pendente rimaneva bianco), e perciò poteva fare ogni cosa con Bina senza pericolo.
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Il vescovo diede il suo placet alle proposte di Angela, e si offrì pure di ascoltare la confessione generale delle due spose e celebrare il loro matrimonio; quando seppe dei rapporti tra Angela, Bina, Elena e Fiorenza fu tentato di mandare tutto a monte, ma pensò che forse il matrimonio avrebbe donato alle due spose il dono del discernimento, e riportato Elena e Fiorenza allo <i>status</i> di amiche.
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Il giorno del matrimonio erano giunti tutti gli invitati, ed un sacrista fu piazzato sul sagrato ed incaricato di inviare chi aveva al collo il pendaglio rosso all’aula piccola, e chi l’aveva bianco o giallo a quella grande della chiesa; poi giunsero le due spose, accompagnate ognuna dalla procuratrice dall’altra.
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Il sacrista disse a Bina ed alla sua accompagnatrice di entrare nell’aula piccola, e ad Angela ed alla sua donna di entrare in quella grande – notando però fra sé: “Strano: tutti gli uomini avevano il pendaglio al polso, e tutte le donne una vertiginosa scollatura perché potessi vedere il pendaglio appeso al collo; però le signorine Elena e Fiorenza non erano scollate ed il pendaglio non si vedeva”.
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Un’altra stranezza fu che nell’aula piccola c’erano degli altoparlanti, ma l’accompagnatrice di Bina non sentiva nulla, e Bina le spiegò: “Non ti ricordi che noi vampiri siamo capaci di emettere ed udire frequenze audio fino a 250 kHz, più alte di quelle dei pipistrelli?”
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“Giusto, è vero”, rispose l’accompagnatrice, e Bina proseguì: “Quando siamo soli preferiamo conversare a frequenze tra i 40 ed i 60 kHz, inaudibili dagli umani, e perciò ho inserito un traspositore nell’impianto di amplificazione per portare le voci umane ad altezze vampiriche. Non ti preoccupare, ora ti do un auricolare senza fili con cui ascolti l’audio originale, e così segui la cerimonia”.
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Il rito si svolse come da copione: introito, memoria del battesimo, liturgia della parola, raccolta del consenso, benedizioni nuziali seguite dal bacio – ed allora sia Angela che Bina si resero conto di aver baciato la loro partner secondaria [Elena per Angela, Fiorenza per Bina] e non il loro <i>metamore</i>!
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Le due nubende sfilarono da sotto i vestiti delle loro partner i pendagli, ed ebbero la conferma dello scambio! Le due donne si erano messe d’accordo per scambiarsi i ruoli nella cerimonia nuziale, come avevano fatto Lia e Rachele al momento di sposare Giacobbe! [La Bibbia – Genesi 29:23-25 - dice solo che lo scambio fu opera del loro padre Labano; il <i>Midrash</i> aggiunge che Rachele e Lia acconsentirono e cooperarono nell’ingannare Giacobbe per evitare che Rachele umiliasse Lia sposandosi prima di lei].
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Dopo l’eucarestia, al momento di firmare l’atto di matrimonio, Angela spiegò la situazione al vescovo, che disse: “La procura era a favore di Fiorenza, ma è stata Elena a pronunciare il consenso. Esso non è valido – il matrimonio non è stato celebrato. Ma la procura è tuttora valida, non ha scadenza bensì solo revoca od invalidazione [cfr. Canone 1105 Codice di Diritto Canonico], e quando vi deciderete a fare le cose per bene sarò pronto a sposarvi davvero!”
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Angela e Bina decisero di non dire nulla agli invitati, e lasciar loro credere che tutto fosse andato come previsto – ma quando gli invitati furono partiti, dovettero confrontarsi con Elena e Fiorenza.
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Il viaggio di nozze in Israele era previsto per il giovedì successivo alle nozze – per congedare gli ospiti, sistemare casa e chiesa, e riposarsi un attimo prima di partire; ma il mercoledì pomeriggio suonarono a casa di Angela e Bina Elena e Fiorenza, la prima con dei cioccolatini, la seconda con delle rose in mano.
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Quando aprirono loro, Bina disse: “Se foste venute lunedì mattina, ci sareste state di grande aiuto a riordinare”, mentre Angela osservò: “Forse avreste potuto anche chiarire il perché lo avete fatto”.
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Fiorenza disse: “Mettiamo le rose in un vaso, e poi ci spieghiamo”; furono anche messi i cioccolatini in frigo, e tutte e quattro le donne si sedettero sul sofà a quattro posti.
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Cominciò a parlare Elena: “Lo abbiamo fatto perché volevamo cambiare il rapporto con voi”, e Fiorenza aggiunse: “E tra di noi”.
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Bina chiese: “Perché ‘tra di voi’?”, ed Elena spiegò: “Siamo gemelle identiche, ed anche nella personalità ci somigliamo tanto che ci capiamo spesso senza parlare. Molte persone ci trattano come se fossimo una sola persona in due corpi …”
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Fiorenza aggiunse: “Anche voi ci trattate come se fossimo un solo unicorno diviso in due corpi”.
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“<i>Touché</i>”, disse Bina, ed Angela osservò: “In questo modo insieme si gode di più”.
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“Certo”, riprese Elena, “Ma sentiamo il bisogno di ‘individuarci’, di sentirci persone separate. Abbiamo fatto entrambe le medesime scuole fino alla laurea in medicina, poi abbiamo deciso io di fare ostetricia e ginecologia, lei psichiatria”.
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“Potreste aprire uno studio di sessuologia insieme”, osservò Bina, e Fiorenza replicò: “Certo, ma noi vogliamo essere complementari, non identiche”.
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Elena disse: “Il nostro progetto era sposare io Angela e Fiorenza Bina. Vi avremmo lasciate libere di frequentarvi e scoparvi a volontà, ovviamente”.
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Angela e Bina si guardarono e dissero: “Non avrebbe funzionato. Il rapporto primario lo vogliamo tra noi due, anche se voi due siete importanti per noi”.
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“Però il matrimonio avrebbe consacrato la nostra indipendenza reciproca, in quanto ognuna avrebbe avuto la sua distinta sposa”, osservò Fiorenza.
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Bina disse: “Mi pare che vogliate commettere l’errore di molte persone che si sposano solo per affermare la propria maturità e rendersi indipendenti dalla famiglia d’origine. Ma un matrimonio che nasce così a lungo non dura. Non contraetelo”.
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“Ed avreste fatto meglio a parlarcene prima di fare lo scambio di persone”, osservò Angela, “Mi avete messo in condizione di scrivere dozzine di sermoni sullo scherzo che in Genesi 29 Labano organizzò ai danni di Giacobbe …”
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“… con la complicità attiva delle figlie Lia e Rachele, secondo il <i>Midrash</i>”, volle precisare Bina, ed Angela riprese: “Però non è bello che, per salvare le apparenze, mi abbiate costretto a mentire sul mio stato di vita. Vorrei mentire solo quando devo salvare degli schiavi dai loro padroni, o degli ebrei dai nazisti. Bisogna rimediare al più presto”.
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Elena e Fiorenza mostrarono del rammarico, se non del vero e proprio rimorso, ed Angela e Bina provarono a stringere loro le mani; dalla stretta di mano si passò al bacio, alle carezze, allo spogliarello, al trasformare il sofà in un letto a quattro piazze, ed a farci l’amore.
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All’ora di cena Fiorenza chiese: “Partite lo stesso per il viaggio di nozze?”
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“Pensavamo di sì”, rispose Bina, “La penale per la disdetta è altissima, e quindi tanto valeva partire comunque”.
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“Dove pernottate?”, chiese Elena, ed Angela rispose: “Faremo un pellegrinaggio in Terrasanta, nei luoghi santi ebraici e cristiani. La base sarà un appartamento a Gerusalemme …”
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“… Con due camere da letto, una doppia ed una matrimoniale – non siamo riusciti a trovarne uno più piccolo”, chiosò Bina.
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Gli occhi di Elena e Fiorenza si illuminarono, ed Angela e Bina si misero a ridere; Angela disse: “Dopo il guaio che ci hanno combinato vogliono venire in viaggio di nozze con noi!”
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Bina disse: “Senti, io incoraggio chiunque a visitare Israele. Non vede solo cose belle (i palestinesi sono oppressi in modo orribile), ma si fa un’idea più precisa di com’è fatto il paese. Io direi di portarcele con noi – anche per provare la convivenza con noi, e per capire qual è la soluzione migliore per tutte e quattro”.
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“Pagano il loro biglietto? Dividono a metà l’affitto dell’appartamento?”, chiese Angela, ed Elena e Fiorenza acconsentirono.
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Il giorno dopo tutte e quattro partirono per Tel Aviv, ed una volta lì stupirono la doganiera dichiarando che erano una “<i>polecola</i>” integralmente femminile che festeggiava il viaggio di nozze di due di loro. La doganiera fece più domande del solito (il copricapo lasciava indovinare che era molto religiosa), ma le fece passare, e le quattro donne presero il treno per Gerusalemme, e poi si fecero portare in <i>taxi</i> al loro appartamento, sul lato sud di Via Gerico – sul lato nord c’è il Monte degli Ulivi, che non ha solo diverse chiese che ricordano i vari momenti dell’agonia di Gesù, ma è anche il più grande cimitero ebraico del mondo - poiché una leggenda ebraica dice che da lì inizierà la resurrezione dei morti [le persone sepolte altrove dovranno scavare da sole un <i>tunnel</i> che le porti fin laggiù, e solo allora risusciteranno], chi se lo può permettere si fa seppellire lì.
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Arrivate all’appartamento, le donne si fecero la doccia e vinsero la stanchezza per abbandonarsi ad un’orgia che segnò la riconciliazione e la promessa che, una volta tornate in Italia, il matrimonio si sarebbe svolto senza intoppi.
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Purtroppo, al momento di farsi la seconda doccia prima di cenare, il potente asciugacapelli di Fiorenza, acceso insieme con la lavatrice ed il forno a microonde, fuse i fusibili dell’interruttore generale.
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Bina chiamò l’affittacamere, che rispose che si scusava dell’inconveniente, ma che avrebbe avuto bisogno di un’ora per procurarsi i fusibili e sostituirli – il giorno dopo avrebbe mandato un elettricista a sostituire l’interruttore generale con uno magnetotermico [senza fusibili].
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In quell’ora le ragazze si rivestirono e guardarono fuori dalla finestra in direzione del Monte degli Ulivi – e videro degli strani bagliori blu-verdastri tra le tombe.
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Elena osservò: “Ho letto che l’uso ebraico prevede che i corpi siano sepolti non dentro una bara, ma in un sudario – perciò i gas di putrefazione possono giungere in superficie e brillare per un fenomeno di chemioluminescenza, comunemente detto ‘<i>fuoco fatuo</i>’”.
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La spiegazione tranquillizzò Angela e Fiorenza, ma non Bina, che osservò: “In quella parte del cimitero le sepolture risalgono a non oltre l’anno ebraico 5400, ovvero 1640 dell’era volgare. In quasi 400 anni i gas di putrefazione dovrebbero essersi esauriti, giusto?”
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“Che cosa pensi?”, chiese Angela, e Bina disse: “Temo che stia avvenendo qualcosa di satanico sotto la superficie. Domani proviamo a dare un’occhiata – alla luce del sole rischiamo meno”.
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Il mattino dopo le donne visitarono sia i monumenti ebraici che le chiese del Monte degli Ulivi (con la parziale eccezione di Bina, che non poteva entrare in una chiesa ortodossa senza che l’eucarestia ivi conservata le nuocesse), e passeggiarono anche tra le tombe del cimitero.
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Bina teneva in mano un <i>tablet</i> con un’applicazione che simulava una tavola <i>Ouija</i> per comunicare con gli spiriti – e ad un certo punto lesse sulla tavola: “Sono un vampiro sepolto qui sotto. Puoi parlarmi con gli ultrasuoni”.
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Bina spense il <i>tablet</i>, si sedette laggiù insieme con Angela, Elena e Fiorenza, e cominciò a parlare al vampiro: “Chi sei?”
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Questi rispose: “Tuo cugino Rodolfo”.
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Bina: “Ma … come mai sei qui? Sei stato sepolto in Sardegna dopo essere stato travolto dal tuo trattore”.
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Rodolfo: “Ucciso, vorrai dire. Un rivale in amore mi tirò una sassata mentre guidavo il trattore, caddi a terra, l’acceleratore a mano era inserito, le ruote posteriori mi schiacciarono, e l’aratro multivomere mi fece letteralmente a fette”.
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Bina: “Chi è stato?”
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Rodolfo: “Sono già stato vendicato, non serve che te lo dica. Sono qui perché ai vampiri uccisi è stato concesso di recarsi qui non appena sepolti scavando un <i>tunnel</i> sotterraneo (il mio corpo si è ricomposto per questo) in modo da essere tra i primi a risorgere”.
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“Quindi … tutti i vampiri morti ora sono qui”, osservò Bina, e Rodolfo annuì.
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“Perché state creando dei fenomeni di chemioluminescenza?”, chiese Bina, “Non state semplicemente aspettando la fine del mondo – questi significano che voi state tramando qualcosa”.
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“I <i>fuochi fatui</i>, cioè i fenomeni di chemioluminescenza che tu e le tue amiche avete notato, sono semplicemente il prodotto della putrefazione dei nostri corpi vampirici, che comincia con il nostro arrivo qui”, rispose Rodolfo, “Però stiamo davvero mettendoci d’accordo con Satana per risorgere anticipatamente. Ci vuoi aiutare?”
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“Assolutamente no”, rispose Bina, “Come dicono in Ucraina, il formaggio <i>gratis</i> si trova solo nella trappola per topi, e Satana non aiuta nessuno a fare qualcosa di buono. Quindi state certamente facendo una cosa malvagia che è mio dovere impedire”.
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Improvvisamente Bina sentì che le stavano torcendo il collo, ma prima di svenire sentì Angela gridare: “<i>Allontana, Signore, con il Soffio della tua bocca, gli spiriti maligni: comanda loro di andarsene, perché il tuo regno è in mezzo a noi!</i>”, e sentì immediato sollievo; chiese ad Angela se aveva del sangue in bottiglia, e dopo averlo bevuto disse: “Mio cugino Rodolfo, che è un vampiro sepolto qui sotto, ha cercato di farmi torcere il collo e decapitare perché non volevo acconsentire ai suoi diabolici disegni”.
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“Meglio uscire di qui”, osservò Angela, ed una volta fuori dal cimitero, Bina riferì quello che lei e Rodolfo si erano detti. Fiorenza chiese: “Ma che se ne fa Satana di un gruppo di vampiri risorti?”
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“Non è un semplice gruppo”, rispose Bina, “Se si stima che nel Monte degli Ulivi siano sepolte circa 70 mila salme umane, ho sentito accanto a Rodolfo milioni di vampiri che aspettano il momento giusto per risorgere”.
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“E che succederà dopo la risurrezione?”, chiese Elena, e fu Angela a rispondere: “Un bel genocidio. Satana ha in odio la religione cristiana, ma la radice del cristianesimo è ebraica, ed è più facile sterminare 15 milioni di ebrei di 2 miliardi e 270 milioni di cristiani”.
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“Hitler non odiava solo gli ebrei come razza”, osservò Bina, “ma anche il cristianesimo come sistema di valori”.
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“E siamo in grado di impedire questo abominio?”, chiese Fiorenza, ed Angela rispose: “Satana ha scelto molto bene il suo campo di battaglia: non ci permetteranno mai di organizzare una processione di sacerdoti esorcisti, con sacramentali cristiani, in questo cimitero ebraico - e se spargessimo dall’aria sulla superficie del cimitero briciole di ostia o gocce di vino consacrato sarebbe anche peggio; e di tutte le formule di esorcismo che conosco, ho dovuto usare per salvare Bina quella che non aveva bisogno della croce o dell’acqua benedetta, perché altrimenti avrei nuociuto anche a lei. Non so se basterà per sconfiggere tutti i vampiri in procinto di risorgere”.
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In quel momento i minareti delle moschee intorno al cimitero proclamarono l’<i>adhan</i> della <i>salat az-zuhr</i> [invitando i fedeli musulmani a recitare la preghiera del mezzogiorno], a volume abbastanza alto, e Fiorenza chiese: “Esiste una formula che, proclamata per molto tempo, può neutralizzare questi vampiri?”
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Bina rispose: “I salmi possono andar bene. Si consigliano a scopo esorcistico i salmi 10, 20, 90, 91, e specialmente il 127 [numerazione ebraica]. Cosa vuoi fare?”
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“Pensavo”, rispose Fiorenza, “di manomettere l’impianto di amplificazione di una delle moschee vicine per fargli recitare questi salmi”.
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Angela disse: “Non appena ci scoprono ci arrestano, ed in ogni caso, non è bello entrare nella proprietà altrui, e danneggiare una moschea”.
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“Se inseriamo il traspositore di Bina nell’impianto di amplificazione, i salmi verranno recitati a frequenza ultrasonica, li sentiranno solo i vampiri, e solo al momento di recitare l’<i>adhan</i> [la chiamata alla preghiera islamica], i responsabili della moschea si accorgeranno di quello che abbiamo fatto”, rispose Fiorenza, sbalordendo Elena, ed Angela, che ribatté: “Fare una bella cosa con mezzi disonesti la squalifica. Non possiamo fare come dici”.
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Bina disse: “C’è il modo di fare onestamente come dice Fiorenza: noleggiamo un furgone dotato di altoparlanti, e giriamo intorno al Monte degli Ulivi come Giosuè intorno alle mura di Gerico [Giosuè 6], proclamando quei salmi per il tempo necessario! Se solo i vampiri possono udire quei salmi, non c’è bisogno di permesso – bisogna solo sperare che la polizia non si insospettisca a vedere il furgone continuare a girare intorno al Monte degli Ulivi”.
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L’idea fu approvata, e si decise di ripetere quello che fece Giosuè intorno a Gerico: fu noleggiato un minibus, che fu equipaggiato con sette trombe esponenziali, tarate per dare il meglio di sé nella gamma tra i 40 ed i 60 kHz, e vi salirono 10 cantori ebrei riformati perché recitassero quei salmi nel testo masoretico.
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Il giro del Monte degli Ulivi iniziò domenica, e fino a venerdì si fece un giro solo ogni giorno, dopo il quale la luce dei fuochi fatui si intensificava tanto da sembrare un’aurora boreale; ma sia Angela che Bina erano d’accordo che questo era un segno di debolezza, e non di forza – voleva dire che tutti i corpi vampirici si stavano consumando perché i vampiri stavano vieppiù disperando della risurrezione anticipata promessa loro.
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Sabato bisognava fare sette giri intorno al Monte degli Ulivi, e la polizia fermò il minibus all’inizio del secondo – purtroppo l’autista si era dimenticato la patente a casa, e fu portato al comando insieme con il minibus. Bina non sapeva che fare, ma Angela telefonò ad un monastero di monache greco-ortodosse, che vennero al comando di polizia, smontarono le trombe e l’impianto di amplificazione, li installarono sul loro minibus, e si misero a fare il giro del Monte degli Ulivi recitando i salmi secondo il testo della <i>Settanta</i>.
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La polizia di Gerusalemme quel giorno era particolarmente “indiavolata”, ed all’inizio del terzo giro le monache dovettero dare il cambio ad un gruppo di francescani che recitarono i salmi secondo il testo della <i>Vulgata Pio-Clementina</i>; al quarto giro toccò alle monache carmelitane scalze, che usarono la versione <i>Neo-Volgata</i>; al quinto giro toccò ad un gruppo di luterani in pellegrinaggio che recitarono i salmi secondo la versione di Lutero, ed al sesto a dei cristiani riformati che decisero di recitare i salmi nella traduzione tedesca di Martin Buber e Franz Rosenzweig.
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Al settimo giro toccò a delle cantore ebree riformate che alle trombe aggiunsero le bandiere arcobaleno, si armarono della <i>Biblia Hebraica Stuttgardensia</i>, e recitarono i salmi prescritti, nonché alcune preghiere aggiuntive come “<i>Adon ‘Olam = Signore del Mondo</i>”, “<i>Yigdal = Sia magnificato</i>”, “<i>Avinu Malkeinu = Nostro Padre, Nostro Re</i>”, “<i>Ana Be-Koach = Deh, con forza</i>”, nonché il “<i>Qaddish = Sia santificato</i>” per lodare Dio.
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Si sentì una breve scossa di terremoto, e si vide un bagliore bluastro sopra il Monte degli Ulivi – ma non ci furono né vittime né danni, solo un po’ di spavento, ed Angela, Bina, Elena e Fiorenza ritennero la loro missione compiuta.
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Si concessero una settimana di vacanza in più in Israele, ed al ritorno chiamarono il vescovo vetero-cattolico per celebrare finalmente il matrimonio tra Angela e Bina.
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Il vescovo lo fece volentieri, ma si sentì anche in dovere di dire ad Angela che la loro chiesa era sì progressista, ma chiederle di tenere per parroco una donna impegnata in una “<i>polecola</i>” era troppo, e pertanto lei sarebbe stata sostituita.
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Angela non si perse d’animo: era un medico, Elena e Fiorenza avevano ormai redatto le loro tesi e si sarebbero specializzate a breve, il B&B di Bina era in una grande casa a Roma che poteva ospitare sia l’abitazione di tutte e quattro, che gli studi medici di Angela, Elena e Fiorenza.
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Bina si propose come segretaria e gestrice del sistema informativo degli studi medici associati, e tutte le donne prepararono il trasloco a Roma.
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*** FINE ***</div>
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S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-82956676034302102892019-12-02T18:06:00.001+01:002019-12-31T09:29:34.477+01:00Juno.00016.000 - Gatti - 000<div align="justify">
[Inizio]
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Dopo essersi ben stabilita ad Accra, ed essere diventata ricca insieme con Edna ed Ester grazie ai gioielli "Mami Wata Jewels", Elisabeth scrisse a Juno: "Non è che potete creare una placenta che funga anche da rene artificiale?"
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Xiuhe e Yemoja risposero: "Le placente che produciamo nutrono attraverso l'ombelico ed estraggono dall'ombelico i prodotti di rifiuto. Chi le usa non ha bisogno di urinare. Ma i reni hanno anche altre funzioni, per cui la placenta non è ancora pronta. Chi ha bisogno di un rene artificiale?"
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Elisabeth rispose: "Mia cugina Victoria. Potete mandarci un modello adatto a lei?"
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"Potresti risolvere il problema", risposero Xiuhe e Yemoja, "Ospitandola in casa tua, che è una gigantesca placenta arborizzata che ha ricavato al suo interno abitazione e laboratorio. Lei lascia che la placenta si colleghi al suo ombelico, e così la depuri. Possiamo verificare a distanza le sue condizioni di salute, e personalizzare il trattamento".
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"Ehm ... lei vorrebbe approfittare dell'occasione per venire in Italia", osservò Elisabeth; Juno, sempre morta di figa, disse: "Per me va bene", ma Rebecca osservò: "Ma sai quanto è complicato ottenere un visto per l'Italia per cure mediche?"
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Le difficoltà furono superate, e Victoria, dopo aver trascorso alcune settimane in casa di Elisabeth in cui stabilizzò le sue condizioni e consentì a Xiuhe, Yemoja, e Sandra (nefrologa dell'Ospedale dell'Annunziata di Sassari) di valutare il suo stato di salute, venne a Bosa, dove fu accolta da una placenta arborizzata creata apposta per lei, anzi, due.
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Yemoja spiegò: "A quanto ci è stato detto, ti piace viaggiare; perciò, oltre a quella classica che ti nutre, lava, collega ad Internet, eccetera, ma che non si può spostare da casa, abbiamo creato un modello che sta dentro un vaso di fiori, e che puoi portare in giro. Quando hai bisogno della dialisi, metti il vaso sotto il getto d'acqua di un rubinetto (ovviamente dentro un lavandino con lo scarico aperto), la placenta si collega al tuo ombelico, e funge da rene artificiale".
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"Wow!", disse Victoria.
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"Senz'acqua", precisò Xiuhe, "La placenta nel vaso dura una settimana. Visto che hai bisogno di dialisi tre volte la settimana, credo che non ti succederà mai di lasciarla a secco".
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"Penso proprio di no", rispose Victoria.
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Se Juno sperava di farsi Victoria, fu delusa - al contrario della cugina Elisabeth, era assai morigerata, e la nefropatia aveva ridotto ulteriormente la sua libido. Ma Juno ebbe la sua consolazione.
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Aveva ripreso a frequentare la sua associazione Ebraismo Umanista Sardo, come semplice socio perché altre persone la mandavano avanti egregiamente, ed una sera entrò un vecchio signore con una strana richiesta:
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"Vorreste pregare per la mia gatta?"
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La rabbina Micol ne fu infastidita, Juno chiese: "Che ha la sua gatta?"
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"Leucemia felina. Sono un povero pensionato, e le sue cure stanno diventando sempre più costose. Le ci vorrebbero delle trasfusioni di sangue, ma i gatti hanno i gruppi sanguigni come gli uomini, ed il suo gruppo è raro".
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"La sua gatta è di gruppo B?", chiese Juno, ed il pensionato rispose: "Sì. Come lo ha capito? È una veterinaria?"
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Micol rispose: "Lei è un'enciclopedia in fase di redazione. Nel raro caso che le chieda una cosa che non sa, dopo qualche giorno di studio le dà un'esauriente risposta".
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"Ecco", disse Juno, "Io direi che è il caso di accontentare quest'uomo e la sua gatta. Mi dà il suo nome ed indirizzo, signor ...?"
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"Gianuario. Abito qui a Bosa, e sono il gattaro ufficiale della città, visto che la mia colonia felina è stata riconosciuta dal Comune".
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"Gli altri gatti sono stati testati per la leucemia e l'immunodeficienza feline?", chiese Juno, e Gianuario rispose: "Sì. Tutti esenti da immunodeficienza e vaccinati dalla leucemia. Ma alla mia sfortunata gatta sono affezionato".
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"Possiamo recitare i Salmi stasera per la gatta di Gianuario?", chiese Juno a Micol, che rispose: "Si può fare. Lei, signor Gianuario, può portare la micia nella sala per il culto e pregare insieme con noi?"
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"Sì, ma non pretenderete che io preghi in ebraico!"
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Juno spiegò: "La tradizione ebraica dice che se si prega davanti ad un malato, lo si può fare in qualsiasi lingua; se il malato è assente, bisogna pregare per lui in ebraico. Per questo Micol le ha chiesto di portare la micia".
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"Va bene, porto la micia".
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La preghiera ebraica per un malato assente prevede un minimo di 18 Salmi (2, 6, 13, 22, 25, 30, 32, 38, 69, 88, 102, 103, 107, 116, 118, 142, 143, 130) in lingua ebraica, ma per un malato presente basta anche una preghiera spontanea recitata in una qualsiasi lingua - oppure una preghiera tradizionale detta "Misheberach = Colui che benedì".
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Non è una novità per l'ebraismo americano pregare per un animale da compagnia, ma lo era per una piccola città sarda come Bosa, e molti non ebrei parteciparono ed augurarono buona salute alla micia - durante la cerimonia le fu cambiato il nome da Tina a CrisTina, in quanto la tradizione ebraica lo ritiene di buon auspicio per un malato. L'Angelo della Morte infatti, potrebbe essere confuso dal cambio di nome e non consegnare al malato il Decreto Nefasto.
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Micol, superato l'iniziale fastidio specista, seppe pure improvvisare un sermone in cui preconizzava un futuro messianico in cui tutti gli animali, umani compresi, sarebbero diventati vegani come lo era secondo la Bibbia l'umanità prima del Diluvio, ed in cui l'umanità si sarebbe sentita unita con tutto il resto della creazione - non solo gli uomini non si sarebbero più sfruttati a vicenda, ma non avrebbero più sfruttato gli altri esseri. Si ispirò per questo un po' ad Isaia (capitolo 11), un po' ad Osea (capitolo 2), un altro po' all'afflato mistico di rav Avraham Yitzchak Ha-Kohen Kook (1864-1935).
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Tra i partecipanti al culto c'erano anche Xiuhe, Yemoja, e la veterinaria Giulia, che aveva la micia (Cris)Tina in cura, e le tre donne discussero poi sulla possibilità di creare una placenta apposita per la micia, che contrastasse in modo efficace ed economico gli effetti devastanti della leucemia felina.
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Durante il culto si erano raccolte delle offerte che permisero di far giungere il sangue felino di tipo B dall'estero per via aerea, e salvare per il momento la vita alla micia; tre giorni dopo fu regalata a Gianuario la placenta personalizzata per CrisTina, ed altri quattro giorni dopo fu piantata una placenta arborizzata per i gatti della colonia felina di Gianuario.
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Le due placente funzionarono molto bene - quella collettiva era capace di filtrare i retrovirus come quelli dell'immunodeficienza e della leucemia feline, e pure di vaccinare i gatti che si servivano di lei.
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"Ehm", chiese poi Giulia, "Non si può fare in modo che questa placenta possa rendere sterili i gatti che attingono a lei?"
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"Dici?", chiese Juno, e Giulia insistè: "I gatti in città sono già troppi. Bisogna ridurre le nascite".
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A malincuore, Xiuhe ed Yemoja acconsentirono, cosicché il numero dei felini randagi in città si stabilizzò - il numero giusto per combattere i topi e gli scarafaggi.
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A Juno piacevano i gatti e spesso andava a visitare la colonia felina di Gianuario, ed a carezzare CrisTina - ma si rendeva conto che, malgrado l'aiuto della placenta, la micia deperiva sempre più.
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Chiese allora a Xiuhe: "E se clonassimo CrisTina? Credo che la sua placenta possa raccogliere il materiale genetico, generarla nel proprio utero, e dare a Gianuario una nuova ragione di vita".
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"Apri un vaso di Pandora", osservò Xiuhe, "Le nostre placente hanno permesso a persone intersessuali come Edna ed Ester di figliare, e perfino di rendere feconde le uonioni tra esseri umani biologici e robotici. Se cloniamo la micia, poco ci manca che diventi possibile che umani e felini possano figliare insieme, con l'aiuto delle nostre placente".
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Alla conversazione assisteva Giovanna, la luogotenente dei carabinieri di Bosa, unita civilmente a Giaele, che fece questa domanda: "Queste placente possono trasformare un umano in felino e viceversa?"
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Xiuhe ci pensò e disse: "Perché no? L'uomo entra nell'utero della placenta, e ne esce come gatto; quando il gatto vuole, rientra nell'utero e ne esce uomo".
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"In quante ore?", chiese Juno, "Non è che il bruco diventi farfalla in pochi minuti".
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"E non è solo questo il problema", fece notare Yemoja, "Un umano sano ha un corpo di 70 Kg ed un cervello di circa 1,45 Kg; un gatto sano pesa 3,3 Kg ed ha un cervello di 0,03 Kg. Nella trasformazione umano -> gatto, come smaltiamo l'eccesso di carne? E come immagazziniamo le informazioni del cervello umano in quello felino?"
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"Hmm ...", rispose Juno, "La carne potrebbe essere conservata dentro la placenta per essere restituita al momento della ritrasformazione in umano; le informazioni ... si possono comprimere?"
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Ad un'altra persona avrebbero riso in faccia, ma Xiuhe e Yemoja spiegarono a Juno che non c'era modo di "comprimere" gli "engrammi", cioè le informazioni memorizzate nel cervello. Dopo una breve discussione si giunse alla conclusione che, se si desiderava che il micio avesse prestazioni cognitive umane, l'unica cosa da fare era mantenere attivo il cervello umano dentro la placenta, anche se il resto del corpo umano poteva essere digerito ed immagazzinato come nutrienti grezzi, e tenere collegato il cervello umano a quello felino via rete a 5G perlomeno.
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Giovanna disse: "Scusate, io non ho spiegato bene quello che volevo da voi, e voi avete risolto un problema diverso da quello che avevo in mente. Io pensavo a questo: un Airbus A380-800, il più grande aereo passeggeri in listino, può portare fino ad 853 passeggeri umani (se tutto l'aereo è allestito in classe economica). Moltiplichiamo 853 passeggeri per 120 Kg (comprendendo sedili e bagagli), otteniamo 102.360 Kg; quel peso equivale a 23.804 gatti da 4,3 Kg (comprendendo i trasportini) - con un aereo che potrebbe portare solo un battaglione di umani si può invece aviotrasportare una divisione di gatti".
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"E paracadutarli, magari?", chiese Juno, mentre Xiuhe e Yemoja si guardavano con la faccia di Seneca mentre udiva le pazzie di Nerone, e Giovanna rispose: "Sarebbe un'ottima idea!"
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Xiuhe provò a riprendere il controllo della discussione: "Giovanna, temo che i tuoi piani di guerra abbiano dei seri inconvenienti. Non ci sono armi che dei gatti possano azionare, ed immagino che pertanto tu voglia che i gatti paracadutisti, una volta toccato il suolo, riprendano la forma umana. Mi spiace per il poeta latino Ovidio, ma questo non è istantaneo, ed è possibile solo se i mici toccano una placenta arborizzata specifica. A questo punto, è molto più semplice piantare le placente, anche sotto forma di noci di cocco che devono germogliare, radicarsi, e svilupparsi, nella futura zona d'operazioni, e quando ce ne sarà bisogno partoriranno i soldati che servono. Ci vuol tempo, ma meno che a costruire una Linea Maginot".
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"Giusto", ammise Giovanna, "Vuol dire che l'aereo disseminerà quelle noci di cocco non appena il governo e lo stato maggiore avranno chiare le aree in cui si potrebbe combattere".
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Yemoja aggiunse: "Trasformare un corpo umano in uno felino e viceversa è enormemente dispendioso. Sarebbe molto più semplice avere una placenta che quando ospita il corpo umano lascia libero quello felino, e viceversa. Chi non vuole avere a che fare contemporaneamente con una donna ed una gatta, può usare una soluzione simile".
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"Quanto ci vuole, in termini di tempo ed energia", chiese Juno, "Per far passare un vivente da una forma allotropica all'altra?"
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"Cos'è una forma allotropica?", chiese Giovanna, e Xiuhe rispose: "Ci sono elementi i cui atomi, allo stato solido, possono disporsi nello spazio in modi diversi - l'esempio evidente lo dà il carbonio, che lo incontriamo sia come umile grafite che come prezioso diamante. Un altro esempio è dato dal ferro - il fenomeno viene sfruttato nella tempra. Tal fenomeno è detto 'allotropia', e le diverse configurazioni sono dette 'forme allotropiche'. Juno vuole che consideriamo i corpi umano e felino diverse 'forme allotropiche' del medesimo vivente. Trasformare però l'uno nell'altro non è per nulla semplice o rapido".
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Qualche settimana dopo fu pubblicata questa strana notizia: i gatti che giungevano in Sardegna dovevano passare una quarantena di sei mesi!
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Juno provò a chiedere alla veterinaria Gina se c'era un motivo medico per questo, ed ella rispose: "No. Non è stata scoperta nessuna nuova malattia dei gatti con un periodo d'incubazione di sei mesi".
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Juno tornò a casa e chiese a Yemoja e Xiuhe: "Ne sapete qualcosa?"
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"Perché mai tanto interesse?", chiesero loro, e Juno rispose: "Avete clonato CrisTina poco prima che morisse, e Gianuario è felice come una Pasqua della sua nuova-vecchia gatta. Ma ho visto venire nei laboratori della nostra azienda produttrice di placente persone che si rifiutavano di declinare le loro generalità, ma voi le facevate entrare lo stesso. Che sta succedendo?"
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"Non possiamo dirtelo", risposero le due ginecologhe.
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"Se io voglio all'azienda stacco la spina", ribatté Juno, "Ditemi in che cosa l'avete coinvolta".
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"Diciamo che il piano di guerra di Giovanna è piaciuto tantissimo alle alte sfere", disse Yemoja, e Xiuhe aggiunse: "Un gatto allotropico può convertirsi in umano e viceversa se viene in contatto con una nostra placenta entro sei mesi dall'ultima trasformazione. Dopo 180 giorni non è più possibile ed uno si tiene la forma che ha".
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La sbigottita Juno disse: "Vuoi dire che qualcuno teme che delle persone possano trasformarsi in gatti per venire da noi clandestinamente, e la quarantena serve a sventare il tentativo?"
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"Esatto", rispose Yemoja, "Il divieto vale solo per la Sardegna, perché più facile da difendere", e Xiuhe aggiunse: "E perché tutte le placente arborizzate dell'Isola, che ora ricoprono tutta la superficie incolta, hanno questo potere. Quelle vendute fuori dalla Sardegna no".
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"Avrei dovuto capire che c'entrava Salvini quando ha detto: 'Prima i mici italiani'", concluse Juno, che allarmata aggiunse: "C'è modo di distinguere i mici allotropici, che si ritrasformano in umani, da quelli normali?".
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"Se non entrano in contatto con una placenta arborizzata, no", rispose Yemoja, e Xiuhe aggiunse: "Nemmeno con l'esame del DNA. Infatti i mici allotropici hanno un DNA felino. Soltanto una placenta arborizzata può ritrovare il DNA dell'umano corrispondente e rigenerarne il corpo".
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"Tremendo!", disse Juno, "E se uno uccide un micio allotropico che accade?"
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"La generazione del corpo umano corrispondente è inibita", rispose Yemoja, "Lo hanno preteso i funzionari del Ministero dell'Interno".
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"Ma sarebbe tecnicamente possibile?", chiese Juno, e Xiuhe rispose: "Sì, ma l'abbiamo reso deliberatamente ed estremamente complicato".
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"Mi chiedo che accadrebbe se una persona uccidesse un micio allotropico", disse Juno, "Sarebbe rea solo della morte del micio, od anche dell'umano corrispondente?"
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"L'umano non morrebbe per questo", rispose Yemoja, "Sarebbe in grado di avere interazioni limitate attraverso la rete di placente arborizzate, ma impossibilitato (salvo complesse operazioni) a materializzarsi in un corpo umano".
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"Sarebbe una situazione simile a quella di un sequestro di persona", osservò Juno, "Un grave reato comunque".
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"Ci avevi insegnato", osservò Rebecca, "Che nel diritto penale l'analogia non può usarsi a danno dell'imputato, e questo per ora salva chi uccide un micio allotropico dall'accusa di sequestro di persona".
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"Non solo per ora", ribattè Juno, "Se il micio allotropico è indistinguibile da uno normale, chi lo uccide può sempre dichiarare di essere caduto in errore - che si interpreta sempre in senso favorevole all'imputato".
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Juno pensò un attimo e disse a Yemoja e Xiuhe: "Ehm ... potreste generarmi delle micine allotropiche?"
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Rebecca si mise a ridere e disse: "Juno, non hai abbastanza fiche in casa? Quando lo trovi il tempo di farti anche le gatte trasformate in donne?"
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"Mi piacerebbe però averle lo stesso", rispose Juno, mentre Yemoja e Xiuhe si chiedevano se era più matta Giovanna, che aveva ideato dei gatti da combattimento, o Juno, che voleva che codesti gatti facessero l'amore e non la guerra.
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Yemoja provò a guardare in modo interrogativo Rebecca, che rispose: "Fategliele. Ma rendetele capaci di vivere da sole se Juno si stufa di loro".
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"Certamente", rispose Xiuhe, "Tra l'altro, abbiamo il progetto di far partire una nuova clinica privata, e delle dottoresse, infermiere, tecniche di laboratorio, ingegnere biomediche ci farebbero comodo".
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"Quante ve ne servono?", chiese Rebecca, ed Yemoja rispose: "Sei".
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Rebecca si volse a Juno e le chiese: "Quante gatte allotropiche vuoi per il tuo piacere?"
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"Me ne bastano tre", rispose Juno, e Rebecca ribattè: "Quello che vale per il papero vale anche per l'oca. Altre tre gatte me le prendo anch'io".
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"Va bene, ve le facciamo", rispose Xiuhe, "Ma se queste gatte poi dormono quattordici ore al giorno, e quindi hanno poco tempo per deliziarvi, siete contente?"
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"Va bene", risposero Juno e Rebecca.
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Yemoja e Xiuhe si riservarono di definire le caratteristiche delle micie allotropiche, e predisposero le loro placente.
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Qualche giorno dopo Yemoja chiese a Juno: "Mi fai pizzicare un attimo il pancino?"
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Juno acconsentì, Yemoja le pizzicò anche il mento, il retro dei bracci, l'interno delle cosce, e disse: "Juno, sei un po' ingrassata".
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"Vuoi mettermi a dieta?", chiese Juno, e Yemoja rispose: "No. Volevo proporre un altro lipofilling per spostare questo grasso sul seno".
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Juno rise: "Faccio già concorrenza a Norma Stitz. A che pro?"
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"Vorremmo sperimentare una tecnica innovativa", spiegò Xiuhe, "Sarà la tua placenta arborizzata, opportunamente riprogrammata, a spostare il grasso all'interno del tuo corpo".
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"Se è per il progresso della medicina", rispose Juno, "Ci posso anche pensare".
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"Però la procedura dura un'intera giornata, dall'alba al tramonto", disse Yemoja, "Ti faremo accomodare su una poltrona speciale per prevenire le piaghe da decubito. Ai tuoi bisogni ci penserà la placenta".
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"Va bene", rispose Juno, e Xiuhe aggiunse: "Con l'occasione ti presenteremo le micie allotropiche - prima in forma felina, e poi in forma umana. Si prenderanno cura di te durante l'operazione".
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"E mia moglie Rebecca?", chiese Juno, e Xiuhe rispose: "Può stare con te quanto volete. Presenteremo a lei le sue micie allora".
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Juno firmò il consenso informato, il mattino dopo fu fatto accomodare sulla poltrona, la placenta inviò una propaggine al suo ombelico, e dopo essere entrata cominciò l'operazione di spostamento delle masse grasse - e di creazione di sostegni sottocutanei, perché c'era altrimenti il rischio che la pelle cedesse sotto il peso del tessuto mammario e si spaccasse.
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Il giorno dell'operazione, Juno fu fatta accomodare nella speciale poltrona, e commentò: "Non è opera di un mobiliere - è la foglia di una placenta arborizzata".
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"Si adatta meglio di qualsiasi mobile al tuo corpo, Juno", osservò Xiuhe, che aggiunse: "Ora andiamo a prendere le gatte - quelle tue e quelle di Rebecca. Poi cominciamo".
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Erano sei magnifiche squame di tartaruga, ognuna con la propria combinazione di colori; tre si strusciarono contro le caviglie di Rebecca, tre, più ardite, saltarono sulla pancia di Juno e si strusciarono contro le sue tette.
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"Mi sa che ognuna ha scelto il proprio umano", osservò Yemoja, e Juno e Rebecca annuirono.
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Le due ginecologhe Xiuhe e Yemoja portarono nella stanza sette placente arborizzate, ognuna nel proprio vaso, li posero dentro un grande lavatoio, ed aprirono i sette rubinetti dell'acqua, che avevano ognuno una portata da idrante antincendio.
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Yemoja spiegò: "Ora trasformeremo le sei micie in sei donne adulte; la settima placenta serve per spostare il grasso di Juno dal pancino al seno".
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"Perché le avete messe nel lavatoio?", chiese Rebecca, e Xiuhe rispose: "Come si fa a trasformare una micia di 3,3 Kg in una donna di 65 Kg?"
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"Le placente trasformano l'acqua in carne!", rispose Juno, e Xiuhe annuì. Anche Rebecca fu fatta accomodare su una foglia di placenta piegatasi a mo' di sedia, e dalle placente uscirono delle propaggini che raggiusero gli ombelichi delle micie e di Juno.
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Dopo pochi minuti si videro le gatte adulte trasformarsi in neonate umane, e poi cominciare a crescere e svilupparsi, diventando in meno di un'ora delle adulte di apparente età anni 18.
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Più lento fu il processo per Juno, che vide diminuire la pancia e crescere il seno - ma anche sentire che sotto la pelle stava nascendo una specie di mensola che sosteneva il tessuto mammario. Dopo due ore Yemoja le chiese: "Vuoi arrivare al punto in cui tutto il grasso si concentra nel seno, e si vedono nettamente i confini tra un muscolo e l'altro del corpo?"
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"No, non voglio la tartaruga. Fate di me una donna magra, salvo che nel seno, ma non una body builder", rispose Juno, che aggiunse: "Le ragazze non aprono bocca?"
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"Stanno imparando la vostra lingua", rispose Xiuhe, "Aspetta ancora un po'".
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Alcuni minuti dopo, le ragazze si presentarono: "Ciao, io sono Anna"; "Io Beatrice. Ciao"; "Sono Chiara. Ciao"; "Sono Daniela, e mi piacete"; "Sono Elena. Vi voglio bene"; "Sono Felicia. Vi amo tutte".
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Anna, Beatrice e Chiara erano le gatte che avevano scelto Rebecca, si avvicinarono a lei, la abbracciarono, carezzarono e baciarono; Daniela, Elena e Felicia erano quelle che avevano scelto Juno, e fecero lo stesso con lei.
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Tutte le gatte allotropiche tentarono un approccio sessuale con le rispettive umane di riferimento, ma Xiuhe dovette dire loro: "Ad Anna, Beatrice e Chiara non dico nulla; a Daniela, Elena e Felicia consiglio di astenersi finché non termina l'intervento che sta subendo Juno. Mi spiace, Juno, non vorrei che si sbilanciasse la distribuzione del grasso mammario".
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Rebecca ne fu contenta, in quanto Anna, Beatrice e Chiara le fecero un servizio magnifico; Juno si accontentò di venir coccolata fino alla fine dell'intervento - che riuscì molto bene.
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Dopo che anch'ella venne soddisfatta, Yemoja entrò nella stanza e chiese alle sei gatte allotropiche che professione avevano scelto per la loro vita da umane.
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Anna rispose: "Sono ingegnera biomedica".
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Beatrice: "Ingegnera informatica".
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Chiara: "Ingegnera navale".
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Yemoja commentò: "Complementate bene Rebecca, che è ingegnera idraulica. Voi altre tre che rispondete?"
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Daniela: "Chirurga plastica".
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Elena: "Endocrinologa".
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Felicia: "Psichiatra".
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Xiuhe osservò: "Potreste costituire un'équipe medica specializzata in confermazioni di genere. Se Juno si reiscrive all'albo degli avvocati ..."
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"Sono sempre iscritta all'albo", ribattè Juno, "Farò buon uso di queste ragazze".
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[Fine]
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S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-18107670978734441272018-12-17T13:29:00.001+01:002019-05-12T10:59:50.349+02:00Juno.00015.000 - Ghana - 000<div align="justify">
[Inizio]
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Un mattino squillò il telefono di Juno - mentre era a letto con Rebecca. Avevano finito da un po', quindi Juno rispose con voce melliflua:
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"Ciao, Victor. Come va?"
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"Di merda".
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"Parli un italiano magnifico. Che è accaduto?"
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"Mio figlio Solomon ha preso la macchina senza avvertirmi, e devo andare ad Alghero a prendere mia sorella all'aeroporto. Mi puoi dare una mano?"
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"Un attimo che chiedo alla mogliettina", rispose Juno prima di riattaccare.
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Rachele disse: "Questa giornata doveva essere per noi due. Per questo ho mandato le figlie a fare una commissione".
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"Dove?"
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"Ad Alghero".
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Juno telefonò ad Ester ed Edna, che risposero: "Abbiamo finito. Se vuoi possiamo passare all'aeroporto e prendere la sorella di Victor. Passaci il numero e lo chiamiamo".
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Mentre Juno e Rebecca riprendevano quello che stavano facendo, Edna ed Ester si erano fatte mandare da Victor la foto della sorella Elisabeth.
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Victor aveva commentato: "Ora potete riconoscere mia sorella - ma come lei riconosce voi?"
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"Siamo gemelle siamesi onfalo-ischiopaghe", rispose Edna, ed Ester spiegò: "Abbiamo due gambe e quattro braccia - non possiamo non farci notare".
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Nemmeno Elisabeth poteva passare inosservata - la tabaccaia di Amarcord al confronto sembrava un tavolo da stiro.
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Per stringere la mano Elisabeth la estendeva verso destra per non dare il pretesto di toccarle il seno; con le due sorelle onfalo-ischiopaghe decise invece di abbracciarle e baciarle sulle guance, turbandole assai.
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"Starai molto qui in Sardegna?", chiese Edna, ed Elisabeth rispose: "Non so. Ma ne parleremo in macchina".
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Più che una macchina, era un furgone così modificato: sedile con una sola seduta (le gemelle avevano un sedere in due), e schienale doppio (per i loro due tronchi che si biforcavano a partire dall'ombelico), cinture di sicurezza con gli arrotolatori in mezzo allo schienale ed i ganci ai lati del sedile, pedaliera e cruscotto centrali, cambio automatico con leva al volante, volante che si poteva far scorrere a destra od a sinistra a seconda che lo dovessero impugnare Edna (la gemella di sinistra) od Ester (la gemella di destra).
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Su quel sedile potevano sedersi Edna ed Ester, oppure un solo guidatore tipico (ma alquanto scomodamente - era stata Juno ad insistere che fosse possibile ad un terzo poter manovrare quel furgone); ai lati di quel sedile c'erano due poltrone normali da automobile, ma Elizabeth chiese di potersi sedere dietro, dicendo: "Non c'è cintura di sicurezza abbastanza grande per il mio petto. Dietro posso evitare di allacciarla".
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"Dovresti farlo comunque", rispose Edna, "Ma va bene così".
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Elisabeth si sedette proprio in mezzo, poggiò il suo grande seno sulle cosce, e si trovò con la testa in avanti, ed il naso tra le orecchie di Edna ed Ester sedute sul loro sedile. Ester avviò il furgone, mentre Edna iniziò la conversazione: "Elisabeth, sei qui in vacanza, per trovare tuo fratello Victor e la sua famiglia?"
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"Per trovare mio fratello sì, ma non sono in vacanza. Forse ve ne siete già accorte, ma io sono lesbica, e poiché sono ferocemente perseguitata nel mio paese, voglio chiedere qui asilo politico".
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Edna disse: "Ci eravamo accorte che il tuo abbraccio era più sensuale che amicale", ed Ester aggiunse: "Noi due siamo bisessuali ed intersessuali. Non ci spaventiamo per così poco".
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"Bisessuali, lo capisco. Intersessuali perché?"
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"Sindrome di Morris, ovvero di Completa Insensibilità agli Androgeni", spiegò Edna, "I nostri cromosomi sessuali sono XY, ma il nostro corpo è femminile".
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"Non abbiamo l'utero, ma la fica funziona bene", si premurò di precisare Ester, "I rapporti penetrativi ci possono mettere in difficoltà, invece, perché abbiamo la vagina stretta e corta".
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"Con me non avreste problemi", disse Elisabeth, e tutte e tre arrossirono e risero per l'involontaria profferta sessuale.
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Edna cercò di tornare seria e disse: "L'attuale governo italiano ha abolito i permessi umanitari ed imposto una stretta sulla protezione internazionale. Ti sarà molto più difficile rispetto all'anno scorso avere l'asilo politico".
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"Se riesco ad averlo, trasferisco in Italia la mia impresa".
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"Di che si occupa?", chiese Ester, ed Elisabeth rispose: "Di oro. Io e mio fratello veniamo da Ife, nello stato nigeriano di Osun, ricco d'oro".
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"Curioso", osservò Edna, "Nostra zia Debora fa l'orafa".
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"Potrei dare una mano", disse Elisabeth, "Victor mi ha detto che i tempi della concessione dell'asilo sono lunghi, ed intanto qualcosa dobbiamo mangiare, io e le mie ragazze".
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Mentre diceva "ragazze" Elisabeth si diede due manate ai lati dei seni, Edna ed Ester capirono di che lei parlava, risero, ed Ester aggiunse: "La zia ha un po' lasciato perdere la bottega, ma se tu le dessi una mano potreste farla rifiorire. Certo, i gioielli sardi sono diversi da quelli nigeriani".
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"Imparo facilmente, non vi preoccupate", disse Elisabeth, "Magari lanciamo una nuova linea di gioielli con caratteristiche sardo-guineane".
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Ad Edna l'idea piacque, Ester chiese: "Posso farti una domandina?"
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"Sentiamo".
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"Noi qui in Europa ci lamentiamo che lesbiche e bisessuali sono 'invisibili'. Come mai ti hanno scoperto?"
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"Diciamo che i miei comportamenti sono sempre stati un po' sospetti - non ho mai assunto un uomo nella mia ditta, e le donne che assumevo, chissà perché, si somigliavano tutte nella corporatura".
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"Se la legge nigeriana te lo permette ...", osservò Edna, "Qui in Italia invece, se vuoi assumere solo donne devi spiegare perché".
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"Non è difficile mettere un candidato maschio in condizione di inferiorità rispetto alle candidate femmine. La vostra legge può dire quello che vuole, la frego lo stesso".
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"D'accordo", disse Ester, "Ma come ti hanno scoperto?"
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"Ho curato l'isteria alla moglie del mio direttore di banca ...", rispose Elisabeth, ed Edna ed Ester risero così tanto che dovettero fermarsi in una piazzola per non uscire di strada.
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Dopo che tutte e tre ebbero smesso di ridere, Elisabeth aggiunse: "Poi ci si è messo mio fratello Victor, che era nato come Jane, ma ha transizionato. La notizia si è risaputa, e per molti il sospetto si è trasformato in certezza".
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"Che tipo di persecuzione hai subito?", chiese Edna, ed Elisabeth rispose: "Boicottaggio commerciale, minacce alle mie dipendenti. Un uomo una sera si è sollevato la galabiyyah davanti a me dicendomi che ero lesbica perché lui non lo avevo ancora provato. Gli risi in faccia e tirai dritto, ma non feci in tempo ad arrivare a casa che trovai dei poliziotti che mi arrestarono perché lui aveva dichiarato loro che mi ero offerta di fargli un pompino, e lo avevo invece morso".
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"Oh santo cielo!", dissero Edna ed Ester.
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"La menzogna fu smentita il mattino dopo - il signore si era fatto mordere dalla sua cagna; ma molta gente non volle credere al giudice, e dovetti chiudere le pagine Facebook, Linkedin e Web della ditta e mie personali perché travolte da commenti odiosi e pure da tentativi di hacking. Qualcuno aveva addirittura postato dei fotomontaggi con la mia testa sul corpo di Norma Stitz dicendo che non c'era uomo che potesse vedermi così, ma solo le donne".
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<br /></div>
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"Sei più bella di lei", osservò Edna, mentre Ester commentò: "Una persecuzione seria; non so però se riuscirai a convincere la commissione competente a concederti la protezione internazionale".
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<br /></div>
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"Ho un piano B", rispose Elisabeth, "ma ... vedo un magnifico mare da questa piazzola. Possiamo uscire un attimo e godercelo?"
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<br /></div>
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"Certo", dissero le sorelle siamesi, "Abbiamo scelto la strada costiera Alghero-Bosa per il panorama".
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Le tre donne scesero; Elisabeth si mise dietro le schiene di Edna ed Ester, sfiorò le loro spalle con le mani, e, poggiando i suoi capezzoli sulle loro schiene disse, mentre i suoi occhi fissavano il mare: "Vi ringrazio molto non solo per il passaggio, ma anche per avermi ascoltato. Siete le prime a cui posso dire tutto questo".
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Edna ed Ester si girarono ed abbracciarono Elisabeth, dicendole: "Non hai solo bisogno di conforto. Hai bisogno anche di amore e piacere. Lo vuoi da noi?"
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<br /></div>
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"No, non adesso", rispose Elisabeth; Edna ed Ester la baciarono agli angoli della bocca, sciolsero l'abbraccio, e riaccompagnarono Elisabeth al furgone.
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<br /></div>
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Non era l'unica piazzola dalla quale ammirare il mare - ce n'erano altre con un panorama anche migliore; Elisabeth chiese alle sorelle siamesi di fermarsi ad una di quelle, quando scesero le prese per mano, e chiese: "C'è un angolo appartato?" Le due sorelle glielo trovarono, e godettero tutte e tre tanto che arrivarono con tre ore di ritardo a Bosa.
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Entrando in città, Edna chiese ad Elisabeth: "Sei naturista?"
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"No, nudista. Penso che il naturismo sia un po' ipocrita".
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<br /></div>
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"Grazie per la franchezza", ribattè Ester, "Edna te lo ha chiesto perché siamo una famiglia naturista. Dentro casa ci vestiamo solo per autoprotezione. Va bene anche a te?"
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"Benissimo. Posso chiedervi di farmi una doccia prima di mostrarmi in tutta la mia gloria? È da dieci ore che viaggio".
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Ovviamente acconsentirono; quando il furgone di Edna ed Ester entrò nel cortile di casa Dejana, tutte le donne di casa uscirono nude ad accogliere Elisabeth - perfino Victor Basenji aveva vinto la sua riluttanza a mostrare il suo corpo "morphed" dalla transizione, e si era presentato nudo davanti alla sorella.
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Le fu mostrata la doccia, e pochi minuti dopo Elisabeth ne uscì come mamma l'aveva fatta, anzi, come Venere nascente dalla spuma del mare.
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Fecero accomodare Elisabeth alla destra di Victor, ed a sinistra di Edna ed Ester; Elisabeth chiese al fratello: "Tua moglie Mary ed i figli Joshua e Solomon?"
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"A mia moglie l'idea di spogliarsi davanti a degli estranei non piaceva, ed ha preferito lasciarci soli".
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Anche Juno era nuda, e Victor spiegò ad Elisabeth che aveva fatto una transizione speculare alla sua: Victor non voleva il seno, Juno se lo era procurato. Poiché però entrambi amavano il piacere, e le ricostruzioni chirurgiche sono da questo punto di vista pessime, si erano tenute i genitali con cui erano nate.
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"Avete fatto bene", disse Elisabeth, che poi chiese a Rebecca se poteva dire una cosa un po' "risqué" a Juno. Rebecca acconsentì, ed Elisabeth disse papale papale: "Sei una donna, ma ce l'hai più grosso di quello che prima si è sollevato la galabiyyah, e poi si è inventato una storia assurda per farmi arrestare. Brava!".
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Yemoja commentò: "Beh, solo chi ha paura di essere insufficiente fa queste bravate".
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Juno ringraziò, notò che Elisabeth e Victor si somigliavano davvero molto, e chiese: "Siete gemelle?"
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"Biovulari", rispose Victor, "Avevo un seno notevole, ma più piccolo di quello di mia sorella".
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Insieme con loro c'erano anche Rosaria, Carmela, Concetta, Annunziata; Elisabeth chiese loro: "Come vi chiamate? Chi sono i vostri genitori?"
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"Sono nostre figlie", risposero Edna, Ester ed Encarnaciòn, presentando poi ognuna delle bambine ad Elisabeth.
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"Non avete detto che siete senza utero?", chiese stupita Elisabeth, ed Yemoja spiegò come era stato possibile che Edna avesse Rosaria e Carmela con l'aiuto di Encarnaciòn, ed Ester Concetta ed Annunziata, sempre con l'aiuto di Encarnaciòn.
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"Siete una famiglia moderna", osservò Elisabeth, che aggiunse: "Scusate la faccia tosta, ma ho fame. Quando si mangia?"
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"Non c'è bisogno di masticare qui", rispose Xiuhe, che tolse il coperchio dal centro del tavolo attorno al quale erano sedute, spiegò brevemente come funzionavano le placente arborizzate che producevano, e lasciò che dal tavolo uscissero le propaggini della placenta collettiva della famiglia Dejana, ognuna diretta ad un ombelico.
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Tutte le presenti della famiglia Dejana lasciarono che l'ombelico si congiungesse alla sua propaggine; Elisabeth e Victor erano un po' perplesse, e le propaggini, rendendosene conto, esitarono.
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Yemoja disse: "Se non le volete nell'ombelico, potete succhiarle con la bocca. Il rendimento è inferiore, ma producono un lattice squisito".
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Victor ed Elisabeth accettarono il suggerimento, e si trovarono in bocca non liquido dal sapore non di latte, ma di cioccolato, che rapidamente li saziò.
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Anche attraverso la bocca un minimo di comunicazione intraplacentare era possibile, e Victor ed Elisabeth si resero conto di ... essere attratti l'uno dall'altra, e di ... baciarsi attraverso le propaggini che avevano in bocca.
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L'attrazione c'era sempre stata, si resero conto, ma l'avevano sempre repressa come si conveniva ad una coppia fratello-sorella. Si abbracciarono senza che nessuno della famiglia Dejana avesse da ridire - ma ora che dovevano fare?
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"Ti ospiterei in casa mia", comunicò Victor attraverso la propaggine, "In fin dei conti sei mia sorella. Ma temo che mia moglie mangi la foglia, e dei miei due figli non mi fido molto. Non vorrei che ti molestassero".
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"E che faccio allora?", chiese Elisabeth, sempre attraverso la propaggine.
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La conversazione tra Victor ed Elisabeth era privata, ma Debora intervenne: "Edna ed Ester mi hanno detto che avevi una ditta orafa in Nigeria; ed anch'io ho un laboratorio e negozio di oreficeria. Potresti darmi una mano".
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Juno precisò: "Sarebbe un lavoro in regola, Elisabeth: tu presenti la domanda di asilo politico, richiedi la residenza a Bosa, e dopo 60 giorni puoi iscriverti alle liste di collocamento. A questo punto Debora può assumerti".
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"Con che qualifica?", chiese Elisabeth, e Debora rispose: "Non so ancora quello che sai fare. Per il momento sei una semplice operaia artigiana, e poi vedremo".
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Victor osservò: "Ottima idea, ma non posso ospitare mia sorella in casa. Temo screzi con mia moglie e problemi con i miei figli adolescenti che hanno più testosterone che plasma nel sangue".
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Elisabeth rise, volse lo sguardo ad Edna ed Ester, le quali risposero all'appello: "Rebecca, c'è una camera con bagno inutilizzata nel nostro palazzo e nel nostro stesso piano. Potremmo ospitarla lì".
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"Se a voi fa piacere", disse Rebecca, che aveva mangiato la foglia, "Certamente. Ah, Elisabeth, ti avverto che la nostra famiglia non è soltanto naturista, ma anche anarco-relazionale."
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"Che vuol dire?"
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"Che chiunque può far l'amore con chiunque", rispose Juno, "Senza pretesa di esclusività. La gelosia è un problema di chi la prova, non dell'altro. Perciò, se trovi una bella occasione qui a Bosa, non lasciartela scappare!"
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"Bello. Me ne ricorderò", disse Elisabeth, ed Yemoja si avvicinò a lei dicendo: "Se ti è piaciuto succhiare il lattice di questa placenta, prova a lasciarla congiungersi con il tuo ombelico!"
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Elisabeth accettò, e non ricevette solo nutrimento, ma anche connettività con tutte le altre persone presenti a tavola, che andava dalla semplice amicizia con Juno, alla sorellanza con tutte le donne cis presenti, ad un rapporto simile a quello tra zia e nipoti con le ancora bambine Rosaria, Carmela, Concetta, Annunziata, la prosecuzione dell'intimità sessuale con Edna ed Ester ... ma non c'era nessun contatto con Victor, che continuava a tenere la propaggine in bocca.
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Elisabeth gliela staccò delicatamente, e l'accostò all'ombelico. Victor la recepì, e condivise la passione con la sorella, e l'amicizia con tutte le presenti.
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Le comunicazioni placentari tra Elisabeth e Victor erano riservate, ma le emozioni furono tradite dai loro corpi, tanto che Encarnaciòn dovette spiegare alle bimbe (Rosaria, Carmela, Concetta, Annunziata) che quello che Victor ed Elisabeth stavano provando si chiamava "orgasmo".
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Terminata la cena, Edna ed Ester allestirono la camera di Elisabeth. Sulle prime, le tre donne andarono a letto ognuna nella propria camera; poi Elisabeth si recò da Edna ed Ester con il pretesto di parlare, e da parola nacque cosa.
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Il mattino dopo Juno presentò ad Elisabeth la domanda di richiesta di protezione internazionale da firmare; Elisabeth ne lesse la versione inglese (non conosceva l'italiano), e chiese: "Juno! Come fai a sapere tutte queste cose di me?"
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"Tesoro, mentre ... comunicavi ... con tuo fratello Victor hai secretato ciò che vi comunicavate allora, ma non i tuoi ricordi. È un errore che spesso commettono le persone collegate la prima volta alla loro placenta. Ammetto di averne approfittato per sapere tutto quello che poteva motivare una richiesta di asilo politico".
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"Hai fatto bene, ma non dire in giro quello che sai", rispose Elisabeth, e Juno assentì.
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La domanda fu immediatamente consegnata alla Questura di Nuoro, che la inoltrò alla Commissione Territoriale competente per il riconoscimento della protezione internazionale, ed emise per Elisabeth un permesso di soggiorno valido tre mesi.
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Debora disse: "Per due mesi devi mangiare a sbafo a casa mia ..."
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"Me ne dispiace", rispose Elisabeth, "Ma ormai ho imparato a far buon uso della placenta arborizzata. Non vi peso".
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"Infatti non ti rimprovero", disse Debora, "Ma ti consiglio di studiare in questi due mesi questi libri sull'arte orafa italiana e sarda, così fra due mesi saprai che mi aspetto da te".
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Elisabeth li aprì, e disse: "Magnifiche immagini, stupendi gioielli. Ma sono arrivata ieri in Italia. Non conosco ancora la lingua. Come faccio a leggere questi libri?"
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"Ti presento Eva. Sarà la tua insegnante d'italiano - e se vuoi anche di sardo".
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Eva era la robota che Juno aveva comprato a Marsiglia prima di affrontare un lungo cabotaggio fino ad Odessa e ritorno, e si era dimostrata utile anche fuori dal letto. Peculiare abilità era in lei imparare in due ore una lingua straniera googlando nei siti redatti in essa.
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"Sei anche carina", disse Elisabeth, ed Eva, mostrando piacere e timidezza insieme, disse: "Un bell'aspetto fa apprezzare anche il cervello. Sono qui per servirti, ed entro due mesi il tuo italiano sarà C2, ed il tuo sardo B1".
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"Del Twi che puoi dirmi?"
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Eva non sapeva cos'era il Twi [la principale lingua africana parlata in Ghana, nonché in parte della Costa d'Avorio], glielo insegnò Google, e dopo aver scorso diversi siti in quella lingua disse (il tutto in meno di un minuto): "Posso insegnarti anche quello. Ma una robota come me che la impara col machine learning, ovvero trangugiando documenti web, e senza possibilità di conversazione, non riesce a portare sé e te oltre il B1".
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"Potrebbe bastare", disse Elizabeth, ed Eva e Debora chiesero: "Bastare a che?"
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"Mettiamo che non mi riconoscano lo status di rifugiata ..."
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"Improbabile", disse Debora, ed Eva aggiunse: "La domanda di Juno era molto convincente".
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Elisabeth non ne fu convinta: "Il vostro ministro Salvini sta facendo di tutto per azzerare le richieste d'asilo - ce ne rendiamo conto pure noi dall'Africa. Mi serve pertanto un piano B".
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"Vuoi emigrare in Ghana?", chiese Eva, ed Elizabeth rispose: "Chiunque faccia parte della diaspora africana può diventare cittadino ghanese, se convince il ministero competente di essere un buon acquisto per il paese, e conosce oltre all'inglese una delle 11 lingue indigene del paese".
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"Ed il Twi, nei suoi dialetti mutuamente intelliggibili, è la più nota", osservò Eva, "Quale dialetto ci mettiamo a studiare?"
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"Il più prestigioso è l'Akuapim, vero?", chiese Elisabeth, ed Eva rispose: "Sì, perché è il primo in cui fu tradotta la Bibbia".
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"L'importante è che il ministero ghanese sia meno omofobo del ministro italiano", commentò Debora.
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Il corso d'italiano e sardo procedé bene, anche perché Eva portava spesso Elisabeth a passeggio per Bosa, facendole così fare conversazione di ogni tipo con gli abitanti - sia sardi che italiani od africani; Debora avrebbe preferito che Elisabeth l'aiutasse in negozio, ma sarebbe stato troppo sospetto; Edna ed Ester passavano piacevoli momenti con Elisabeth, ma Juno un giorno dovette richiamare tutte alla realtà.
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"Ho esaminato le sentenze della Commissione Territoriale competente", spiegò, "E sembra che i componenti non capiscano niente di omosessualità. Nei pochi casi in cui hanno concesso l'asilo politico per questo motivo, il richiedente era una 'sfranta' oppure una 'camionista'. Altre persone che avrebbero fatto scattare in me il 'gaydar' sono state trattate da simulatori".
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"Dici che non sono abbastanza 'frocia' per la Commissione?", chiese Elisabeth, in perfetto italiano, e Juno rispose: "Guarda, se dicessi che io sono trans e mi vogliono morta perché trovano incongruo che io abbia il pisello e le tette, mi risponderebbero: 'A chi la vuoi dare a bere?'"
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"Insomma, la Commissione sarà di genere femminile, ma è di sesso maschile perché è piena di coglioni!", osservò Elisabeth facendo ridere tutta la famiglia, e Juno disse: "Ecco, con questo linguaggio potresti forse convincerla che sei una 'camionista'. Ma rischi l'incriminazione per offesa a pubblico ufficiale".
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Debora chiese ad Eva: "Come va l'apprendimento dell'italiano?", ed Eva rispose: "Domani ha l'esame per il CILS, Certificazione d'Italiano come Lingua Straniera. Ci pensate voi, Edna ed Ester, a portare Elisabeth ad Alghero?"
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"Con vero piacere!", risposero con gli occhi lucidi le due ragazze, ed Eva dovette pregarle: "Storditela dopo, non prima! Al momento dell'esame dev'essere lucida!"
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Tutte risero, ma Elisabeth disse ad Eva: "Io ti ringrazio per tutto quello che mi hai insegnato, ma ti devo chiedere una cosa: perché non l'hai mai voluto fare con me?"
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Eva si sentì un po' imbarazzata, ma spiegò: "Sei una gran donna, ma due cose mi hanno dissuaso dall'avere una relazione sessuale con te: la prima è che sono la tua insegnante, e non è etico che l'insegnante abbia rapporti con l'allieva; la seconda è che io sono una novizia carmelitana scalza, anche se sono una robota. Mi hanno mandato a casa per le vacanze estive, e ti ho volentieri aiutato ad imparare le lingue che desideravi. Però ... niente sesso".
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"Non l'hai mai fatto?", chiese stupita Elisabeth, ed Encarnaciòn rispose: "Ho fabbricato io Eva. Doveva essere un''etera', una robota sessuale, ma aveva abbastanza cervello da volere un destino diverso. Ed una padrona - Juno - che l'ha capita ed appoggiata in questo. Eva ha fatto molta esperienza in questo campo, ma non ha più importanza".
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"Posso abbracciarti per ringraziarti?", chiese Elisabeth, ed Eva rispose: "Per questa volta soltanto. Il miglior ringraziamento me lo darai prendendo C2 domani".
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All'esame le fu chiesto di commentare un brano tratto dal libro di Costanza Miriano "Sposati e sii sottomessa", quello in cui l'autrice argomentava che nella lettera di Paolo agli Efesini il verbo "sottomettere" significava "stare sotto per sostenere".
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Elisabeth andò su tutte le furie e disse all'esaminatrice, che portava una medaglietta miracolosa al collo: "Voi credete forse che noi, perché siamo africani, siamo ignoranti? In Africa siamo molto più religiosi di voi italiani, qualunque sia la nostra religione; noi cristiani africani la Scrittura la studiamo bene, ed io mi sono imparata l'ebraico ed il greco per capirla meglio! Interpretare in quel modo il verbo greco 'hypotasso' equivale a dire non solo che il marito ha bisogno di essere sostenuto dalla moglie (Ef 5:22), ma anche che Gesù ha bisogno di essere sostenuto dalla chiesa (Ef 5:24) e dalle cose create (1 Cor 15:27) , e che il Padre ha bisogno di essere sostenuto dal Figlio (1 Cor 15-27-28)! Una volta chi diceva queste sciocchezze finiva al rogo, ed ora si fa lodare dai vescovi? Ma quanto si è allontanata la chiesa cattolica dalla Parola?"
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La devota esaminatrice provò a ribattere, ma gli argomenti di Elisabeth erano inesorabili, ed il capo della commissione pose fine alla discussione dicendo: "Signora Elisabeth, lei si è guadagnata il C2. Nemmeno i miei professori di liceo avrebbero saputo argomentare come lei".
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Purtroppo, la medesima esaminatrice faceva parte anche della Commissione Territoriale competente, e si vendicò al momento dell'udienza. Come aveva detto Juno, la commissione valutava l'orientamento sessuale delle persone sulla base di stereotipi - ed un radicato stereotipo, non privo di eccezioni neppure in Italia, era che era possibile che ci fossero dei gay cristiani, ma nessuna lesbica potesse essere cristiana, perché la religione cristiana era troppo patriarcale per loro.
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Le qualità di biblista di Elisabeth, e la sua stessa fede cristiana, divennero perciò la dimostrazione che lei non poteva essere considerata lesbica, e che se lei non aveva convinto i suoi persecutori di questo, era perché ci voleva marciare sopra, non perché i persecutori avessero più cervello dell'esaminatrice. L'asilo politico fu perciò respinto, ed Elisabeth invitata a lasciare l'Italia.
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Erano però passati dei mesi dall'esame d'italiano all'udienza, e nel frattempo Elisabeth aveva cominciato a lavorare nell'oreficeria di Debora. Era veramente molto brava, ed imparò rapidamente a creare gioielli di gusto sardo, e creò pure una linea di gioielli in cui si mescolavano motivi sardi a motivi dell'Africa occidentale.
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In omaggio al Ghana ed alla sua tradizione dei "kente" (tessuti colorati creati dal popolo Akan), Elisabeth creò pure una linea di gioielli di oro smaltato che ne imitavano i motivi, così come un'altra linea di gioielli in oro smaltato che imitava i colori dei costumi sardi - ebbe anche il buon gusto di scegliere forme e colori compatibili, che permisero ad Juno ed alle altre clienti di indossare contemporaneamente gioielli delle due linee senza stonare.
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Questi gioielli fecero un figurone alla Fiera dell'Oro di Vicenza, rilanciando l'oreficeria di Debora ed Elisabeth (quest'ultima era ormai socia); Debora al consiglio di famiglia disse: "Per soddisfare gli ordini, devo assumere almeno altre due orafe. Come faccio?"
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Edna ed Ester (ormai diventate partner fisse di Elisabeth) si proposero come candidate, ed in pochi mesi impararono il mestiere alla perfezione. A quel punto giunse il diniego dell'asilo politico ad Elisabeth.
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Juno le chiese: "Che vuoi fare ora?"
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"Ricorro al piano B. Apriamo un laboratorio orafo in Ghana. Ci lavoriamo io, Edna ed Ester".
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"Non hai paura dell'omofobia del governo locale?"
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Elisabeth cadde sul pavimento dal gran ridere (per fortuna cadde sulle tette, e non di schiena), e spiegò: "Ma se il governo italiano ha appena dichiarato che io non sono lesbica e non posso esserlo perché cristiana! Neanche se circolasse su YouPorn un mio video in cui pratico il cunnilingus ci crederebbero che invece lo sono!"
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L'argomento convinse tutte, e cominciarono i preparativi per quel laboratorio.
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Yemoja era di origini nigeriane come Elisabeth, era stata in Ghana, e disse a Xiuhe: "In Ghana molti negozi sono in realtà dei chioschi prefabbricati. Una placenta arborizzata che racchiuda in sé un chiosco, difenda chi sta dentro dal caldo e dagli insetti (non dimentichiamo le zanzare che portano la malaria e la febbre gialla), e la merce dai ladri, sarebbe perfetta".
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"E garantisca anche connettività Internet, estrazione e purificazione dell'acqua dall'aria, e produzione di energia elettrica dalla fotosintesi, come tutti i nostri modelli di fascia alta, giusto?", chiese Xiuhe, e Yemoja rimarcò: "L'ideale sarebbe una placenta che abbia un negozio davanti ed una casa vera e propria dietro - di una forma che possa essere approvata dalle autorità locali".
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Non è difficile trovare in Internet foto dei chioschi di Accra, e delle case che stanno dietro a loro, così Yemoja e Xiuhe poterono congegnare una placenta delle dimensioni di una noce di cocco, e darla ad Elizabeth dicendo: "Quando hai trovato il terreno giusto, pianta la 'noce' e lasciala svilupparsi. In una settimana avrai casa, laboratorio, negozio. Questa chiavetta USB contiene i disegni della forma finita dell'"edificio", che ai profani sembrerà un'ardita casa di legno tinta di verde, e con questi disegni puoi ottenere un permesso di costruzione".
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La costituzione ghanese non consente agli stranieri di ottenere la piena proprietà di un immobile - consente al massimo di acquisire una concessione di 50 anni, ed Elisabeth ingaggiò un'agenzia immobiliare per procurarsi il terreno adatto a piantare la placenta, con l'opzione, qualora lei fosse riuscita ad ottenere la cittadinanza ghanese, di trasformare la concessione in piena proprietà.
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Juno chiese: "Sei sicura che sia una buona idea? Questo acquisto a due stadi rischia di costarti più del giusto", ma Elisabeth rispose: "Hai un'alternativa?"
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"Comprare uno yacht e condurre da lì i tuoi affari. Yemoja e Xiuhe sono capaci di costruirtelo".
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"Il porto di Accra non è adatto. Infatti il porto principale del paese è a Tema, a 35 Km ad est. Lascia fare a me".
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Il governo ghanese aveva creato una piattaforma informatica per richiedere i permessi di costruzione, ma quando Elisabeth iniziò a compilare le pagine web, si chiese se non fosse meglio prima costituire l'azienda - perciò chiamò (via VOIP) l'agenzia immobiliare, la quale rispose che effettivamente era meglio costituire prima l'azienda, chiedere i permessi di lavoro e residenza per potersi stabilire in Ghana, costruire la casa (ovvero piantare la placenta), far decollare l'azienda, e dopo 6 anni richiedere la cittadinanza ghanese.
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Quella sera Elisabeth, a cena (ovvero, quando tutte erano sedute attorno alla placenta, che le nutriva attraverso i loro ombelichi) chiese che nome avrebbe potuto dare alla sua azienda.
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Debora disse "'Prendas Dejana = Gioielli De Jana = Gioielli Di Strega' sarebbe un bel nome, ma nessuno in Ghana lo capirebbe".
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"'Mami Wata Jewels' andrebbe bene?", chiese Yemoja, e Juno chiese: "Mami Wata chi è?"
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Elisabeth rispose: "Mami Wata è il nome generico della dea africana delle acque. In Nigeria ci sono più dee specializzate - tra cui Yemoja, dea di un fiume in Nigeria, dea degli oceani con i nomi di Yemanja, Agwe, od affini in America Latina. Per questo l'idea è venuta alla nostra amica Yemoja".
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Debora volle aggiungere, rammentando i suoi studi antropologici: "Mami Wata e Yemoja sono raffigurate come le sirene del folclore europeo - mezzo donne e mezzo pesce. Se capita di trovare raffigurazioni di Yemoja od Olokun, sua madre, con due code come le melusine europee, Mami Wata ha una coda soltanto - ma un serpente si avvolge intorno a lei nascondendo la testa tra i suoi enormi seni ..."
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Juno la interruppe: "Donna? Serpente? C'entra qualcosa con il serpente Pitone greco e, magari, con il mito di Adamo ed Eva?"
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"Il serpente, che indica un collegamento con l'oltretomba e la possibilità di rigenerazione", rispose Debora, "Si trova in molte dee madri. L'uccisione del Serpente Pitone, che custodiva l'oracolo di Gea, dea della Terra, da parte di Apollo, che istituì al suo posto l'oracolo della Pizia, rappresenta il momento in cui la religione matriarcale dei greci più antichi fu sconfitta da quella patriarcale degli invasori dori. Se il mito di Adamo ed Eva vi sia collegato gli studiosi se lo chiedono ma non ne sono certi".
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Elisabeth disse: "Mentre parlavate ho controllato: sembra che non ci sia un marchio 'Mami Wata Jewels' in Ghana, quindi questo nome va bene. Disegneremo un logo acconcio".
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Juno disse ad Elisabeth: "Potrebbe andar bene un tuo ritratto stilizzato, con il serpente che nelle tue mani diventa un bastone ed apre le acque del mare, scoprendo la tua coda".
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"Una Mami Wata reincarnatasi in Mosé?", chiese Elisabeth, ma Rebecca intervenne: "Il ritratto va bene, ma non i dettagli biblici. Troveremo una soluzione".
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Elisabeth trovò, grazie all'agenzia immobiliare, una consulente chiamata Mary per costituire l'impresa; ella le disse: "Non sarebbe più facile presentarti come la titolare di una filiale in Ghana di un'impresa estera, come la gioielleria Dejana?"
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Elisabeth rispose: "Ho già chiesto. I miei ospiti sardi sono molto gentili, ma non vogliono rischiare in proprio. Per fortuna ho risparmi sufficienti per far partire l'impresa".
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"Allora vieni, e facciamo tutto", disse Mary, ed Elisabeth chiese all'ambasciata ghanese in Italia come fare per il visto.
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L'ambasciata le diede tutte le istruzioni e le disse anche che le era possibile portare con sé anche Edna ed Ester, e tutte e tre le donne [Elisabeth, Edna, Ester] si prepararono a partire.
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Elisabeth aveva nel frattempo disegnato il logo, anzi i loghi - aveva visto nella biblioteca di Juno un libro d'arte dedicato a Gustav Klimt (1862-1918), e scoperto che questo pittore viennese della Secessione amava l'oro, le belle donne, i loro corpi nudi immersi nell'acqua che scorre, ed i serpenti.
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Un primo logo si ispirò alla figura di Igea, come la si vede nelle foto della distrutta allegoria della Medicina - gli sgargianti colori del suo abito furono mutati nei (non meno vividi) colori dei "kente" ghanesi, il viso divenne quello di Elisabeth (per non parlar del seno, degno di una dea africana anziché greca), la pelle ovviamente da bianca divenne nera, ed anche il serpente ricevette i colori dei "kente", pur diversi da quelli dell'abito.
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Il secondo logo era pensato per Edna ed Ester, qualora si fossero messe in proprio, ed era ispirato al quadro "Serpenti d'Acqua II", in cui delle ragazze nude vengono dipinte come serpenti d'acqua che nuotano. Edna ed Ester erano gemelle siamesi, e sebbene l'ispirazione rimanesse evidente, il quadro dovette essere modificato - ed i fiori di Klimt divennero simboli "adinkra" colorati.
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Il viaggio da Bosa ad Accra fu lungo ma confortevole; Yemoja e Xiuhe avevano modificato le placente (non solo quelle da produrre, ma anche quelle già vendute - in questo caso a tutti gli acquirenti fu inviato un adesivo da applicare alla placenta, adesivo che rilasciava un virus che ne modificava il genoma) in modo da far produrre loro un potente antimalarico, per cui Elisabeth, Edna ed Ester ricevevano dalle loro placente personali non solo nutrimento e connettività, ma anche i farmaci loro indispensabili.
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Mary aveva trovato un albergo per loro, non di lusso, ma confortevole, che consentì alle tre donne di piantare le loro personali placente in giardino, sotto la finestra della loro stanza (con un letto matrimoniale "king size" per Edna ed Ester, gemelle siamesi, ed uno "queen size" per Elisabeth, che altrimenti non avrebbe saputo dove appoggiare i seni durante il sonno; il bagno aveva una vasca-doccia, nella cui cabina anche Edna ed Ester stavano comodamente), per cui il fusto delle placente arborizzate poteva inviare delle propaggini dentro la stanza e nutrire le titolari/ospiti.
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Il soggiorno in albergo avrebbe dovuto essere solo di lavoro (durante le 12 ore di sole di cui Accra gode ogni giorno dell'anno, essendo a soli 5° Latitudine Nord) e di riposo, ma intervenne una cameriera di nome Barbara che si mostrò attratta da Elisabeth.
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Ad Elisabeth lei non dispiaceva, per cui le permetteva di abbracciarla ogni volta che portava loro la colazione - Barbara era una donna minuta, Elisabeth un donnone, per cui Barbara doveva abbracciarla due volte - una da destra ed una da sinistra. Ester ed Edna vollero anche loro abbracciare Barbara, ed ella acconsentì - ma questi abbracci erano molto più significativi per le due gemelle siamesi, poco avvezze a queste affettuosità, che per la cameriera.
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Abbraccia oggi, abbraccia domani, mentre le pratiche si prolungavano, arrivò il momento in cui Barbara entrò nella camera di tutte e tre - era finita la carta igienica (poiché si nutrivano attraverso le loro placente, e non per normale digestione, non ne avrebbero avuto a rigore bisogno, ma non volevano destare sospetti), e Barbara venne a portargliela.
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Barbara guardò Elisabeth come una micia che vuole coccole, Elisabeth si aprì la vestaglia mostrandole il suo possente corpo nudo, Barbara corse ad abbracciarlo, carezzarlo e baciarlo; Edna ed Ester erano nude sotto le lenzuola, ne uscirono, strinsero da dietro Barbara contro Elisabeth ... avevano appena pranzato, e Barbara uscì dalla camera il mattino dopo a colazione.
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Barbara non lo faceva solo per il suo piacere, ma anche sperando in un guadagno - ma nessuna delle tre ritenne il caso di assumerla nella costituenda Mami Wata Jewels; le tolse d'impaccio Mary, offrendole un lavoro più remunerativo come agente immobiliare, visto che Barbara sembrava capace di misurare stanze e palazzi con uno sguardo, era diligente nello svolgere le pratiche burocratiche, ed era abbastanza spigliata nel trattare con i clienti - ma Mary l'avvertì: "Se vai a letto con un cliente, non puoi più gestirlo e guadagnarti la provvigione. Ricordati: o lo porti a letto, o lo porti in ufficio".
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Nel frattempo tutte le pratiche erano terminate, la Mami Wata Jewels era stata costituita, aveva acquistato il terreno su cui piantare la placenta che sarebbe diventata casa e laboratorio.
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Il Consiglio dell'Area Metropolitana di Accra si stupì a vedere un edificio edificato in meno di una settimana, ma era tutto in regola, ed Elisabeth, Edna ed Ester organizzarono la festa d'inaugurazione, a cui invitarono tutta la famiglia Dejana.
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Purtroppo, essa decise di rifiutare, perché Juno, pur avendo transizionato ed essendo di genere femminile per lo stato italiano, pur essendosi fatta epilare permanentemente tutti i peli del corpo dalle stanghette degli occhiali in giù, pur essendosi fatta femminilizzare il volto, e pur eseguendo ogni sei mesi un intervento di lipofilling che le aumentava la taglia del seno, passava ancora troppo male per riuscire a farsi rilasciare un visto turistico dalle autorità ghanesi. E se non ci andava lei, non ci andava nessuna della famiglia.
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La festa fu perciò "reale" per Elisabeth, Edna, Ester, Barbara, e tutti i potenziali clienti, "virtuale" con la famiglia Dejana attraverso le connessioni che le placente di Ghana e Sardegna erano riuscite a stabilire attraverso il continente africano ed il Mediterraneo. Della festa sia "reale" che "virtuale" faceva parte un'orgia (solo tra le quattro donne citate, nella festa "reale"), e quella "virtuale" fu più appagante, in quanto non c'erano le limitazioni dovute all'anatomo-fisiologia degli organi sessuali umani.
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Dopo la festa la Mami Wata Jewels partì alla grande, producendo gioielli per tutte le tasche, e vendendoli in Europa attraverso la Prendas DeJana - per cui le due famiglia, quella di Elisabeth e la Dejana, divennero molto ricche, e pure famose, in quanto la loro collezione di gioielli ispirati agli orisha finì al MOMA di New York City.
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Al sesto anno di permanenza, Elisabeth non ebbe alcuna difficoltà ad ottenere la cittadinanza ghanese; Edna ed Ester chiesero invece solo la residenza permanente - diventare cittadine ghanesi avrebbe imposto loro di rinunciare alla cittadinanza italiana, cosa che ritennero non conveniente, e l'essere gemelle siamesi onfalo-ischiopaghe rendeva loro difficile ottenere da un ospedale ghanese un certificato di buona salute, essenziale per la cittadinanza.
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Juno intanto si stava facendo rimodellare bacino e natiche, nella speranza di ottenere infine il visto per il Ghana, ed insieme con Rebecca visitare realmente le donne che solo "virtualmente" avevano conosciuto durante la festa - il Ghana sembrava un paese capace di rendere felice chi vi abitava, ad onta delle molte cose che funzionavano meno bene che in Italia.</div>
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[Fine]
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S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-62750462430700547072018-08-16T11:42:00.001+02:002018-08-22T16:57:54.661+02:00Juno.00014.000 - Misr - 000<div align="justify">
[Inizio]
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Yemoja e Xiuhe divisero le placente in due modelli: il più lussuoso nutriva le persone attraverso i loro ombelichi, le lavava pure carezzandole con le sue foglie, forniva loro riscaldamento e raffrescamento a seconda della stagione, nonché elettricità, connettività internet e perfino luce artificiale a richiesta; il modello base invece germogliava sulla riva del mare, produceva solo frutti gustosi di ogni clima, e si espandeva su ogni terreno su cui veniva sparso uno strato di feromoni - in questo modo poteva dissodare i deserti, senza però invadere i terreni in cui non era desiderata. Il modello lussuoso poteva essere dotato di utero, capace di generare umani e robot.
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I due tipi di placenta potevano essere facilmente scambiati - per cui su un terreno destinato originariamente alla placenta base si potevano piantare placente lussuose, per facilitare l'insediamento umano, e viceversa per scoraggiarlo senza abbandonare il terreno a se stesso; ed i due tipi di placenta si aiutavano a vicenda scambiandosi acqua, nutrimento e collegamenti Internet (il modello base si limitava a ritrasmettere i dati alle altre placente, di ambo i tipi, non consentendo invece agli umani di accedere ad Internet).
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L'operazione richiese solo alcuni giorni; se il sindaco William chiese per l'esperimento sulla spiaggia di Turas le placente lussuose, invece Juno ritenne che per l'Africa fosse il caso di cominciare con il modello base, che avrebbe dissodato i deserti, e sarebbe stato eventualmente sostituito da quello sofisticato nelle aree urbane o nelle dimore dell'ex-deserto diventato campagna.
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A Turas tutto funzionò a meraviglia, salvo un inconveniente: la sera si ritrovavano nella spiaggia le persone emarginate della città di Bosa, e questo fu oggetto di un'interrogazione in consiglio comunale.
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Il sindaco William Basenji rispose: "Signori, non capisco che cosa vi preoccupi. Ormai non ci sono più palme ed oleandri nei viali alberati della città, ma solo placente del tipo lussuoso; i poveri della città prima si sfamavano con cibi di pessima qualità, e buona parte delle loro calorie le ingerivano con gli alcolici - ora mangiano bene e non bevono più. L'ordine pubblico è migliorato notevolmente. Il fatto che gli emarginati la sera si ritrovino a Turas, non facciano alcun danno, e non sporchino nemmeno perché le placente raccolgono e digeriscono i rifiuti meglio di un impianto di compostaggio non mi dispiace affatto".
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"Molti di loro vendono merce contraffatta!", strillò un consigliere della destra estrema, ed il sindaco, dopo aver represso una risata, rispose: "Quelli che lo fanno stanno alla larga da Turas e dalle nostre placente. Esse infatti riconoscono, afferrano, smembrano e digeriscono questo tipo di merce. Inoltre, una volta due persone che avevano bevuto prima di entrare in spiaggia, e dopo essersi detti che Eva era una donna di malaffare, e tutte le discendenti avevano preso esempio da lei, stavano per picchiarsi, furono afferrati e legati dalle fronde delle placente prima che potessero farsi del male fisicamente. Quando passò la sbornia, si chiesero anche scusa, e le placente li liberarono".
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"Ma non c'è pericolo che le placente si ubriachino?", chiese uno dell'estrema sinistra, ed il sindaco rispose: "In che modo?"
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"Le placente non mangiano solo le griffe false", spiegò il consigliere, "ingoiano volentieri tutti i tipi di alcolici, sigarette, e droghe più o meno legali che vengono portati lì. Siamo sicuri che il male che fanno agli uomini non lo facciano anche a loro?"
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"Mi riservo di rispondere domani", disse spiazzato il sindaco.
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Ma solo mezz'ora dopo Yemoja e Xiuhe spiegarono al consiglio comunale che l'abilità delle placente di digerire sostanze tossiche era superiore a quella umana, e quindi non c'era nulla da temere. "Ovviamente", aggiunsero, "Se notate qualcosa di strano ditecelo subito e così indaghiamo e rimediamo".
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Giovanna, la luogotenente dei carabinieri, era stata invitata a spiegare che ormai i delitti per pura fame erano scomparsi, e molte persone, adulte e bambine, avevano trovato una prospettiva di vita che li rendeva utili membri della società. Per cui l'esperimento si dimostrava positivo.
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Terminata la seduta, Juno però chiese a Giovanna: "Temevo che le nostre placente attirassero i migranti a Bosa ed in Sardegna. Come mai non accade?"
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Giovanna rispose: "La Sardegna è più lontana dall'Africa della Sicilia e di Lampedusa; e chi viene in Italia non cerca semplicemente di sfuggire alla fame, vuole integrarsi in Europa. Le vostre placente non li aiutano qui. Li aiuterebbero in Africa".
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"Ed in effetti la settimana prossima vado in Egitto per questo. Ne approfitto per accompagnare Eva e Betsabea nella casa di formazione che ne farà delle monache carmelitane scalze".
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La casa di formazione era a Roma, e Juno regalò ad essa una placenta modello lussuoso (senza utero! Il voto di castita non significa rinunciare solo all'orgasmo od al rapporto, ma anche alla discendenza) sufficiente per nutrire tutte le persone che vi dimoravano, in modo che a nessuna (ed in particolare ad Eva e Betsabea) mancasse di che vivere.
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Dopoaver piantato la placenta ed accompagnato le novizie Eva e Betsabea, Juno e Yemoja presero l'aereo per l'Egitto. Si era deciso che fosse Yemoja ad accompagnare Juno, non solo perché era tra le inventrici delle placente, ma anche perché conosceva l'arabo classico (le serviva in Nigeria per leggere la giurisprudenza islamica, che ha valore di legge in alcuni stati del nord) - il dialetto arabo egiziano lo avrebbe dovuto imparare in loco.
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Juno e Yemoja avevano ottenuto dai loro coniugi Rebecca e Xiuhe l'autorizzazione a riprendere i rapporti tra loro durante il viaggio (ed i coniugi acconsentirono a patto che fosse loro concesso di fare altrettanto), visto che nessuna di loro si sentiva in grado di resistere a lungo senza sesso, ed in passato erano stati appunto anche partner in una relazione poliamorosa.
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Juno aveva già contattato, attraverso degli agenti di mediazione, quattro imprenditori: Ibrahim, Girgis, Kathrin e Sarah. Dopo averli incontrati, Juno disse a Yemoja: "Hai visto anche tu - le condizioni economiche che offrono sono molto simili, ed i terreni sui quali coltivare le placente sono equivalenti".
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"Esatto", osservò Yemoja, "possiamo scegliere sulla base delle nostre simpatie".
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"Tu chi sceglieresti?", chiese Juno, ed Yemoja rispose: "L'imprenditoria femminile va aiutata ..."
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"Questo esclude Ibrahim e Girgis", notò Juno, "e sono d'accordo con te".
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"Kathrin e Sarah sono oppresse per due diversi motivi", riprese Yemoja e Juno disse: "Sarah è ebrea. È vero che il nome è usato anche dai mussulmani, ma sulla sua carta di identità egiziana è scritto che lei è di religione ebraica".
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"Ho notato. Ma ho notato anche un'altra cosa", disse Yemoja, "Kathrin attiva il mio lez-dar - non è successo anche a te?"
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"Il sospetto mi è venuto", rispose Juno, "Anche se sulla sua carta d'identità è scritto che è vedova. Forse è bi, forse si è scoperta lesbica tardi, o forse semplicemente aveva sposato l'uomo scelto dalla sua famiglia".
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"Chi delle due donne è più oppressa secondo te?", chiese Yemoja, e Juno rispose: "Un domandone! L'antisemitismo è un problema serio nei paesi arabi ..."
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"In tutti i paesi, Juno, lo dovresti sapere meglio di me", interruppe Yemoja, e Juno riprese: "Giusto. Ma Sarah può manifestare tranquillamente la propria ebraicità; Kathrin, se è davvero lesbica o bi, deve nasconderlo anche alla famiglia".
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"Quindi?", chiese Yemoja, che già prevedeva la conclusione di Juno: "Va bene, l'affare lo facciamo con Kathrin. Spero che lei non si dimostri antisemita".
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"Perché dovrebbe esserlo?"
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"Il Corano ha brani poco gentili (chiamiamoli così) verso gli ebrei, ma l'antisemitismo nel mondo arabo è stato importato dal mondo cristiano prima, dalla propaganda nazista poi (molto attiva negli anni '30 e '40 anche nel Vicino Oriente), ed infine dal regime sovietico - che non vendeva solo armi ai suoi 'clienti' arabi, ma anche traduzioni dei 'Protocolli dei Savi Anziani di Sion'. Kathrin è un nome cristiano, e le chiese cristiane orientali non hanno ripensato la loro teologia alla luce della Shoah. Anche per questo Putin può continuare a giocare la carta dell'antisemitismo, che in Europa occidentale sarebbe invece controproducente".
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"Speriamo di non averla valutata male", disse ora perplessa Yemoja, ma Juno concluse: "Diamole questa possibilità".
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Kathrin fu avvertita che era stata prescelta, ed invitò Yemoja e Juno alla sua villa, spiegando che si trattava solo di un incontro preliminare, e chiese loro un favore: di procurarle un vocabolario ed una grammatica italiana.
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"Volentieri", rispose Juno, "Però i libri li devo ordinare via Amazon. Perché non lo fa lei direttamente?"
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"Perché io non conosco ancora la lingua, e non posso stabilire il valore di grammatiche e dizionari come certo lo sapete fare voi".
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Due giorni dopo arrivarono i libri scelti da Juno, e quella sera si presentarono alla villa di Kathrin, che li ricevette insieme con la sua maggiordoma e la sua cuoca.
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Yemoja la salutò dicendo: "Tasharrafna biki! = Piacere di conoscerla, signora!", e Kathrin rispose: "Marchaban! = Salve!, e poi, in arabo classico: "Accomodatevi. Volete bere qualcosa?"
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"Succo di mango per me, succo di fragola per lei", rispose Yemoja.
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"Perfetto", disse Kathrin, "Non voglio sembrare asociale, ma se mi date subito i libri, li leggo in pochi minuti e poi posso parlarvi in italiano".
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Yemoja tradusse per Juno, che consegnò i libri a Kathrin (erano una grammatica per arabofoni in due volumi, ed il dizionario italiano-arabo e viceversa della Zanichelli), e mentre le due ospiti sorbivano i loro succhi di frutta, Kathrin letteralmente divorò i libri in pochi minuti.
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Yemoja sussurrò a Juno: "Le hai visto i capelli?"
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"Sì, essendo cristiana non porta il velo".
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"Non ti pare strano che abbia i capelli corvini alla sua età? Secondo la carta d'identità, dovrebbe avere 85 anni!"
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"Ehm ... ammetto di averle invece guardato il seno - in effetti farebbe invidia alle mie figlie!"
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"Vi sento", rispose Kathrin, in italiano, "Ho bisogno di alcuni minuti per rimuginare quello che ho imparato, ma capisco che state parlando del mio corpo".
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"Lei sembra molto giovane. In Italia si dice che 'porta bene i suoi anni'", rispose Juno, cercando di nascondere l'imbarazzo.
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Kathrin rispose: "Ora ho capito che vi siete dette. Siete fortunate che non mi offendo per questo. Secondo voi, chi può imparare così rapidamente una lingua?"
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"Una savant", rispose Juno.
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"Una robot", disse Yemoja.
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"Brava, Yemoja. Sono un robot".
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"Come fa ad avere una carta d'identità?", chiese Juno, e Kathrin rispose: "La mia padrona si è innamorata perdutamente di sua madre, ed ha commissionato un robot con le sue fattezze di giovinetta - sono io".
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Yemoja strabuzzò gli occhi, e sussurrò: "Nerone ed Agrippina - ma Nerone era un uomo"; Juno chiese: "E la madre di lei?"
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"In paradiso, probabilmente", e Juno disse: "Mi perdoni, signora, ma lei non può firmare un contratto a nome di una morta!"
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"Infatti. Lo firmerà la mia padrona Tayriz. Lei è un essere umano, lo farà alle condizioni che stabiliremo io e voi".
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"Resta il mistero della carta d'identità", osservò Juno, e Kathrin rispose: "Finché non scade, la uso per uscire di casa da sola. Per fortuna nessuno ha finora notato che è intestata ad una morta".
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Juno fece una faccia perplessa, Yemoja disse: "Il contratto dev'essere bilingue, con il testo italiano prevalente su quello arabo".
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"Va bene, ma con legge regolatrice egiziana e foro egiziano", rispose Kathrin, ed aggiunse: "Voi mi perdonerete se mi siedo solo a tavola, con la spina attaccata alla presa, perché non ho bisogno di cibo. Ma voi mangiate pure a volontà".
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La cena era squisita, ed alla fine Kathrin chiese: "Avete per caso pensato ad una bozza di contratto da farmi leggere? Ne ho anch'io una in mente, e le confrontiamo".
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Il confronto fu proficuo, e fu rapidamente messa a punto una bozza in italiano, che prevedeva la creazione di una società a responsabilità limitata, con lo scopo di acquistare i terreni desertici in Egitto, d'intesa con il governo, per dissodarli con le placente messe a punto da Yemoja e Xiuhe.
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Soci e capitale di rischio erano egiziani, ed a Yemoja e Xiuhe si riconosceva una royalty del 10% lordo sulle entrate (al netto delle tasse, diventava l'8,5%).
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Juno disse: "La bozza in italiano va bene, ma pretendere che un tribunale egiziano che applica la legge egiziana legga un contratto in italiano è troppo. Bisogna tradurla in arabo, in modo impeccabile, perché sarà quello il testo vigente".
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"Pensavo simultaneamente in italiano ed arabo", disse Kathrin, "Ve la posso scrivere immediatamente".
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"Gradiremmo farla verificare da un interprete scelto da noi", obbiettò Juno, e Kathrin assentì: "Va bene. Intanto trasmetto il documento al vostro cellulare, così lo potete inoltrare a chi volete".
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Yemoja guardò l'orologio e disse: "Domani sera potremmo avere qui ad Hurghada una delle robot prodotte da Encarnaciòn, esperta in arabo e capace quindi di verificare la traduzione".
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"Sarà mia gradita ospite", rispose Kathrin, che aggiunse: "Conosce già la lingua araba e la legge egiziana, o le deve imparare?"
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"Deve impararle", rispose prudentemente Juno, e Kathrin consigliò: "Diteglielo subito allora che deve mettersi a studiare. Per venire dall'Europa ad Hurghada con un volo di linea ci vogliono almeno 8 ore, durante le quali non può collegarsi ad Internet ed imparare".
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Juno telefonò immediatamente ad Encarnaciòn, che rispose: "Ho una robota ad Istanbul. Si chiama Amina. Faceva da concubina ad un 'qadi = giudice islamico', quindi conosce l'arabo, la shari'a ed il fiqh. Deve imparare il diritto egiziano, ma il web sarà il suo maestro. Oltretutto, poiché ci sono voli diretti da Istanbul ad Hurghada, ci metterà solo tre ore ad arrivare - tutto tempo in più per studiare!"
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"Va bene, mandacela. Perché dici 'faceva'?"
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"Il padrone non è più in grado di avvalersi dei suoi servizi, ed una semplice badante costa meno. Voleva rivendercela, lo pago subito, ma deve mettere Amina su un volo diretto per Hurghada".
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"Quando arriva?"
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"Verso le tre del mattino", rispose Kathrin, "I turchi sono tirchi e questi voli li fanno di notte per spendere meno".
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Yemoja guardò l'orario dei voli, e disse: "Il volo parte da Istanbul verso l'una ora locale, quando qui ad Hurghada è mezzanotte. Magari può partire già stanotte".
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"Mi consulto con Amina", rispose Encarnaciòn, "Anche perché il suo padrone deve avere un'enorme fiducia in me per farla partire prima che la banca riesca ad accreditargli il bonifico!"
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Dieci minuti dopo Encarnaciòn ritelefonò a Juno: "Tutto a posto. Mehmet, il padrone di Amina, ha detto che lei è già molto esperta nella lingua araba e nella giurisprudenza islamica, e basteranno poche ore in una biblioteca specializzata per imparare il diritto egiziano. Lei parte stanotte!"
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Kathrin disse: "Mi permetto di offrirvi ospitalità nella mia casa. L'aeroporto è più vicino, e vi posso accompagnare là quando arriva Amina. Guidare di notte per me non è un problema".
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Kathrin accompagnò Yemoja e Juno nella loro stanza, che era accanto alla sua, e diede loro la buona notte con un bacio sulle labbra a tutte e due.
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"Che significa?", chiese Juno, ed ella rispose: "La mia padrona non è gelosa. E mi piacete".
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"Non è una buona idea andare a letto con il proprio socio d'affari", obbiettò Yemoja, ma Kathrin replicò: "Le placente non le hai sviluppate insieme con Juno, ma con Xiuhe, che è la tua donna. Ti contraddici".
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"Mia moglie Rebecca mi ha autorizzato ad andare a letto con Yemoja durante questo viaggio", replicò Juno, "non con altre persone".
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"Vale anche per me", aggiunse Yemoja, "Xiuhe conosce Juno e si fida di lei. Non conosce te, non mi ha autorizzato".
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"Non potete chiedere una ratifica ex-post? Sono una robot, non sono malata, non posso fare figli con Juno, sono anche curiosa di che significa andare a letto con una donna trans".
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"Come fai a saperlo?", chiese Juno, e Kathrin rispose: "Tu mi hai guardato il seno, io ti ho guardato tra le gambe. Porti una gonna larga, ma quando ti siedi e ti distrai non nascondi bene il pacco".
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Juno prese il cellulare e mandò un messaggio WhatsApp a Rebecca: "Tesoro, la nostra partner in affari Kathrin ci ha invitate ad un'orgia. Che facciamo?"
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La risposta arrivò in un lampo: "Solo sesso sicuro! Vale anche per Yemoja! Rebecca e Xiuhe".
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"Avete delle mogli magnifiche", disse Kathrin mentre cominciava a spogliarsi, e Yemoja commentò: "In famiglia la pensiamo così: a casa si può pretendere che si mangi solo quello che cucina il nostro amore, ma fuori è inevitabile rivolgersi ad altre persone".
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La serata fu appagante - le tre donne fecero l'amore fino alle due del mattino, con Kathrin che ringraziava Juno per averle fatto provare questa novità, Yemoja che diceva a Kathrin che lo sapeva fare molto bene, e Juno che disse che avrebbe voluto ripetere l'esperienza, e poi chiese: "Vai a letto con tutte le tue socie?"
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Kathrin: "No. Amo Tayriz e normalmente desidero solo lei. Anche per quello lei non è gelosa. Ma qualcosa mi ha convinto a farlo con voi. Ora però dobbiamo lavarci ed andare a prendere Amina all'aeroporto".
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Amina aveva il passaporto della sorella del qadi che serviva - e così poté gabellarsi alle dogane turca ed egizia come essere umano. E Juno capì che il qadi aveva concepito un amore incestuoso per la sorella, e per questo aveva voluto che Amina ne replicasse le fattezze.
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Non poté pensare a lungo a questo, perché Yemoja le fece notare che Kathrin non aveva ancora pagato il visto d'ingresso in Egitto per Amina, che già le due robot, più che parlare, cinguettavano come due amanti.
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"Come può una robot innamorarsi tanto rapidamente di un'altra?", chiese Juno, ed Yemoja abbozzò una risposta: "Hanno stabilito una connessione a banda larga tra loro, che ha permesso di conoscere i loro più intimi segreti in pochi secondi - sanno già di essere fatte l'una per l'altra".
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"E Tayriz?", chiese Juno, ma Kathrin rispose: "Sono poliamorosa. I sentimenti che ho per voi, per Amina e per Tayriz non sono incompatibili. Sono stata creata da un inventore mussulmano con un harem in mente, non una semplice coppia come Encarnaciòn".
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Juno avrebbe voluto saperne di più di quest'inventore mussulmano, ma Amina disse: "Sentite, visto che Kathrin vuole dimostrare a tutti i costi di essere la robot della mia vita, devo permetterle di dimostrarmelo. Il mio qadi è riuscito a scaricare nella mia memoria un database completo della legge e giurisprudenza egiziana, quindi andare in biblioteca non serve più. Concluso l'affare, penseremo alle vostre curiosità".
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Il resto della notte le quattro persone lo trascorsero in camere separate a due a due (Kathrin con Tayriz, Juno con Yemoja), ma al mattino fecero una piccola orgia insieme - che convinse Yemoja che era necessario mettere in contatto Encarnaciòn con l'inventore mussulmano che aveva creato Kathrin: unendo il loro genio, sarebbero nati robot migliori!
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Dopodiché Juno e Yemoja mangiarono, e poi misero a punto il contratto, nelle versioni araba, inglese (proposta da Kathrin ed Amina, in quanto sarebbe potuto diventare la falsariga di simili contratti in altri paesi africani ed asiatici), ed italiana. Tutti si riservarono un mese di tempo per eventuali osservazioni prima di registrarlo dal notalio, e Juno chiese a Kathrin: "Parlami un po' dell'inventore che ti ha creato".
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"So molto poco di lui. È un libanese che non vuole creare robot bellici, e perciò si è rifugiato in Svizzera. L'unico modo per contattarlo sarebbe che io accusassi un guasto".
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"Mi pare che tu funzioni a meraviglia", disse Yemoja, e Kathrin, dopo aver scosso la testa, disse: "Un difettuccio ce l'ho, e credo che non sia solo di software o firmware - occorre sostituire alcuni chip".
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"Posso chiedere di che si tratta?", chiese Juno, e Kathrin rispose: "Con voi non è successo, ma se mi masturbo, l'orgasmo mi fa perdere conoscenza; una volta ho provato a filmarmi, e mentre ero incosciente braccia e gambe tremavano mentre il dorso si irrigidiva - e sentivo che l'utero (od il suo sostituto) vibrava violentemente".
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Juno si limitò a dire: "Strano", ma Yemoja strabuzzò gli occhi e disse: "Ma ... quella che descrivi è una crisi epilettica tonico-clonica, o di 'grande male'! In alcune persone, soprattutto donne, gli orgasmi possono provocare una crisi, ed in altre la crisi inizia con un''aura orgasmica', e magari si limita a quella. Una mia paziente aveva degli orgasmi spontanei, e scoprimmo che erano appunto di origine epilettica. Non volle curarsi perché era una donna sola, e queste 'aure' la soddisfacevano molto più di qualsiasi partner".
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Juno capì la portata di quello che diceva Yemoja e disse: "Una robot con una malattia neurologica umana è un portento!"
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"Già", osservò Yemoja, "Sembra che, mentre Encarnaciòn ha creato dei robot con prestazioni superiori a quelle umane, il nostro ignoto inventore abbia creato robot più simili all'umano. Bisogna proprio contattarlo".
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Kathrin contattò via Internet il suo inventore, inviando i file di log che mostravano le crisi epilettiche; l'inventore li esaminò e chattò via Telegram: "Kathrin, qui c'è un paio di chip da sostituire. Occorre salvarne i dati per quanto possibile, e sostituirli. Per caso la tua lei ti stimolava con piccole scosse elettriche?"
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"No, sono stata taserata - facevo la spesa al mercato, ci fu un flashmob contro il carovita, che fu disperso dalla polizia. Un poliziotto mirò ad un manifestante, ma colpì la mia testa".
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"Devo aumentare l'isolamento elettrico", commentò l'inventore, "Comunque, il problema si risolve così: riesci a prendere un volo per Ginevra?"
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Kathrin controllò e disse: "Non si può fare a Zurigo? Ci sono dei voli diretti e mi sarebbe molto più comodo".
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"E sia. Quando pensi di venire?"
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Kathrin tradusse a voce la conversazione, e Juno, Yemoja ed Amina risposero: "Il contratto è pronto. Va' pure subito a curarti".
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Così Kathrin disse: "Posso comprare subito il biglietto e partire a mezzogiorno! Arriverei a Zurigo verso le cinque del pomeriggio ora locale!"
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"Benissimo! Ci vediamo nel pomeriggio, se tutto va bene la sera sei come nuova, e riparti domattina prima delle sette".
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Chiusa la conversazione, Juno chiese a Kathrin: "Possiamo accompagnarti?"
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"Perché?"
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"Lo conosci personalmente questo signore? E poi, vorremmo parlargli di affari".
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"Non riuscirebbe a sopraffarmi se volesse farmi del male", rispose Kathrin, "Ma se dovete parlargli, venite pure. Vieni anche tu, Amina?"
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"Servo?", chiese Amina, ed Yemoja rispose: "Sarebbe più interessante mandare Encarnaciòn a Zurigo".
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"Bene. Allora io alle quattro del mattino torno ad Istanbul - il mio padrone ha ancora bisogno di me. La tempesta valutaria in corso lo rende vulnerabile e devo pensare a lui".
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"Va bene, Amina", disse Kathrin, "Ho già avvertito Tayriz - arriverà a casa quando noi saremo all'aeroporto, si prenderà cura di te e ti riaccompagnerà stanotte. Mi raccomando, non ci provare!"
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Lo disse scherzando, ma Amina rispose: "Guarda che di solito sono gli umani - di ogni genere - che molestano le robot, non il contrario! Dì a lei di tenere le mani a posto!"
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Kathrin rise e rispose: "Lo so per esperienza! Tayriz è comunque una donna simpatica, e rimpiangerete di non passare più tempo insieme".
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Mentre Kathrin comprava i biglietti aerei, giunse un messaggio WhatsApp di Tayriz: "L'aereo è già arrivato. Mi vieni a prendere?"
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Kathrin rispose: "Sì, certo. Ti presento anche le mie nuove amiche", e spiegò a Juno, Yemoja, Amina: "Troveremo Tayriz all'aeroporto. La salutiamo, ci imbarchiamo, e lei riaccompagna Amina a casa, e stanotte di nuovo all'aeroporto".
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Nessuna fece obiezioni, e così Tayriz potè conoscere le amiche che Kathrin si era fatta (oops!) durante la sua assenza.
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Kathrin le spiegò tutto, e Tayriz disse: "Ottimo. Mi studio il contratto a casa. Ho un mese di tempo per eventuali riserve, giusto? Kathrin, curati bene e torna presto. Juno, Yemoja, piacere di avervi conosciuto - sarò contenta di fare affari con voi. Amina, sei molto carina, ora ti accompagno a casa".
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Il volo per Zurigo procedè senza problemi, salvo una curiosa richiesta di Kathrin: "Per scatenare una crisi epilettico-orgasmica, non è necessario che io mi tocchi dove immaginate voi. Basta che voi due mi sfioriate in contemporanea il palmo della mano e l'incavo del pollice - una a destra, l'altra a sinistra".
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"Non vorrai avere una crisi di grande male in volo!", disse Juno, che non voleva spaventare equipaggio e passeggeri, ma Kathrin disse: "Sarà solo una crisi ad innesco focale con consapevolezza menomata, detta anche 'crisi complessa parziale', preceduta da un'aura con parossismo orgasmico. Durerà poco, mi agiterò poco, ve ne accorgerete solo voi che mi guardate".
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Juno ed Yemoja accontentarono Kathrin, e quando, dopo pochi minuti, lei si riprese, Yemoja le chiese: "Tayriz può farti questo prendendoti ambo le mani?"
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"No. Ci vogliono proprio due persone. Ho spesso sognato che due persone mi sfiorassero le mani mentre Tayriz mi ... mi capite. Lei è brava, ma non l'ha mai voluto fare insieme con altri".
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Juno osservò: "C'è modo di conservare questo 'dono'? Potrebbe essere bello avere queste aure, se avvengono solo quando vuoi".
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"Lo dovremo chiedere al mio inventore. Ha detto di chiamarsi Ibrahim Bin Yussuf ed ha mandato questa foto".
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A Zurigo, prima di Ibrahim, i tre incontrarono Encarnaciòn - avvertita da Juno, era riuscita a prendere un volo da Cagliari.
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"Rebecca come sta?", chiese Juno, ed Encarnaciòn rispose: "Benissimo. Purtroppo aveva un progetto importante da completare, ed è rimasta a Bosa".
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Poi si rivolse a Kathrin e le disse: "Che robot meravigliosa! Il tuo inventore ti ha fatto molto bene!"
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"Grazie!", disse Kathrin, che chiese però ad Encarnaciòn: "Cosa hai in mano?"
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"Uno scanner. Vorrei capire se e quali frequenze radio emetti, ed a quale scopo".
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"Bastava chiedermelo", rispose Kathrin, "Mentre Amina, a quanto ho visto, opera solo nelle frequenze dei vari standard WiFi e cellulari, io posso ricevere tutto lo spettro radio dalle VLF alle EHF - dai 3 KHz ai 300 GHz; poiché però non sono grande come la Statua della Libertà, non posso nascondere nel mio corpo un'antenna trasmittente molto grande, e perciò trasmetto solo dalle VHF alle EHF - dai 30 MHz ai 300 GHz".
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"Che tipo di modulazione?", chiese Juno
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"I vari standard radio, TV e trasmissione dati", rispose Kathrin, e Juno replicò: "Brava! Ti chiamerò Drake!"
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"Drake come dragone?", chiese Yemoja, e la divertita Kathrin rispose: "No, come un'azienda americana che produceva eccellenti ricevitori radio ad onda corta. Ora produce attrezzature per TV via cavo".
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Encarnaciò chiese però: "Ibrahim, quando arriva?"
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"Eccolo!", disse Kathrin indicando un uomo con in mano un mazzo di fiori di Passiflora Caerulea.
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"Originale!", osservò Yemoja, "Perché non ha portato delle rose alla sua donna?"
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Juno le rispose che i frutti della passione (o maracujà) sono più buoni da ... mangiare dei cinorrodi delle rose.
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Encarnaciòn aggiunse: "E poi ... vuoi mettere la birichinata dello scrivere 'pussyflora' anziché 'passiflora'?"
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Anche Yemoja rise, ammettendo di non averci pensato.
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Kathrin si era nel frattempo avvicinata ad Ibrahim, aveva detto "Ooooh!" vedendo i fiori e prendendoli in mano, lo aveva ringraziato dandogli un bacino e dicendogli: "Sei sempre galante con la tua creatura".
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"Sei la mia preferita", rispose Ibrahim, "Rimpiango sempre di averti dovuta vendere".
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"Con l'aiuto dei miei amici che ora ti presento", rispose Kathryn, "Sto per diventare una benefattrice dell'Egitto, dell'Africa, del mondo".
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Tutti si presentarono, e la persona più interessata a parlare con Ibrahim fu Encarnaciòn, che gli disse: "Salve. Sono Encarnaciòn Subtile, la sua principale concorrente, visto che costruisco anch'io robot sessuali".
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"Buongiorno! Finalmente la conosco. Ammiro i suoi robot, anche se i miei sono un po' diversi. Vuole parlare con me d'affari?"
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"Dopo aver risolto il problema di Kathrin, sì".
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"Certo, non perdiamo tempo", rispose Ibrahim, che caricò tutti in auto, e partì in direzione di Ginevra.
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A Ginevra Kathrin dovette dire ad Ibrahim: "Tesoro, forse non ti sei accorto che Encarnaciòn, Juno ed Yemoja sono umani in carne ed ossa digiuni da stamattina. Dove li portiamo a mangiare?"
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"Che tipo di cucina vi piace?", chiese Ibrahim, "Conosco ristoranti di vario genere".
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Le tre donne si guardarono e risposero: "Cucina vegana o perlomeno kasher".
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C'è un ristorante kasher a Ginevra, Ibrahim portò lì tutte quante, collegò Kathrin ad una prolunga ed attraverso essa ad una presa, ed ordinò il pranzo. Erano in una saletta riservata, e potevano parlare senza problemi.
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Ibrahim estrasse un tablet, lo collegò via WiFi a Kathrin e disse: "Bene. Non ci sono altri chip guasti oltre a quelli che abbiamo già individuato esaminando i log e procedendo all'autodiagnosi. Hai già salvato in altre zone di memoria e corretto i dati contenuti in quei chip, quindi non devo fare altro che sostituirli. Basterà mezz'ora. Molte umane perdono più tempo quando vanno dal dentista".
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"Grazie, tesoro. Sapevo che mi avresti risanato".
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Juno si intromise: "Spero che questo non infici la sua capacità di godere se due persone le sfiorano il palmo delle mani e l'incavo del pollice".
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Kathrin la guardò come per dire: "Un chilo di fatti tuoi, no?"
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Ibrahim rimase sbalordito, guardò Kathrin e poi si volse verso Juno: "Assolutamente no! Non è un guasto, ma un obbiettivo del progetto! Gli americani direbbero: 'It is not a bug, it is actually a feature!'"
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"Mi perdoni la curiosità", intervenne Yemoja, che pure aveva guardato anche lei Juno contrariata, "Io faccio la ginecologa, ed ho incontrato pazienti con aure orgasmiche prima di Kathrin, ed altre con zone erogene atipiche, ma nessuna a cui bastasse una stimolazione così semplice per godere. A chi lei si è ispirato?"
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Ibrahim arrossì un attimo e spiegò: "Sono mussulmano sunnita. Mentre Encarnaciòn ha nel suo orizzonte mentale di cristiana (almeno culturalmente) la coppia, io ho l'harem, ed Allah, attraverso l'Inviato Maometto (su di lui sia pace), ha consentito all'uomo di avere quattro mogli, ed un numero illimitato di concubine. Le mie robot devono perciò essere capaci di stabilire legami significativi non solo con il loro uomo, ma anche tra di loro, per evitare che si dilanino letteralmente per la gelosia".
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"Ma l'Islam non vieta anche i rapporti sessuali tra donne?", chiese Juno, ed Ibrahim, dopo aver adocchiato la Stella di Davide al suo collo, rispose: "La situazione è simile a quella ebraica: la peniena penetrazione anale è severamente punita, anche del marito nei confronti della moglie ..."
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"Quest'ultimo dettaglio non è ebraico", si affrettò a precisare Juno, "Come dice il Talmud (bNedarim 20b), 'un uomo può fare quello che vuole con sua moglie' - purché lei acconsenta".
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"D'accordo", ammise Ibrahim, "Ma in entrambe le religioni non esiste un divieto esplicito di rapporti lesbici, e tantomeno una punizione divinamente rivelata per loro. Si riconosce che sono cosa contraria all'ordinamento di ambo le religioni, che vogliono mettere l'orgasmo al servizio della riproduzione, ma non essendoci una pena biblica o coranica per essi, la punizione è lasciata alla discrezione del giudice ..."
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"... che nell'islam potrebbe anche prescrivere la pena capitale, ma di solito si limita alla fustigazione nel caso di due lesbiche", concluse Juno.
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"Vero", confermò Ibrahim, "Ma vorrei vedere quale giudice riterrebbe il prendersi per mano tra due donne un atto sessuale".
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"Se il desiderio c'è", disse Yemoja, "Per me lo è - lo è anche per i giudici islamici?"
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"Dipende dalle scuole", rispose Ibrahim, "Se se ne ricava piacere, e se il piacere porta o meno all'eiaculazione".
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"Nelle donne?", chiese stupita Juno, ed Yemoja, ridendo, rispose: "Sta parlando dello 'squirting', cioè dell'emissione di un liquido dall'uretra femminile al colmo del piacere. Questi giurisperiti mi stanno diventando simpatici".
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Ibrahim provò a spiegare: "Alcune scuole giuridiche dicono che il contatto tra le parti intime di due adulti rende nulla l'abluzione fatta prima di pregare - occorre ripeterla; altre dicono che questo accade se il contatto con una donna è deliberato e porta piacere, indipendentemente dalla parte del corpo coinvolta; altre ancora dicono che solo l'eiaculazione squalifica l'abluzione".
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"Sicuro che si stia parlando di eiaculazione femminile qui?", chiese la sempre diffidente Juno, ed Ibrahim rispose: "Certo. Le medesime scuole dicono che la donna che ha eiaculato deve farsi il bagno! E se questo accade in giorno di Ramadan deve fare ammenda e ricuperare perché l'eiaculazione ha rotto il digiuno! Alle mie robot questo per fortuna non succede anche se il piacere è immenso lo stesso!"
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Kathrin intervenne dicendo: "Tesoro, perché non racconti alle nostre ospiti che accadde ad un uomo, alla sua moglie bisessuale, ed alla figlia di lui?"
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"Secondo te, dopo mangiano di gusto?", chiese Ibrahim, e Kathrin rispose: "Divoreranno non solo la dispensa ma anche i mobili e le posate!"
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"Visto che me lo chiedi tu ...", disse sconsolato Ibrahim, che si ricompose e spiegò: "Un uomo aveva una moglie con cui faceva l'amore. Ma la moglie era bisessuale, e dopo essersi fatta lui si faceva anche la figlia di lui. Non spiego ad una ginecologa come poté accadere, ma dopo che lui ebbe eiaculato nella moglie, lei eiaculò nella figlia, ed oltre al proprio 'squirt' pompò in lei anche il seme del marito, rendendola gravida".
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"Mai accaduto nella mia pratica professionale", disse Yemoja, cercando di trattenere le risa, al pari di Encarnaciòn, che commentò: "Ma scusate, i giurisperiti credono forse che tutte le lesbiche amino la 'sforbiciata' e la considerino la pratica erotica per eccellenza?", e Juno, che disse: "Mi sa che lui si faceva moglie e figlia, e quando quest'ultima è rimasta incinta, si sono inventati questa storia per non far lapidare padre e figlia", ed Encarnaciòn intervenne dicendo: "Incesto padre-figlia? Mi pare più probabile questo: che la ragazza si sia fatta mettere incinta prima di sposarsi, e padre e matrigna abbiano inventato questa storia per coprirla".</div>
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Ibrahim fu molto stupito della reazione, ma Kathrin lo incoraggiò a rispondere: "Encarnaciòn, la tua ipotesi è implausibile, perché che una donna nubile abbia rapporti con un uomo od una donna che non sono suoi parenti, la punizione è la stessa - la fustigazione. E non credo che il padre di lei volesse che anche la moglie venisse fustigata per coprire la figlia. Guardate comunque che questo caso non è di scuola, ma viene preso molto sul serio. Infatti la domanda che ci si fa in questi casi è chi è il padre legale del figlio".
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"Il maschietto, giusto?", chiese Yemoja, ed Ibrahim assentì spiegando: "Perché lui ha fornito lo sperma. Tutte le mie robot hanno la capacità di immagazzinare e tenere in vita lo sperma di un uomo per cinque giorni, e fecondare con esso altre donne".
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"Interessante alternativa alla fecondazione assistita col metodo Saffron", commentò Yemoja, mentre il cameriere entrava con i piatti - come previsto da Kathrin, l'aneddoto aveva stuzzicato l'appetito di tutte le umane e di Ibrahim.
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Dopo il pranzo, la sostituzione dei chip guasti di Kathrin richiese non mezz'ora, ma pochi minuti, anche se Kathrin rimase 'stordita' per mezz'ora finché i dati venivano ricaricati nei chip nuovi. Nel frattempo Encarnaciòn continuava a parlare di tecnologia robotica con Ibrahim, e tutti e due premettevano ai loro discorsi: "Te lo posso dire perché già protetto da brevetto".
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Al termine del colloquio, emerse che Ibrahim produceva robot con una vita sessuale più allegra e capacità di radiocomunicazione superiori, mentre Encarnaciòn poteva avvalersi degli studi di Yemoja e Xiuhe per produrre i robot non artigianalmente, ma attraverso le placente arborizzate.
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Si stabilì un accordo, per cui le placente arborizzate e dotate di utero avrebbero prodotto (e riparato, secondo la proposta di Kathrin) anche i robot di Ibrahim, in attesa che le gamme di robot di Ibrahim ed Encarnaciòn venissero unificate - la fusione di due gruppi automobilistici sarebbe stata meno complicata.
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Per il momento l'accordo fu siglato con una stretta di mano, mentre, in attesa degli aerei che avrebbero riportato tutte a casa, Kathrin abbozzava il contratto scritto ed Yemoja pensava a come modificare le placente per far loro produrre anche i robot di Ibrahim.
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[Fine]
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S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-54923416709496524952018-07-20T17:09:00.001+02:002018-07-21T14:16:00.650+02:00Juno.00013.000 - Aqua Vitae - 000<div align="justify">
[Inizio]
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Dopo la fondazione di "Ermitage", Juno fece portare del terreno fertile sulla spiaggia di S'Abba Druche, per creare delle aiole su cui piantare le placente arborizzate dei robot eremiti - per il momento, l'unica eremita era Eva.
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Poiché un robot non può sopportare le intemperie più degli esseri umani biologici, Juno tirò fuori dalla rimessa una delle case mobili che servivano per il campeggio naturista, la fece modificare in modo che ci fosse sul retro l'aiola con la placenta arborizzata, e collegò la placenta all'impianto elettrico della casa mobile.
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Eva non avrebbe voluto l'allaccio all'ENEL, ma Rebecca le fece notare che esiste un'imposta di fabbricazione dell'energia elettrica, e che a quel punto tanto valeva vendere il sovrappiù di energia elettrica a TERNA, che avrebbe calcolato ed addebitato l'imposta.
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Nel frattempo, Encarnaciòn aveva ripreso ad occuparsi della ditta (con le figlie Carmela ed Annunziata sempre appese al seno), ed aveva cominciato ad indagare su quali robot avessero una fede religiosa, quale avessero, e se anelassero ad una vita eremitica.
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Così condivise i risultati: "Allora, Juno, dopo aver giocato a fare il Charles Xavier degli X-Men Marvel, che usa Cerebro per potenziare i suoi poteri mentali e rintracciare i mutanti sparsi per il mondo, e che spesso ignorano essi stessi di essere mutanti, ho scoperto che molti miei robot hanno un potenziale religioso".
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"E come lo esprimono?", chiese Juno, ed Encarnaciòn rispose: "Per il momento la nostra Extranet non viene usata per condividere contenuti religiosi, e finisce perciò che chi ha un potenziale religioso, lo sviluppa apprendendo il pensiero, i riti, l'etica dei suoi titolari".
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"E come mai Eva invece lo ha appreso dalle monache?", chiese Juno, ed Encarnaciòn rispose: "Perché tu sei un'ebrea atea. Se Eva avesse frequentato di più Yemoja, ma ci è solo andata a letto alcune volte, forse si sarebbe fatta iniziare all'Odù Ifà".
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"Invece ha frequentato a lungo le monache perché doveva progettare il loro monastero", rispose Juno, "Tout se tient".
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"Comunque, non sono molti coloro che anelano ad una vita eremitica", spiegò Encarnaciòn, "Moltissimi invece anelano a quella che potrebbe essere chiamata 'vita attiva'".
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"Intendi dire servire Dio aiutando il prossimo?", chiese Juno, ed Encarnaciòn rispose: "Esatto. Questi robot sono stati comprati per fare i partner, ma spesso si trovano a fare le badanti".
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"Poveri loro!", sbottò Juno, ma Encarnaciòn la corresse: "Calma. I robot che si trovano in questa situazione sono quasi tutti asessuali - in qualche modo avevano previsto che le loro prestazioni sessuali non sarebbero state richieste spesso ed a lungo".
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"Ma che senso ha vendere 'sex robots' asessuali?", chiese Juno, ed Encarnaciòn rispose: "Asessuale significa solo che non sente un bisogno autonomo di rapporti sessuali. Ma tutti i miei robot sono capaci di una risposta sessuale completa e trovano piacevole l'attività sessuale. Se il loro titolare sente il bisogno di cose diverse da un rapporto sessuale, ed il robot è contento di fornirgliele, il titolare si sente più appagato di chi si trova alle prese con un partner che ha invece le proprie esigenze da soddisfare".
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"Mi viene in mente la barzelletta: 'Il porno giusto per un'asessuale è l'idraulico che ripara il guasto'. Questi robot invece si appagano prendendosi cura del loro titolare".
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"Esatto. Ci sono quelli che sono contenti di pregare insieme con lui, ed in alcuni casi al suo posto".
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"In che senso?"
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"Un titolare con decadimento cognitivo che fatica perfino a ricordare il Padre Nostro, ma fa cenno al suo robot di dirlo per lui, ad esempio".
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Juno disse: "Beh, la buona intenzione sarebbe più che sufficiente, dal punto di vista di Dio", ma Encarnaciòn la corresse: "E se Dio considerasse il robot al pari di un essere umano, per cui la preghiera che dice lui non supplisce semplicemente a quella del suo titolare, ma ha il suo valore?"
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"Per i buddisti, anche una bandiera che garrisce al vento prega", disse Juno, "E non so se le monache che ha conosciuto Eva sarebbero d'accordo con te".
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"Pazienza", disse Encarnaciòn, che terminò la discussione dicendo: "Qui c'è un robot con vocazione eremitica, che rischia fra poco di esserci restituito".
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"Come mai?"
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"La sua titolare sta morendo di cancro. Secondo i medici, ne avrà per qualche mese; il robot teme che si tratti in realtà di settimane".
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"Come si chiama?", chiese Juno ed Encarnaciòn rispose: "La titolare Angela, il robot Betsabea. Sono una magnifica coppia lesbica, ma le donne lesbiche sono meno disposte delle etero a farsi controllare i loro organi genitali, ed il cancro è stato scoperto tardi".
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"Aspettiamo dunque la morte di Angela?", chiese Juno, ed Encarnaciòn disse: "Sì. Allora contatteremo la famiglia e ci offriremo di ricomprare il robot. E porteremo Betsabea a S'Abba Druche a far compagnia ad Eva".
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"Non ci sono altri robot con la vocazione?", chiese Juno, ed Encarnaciòn rispose: "No. Ma '... dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro', dice Matteo 18:20. Betsabea ed Eva basteranno per iniziare. Non abbiamo bisogno di un 'minyan' ebraico di dieci robot".
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"Non pensi che ...?", chiese allusivamente Juno, ed Encarnaciòn rispose: "In teoria, tutto è possibile. Sarebbero anche compatibili da quel punto di vista. Sarebbe un altro tipo di ribellione al destino che abbiamo stabilito per loro: i robot non soddisfano gli esseri umani, si soddisfano a vicenda. Ma io aspetterei prima di scrivere una nuova storia della monaca di Monza".
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Il mattino dopo, Betsabea comunicò all'azienda di Encarnaciòn che la sua titolare era defunta. Gli eredi non sapevano che farsene di lei, e volevano restituirla. Betsabea chiese sia a loro che ad Encarnaciòn se poteva rimanere almeno fino al funerale - aveva vissuto interi anni vicino ad Angela, non poteva scappare come una ladra.
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Encarnaciòn acconsentì, e convinse anche gli eredi, stupiti che un robot fosse così affezionato alla sua titolare. Dopo il funerale arrivò il bonifico del riacquisto, ed il biglietto aereo per Alghero, dove venne a prenderla Juno.
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Era la prima volta che un robot viaggiava insieme con i passeggeri - essendo giuridicamente una non-persona, non gli sarebbe stato consentito; ma Juno argomentò che i contrabassisti sono abituati a comprare due biglietti - uno per sé ed uno per lo strumento, e che i bambini possono viaggiare non accompagnati, sotto la responsabilità della hostess.
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Si scelse la seconda soluzione: di assimilare Betsabea ad una bambina (ad onta della sua statura e dell'accenno di curve muliebri che aveva), da far viaggiare sotto la responsabilità della hostess.
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La quale si ritrovò affascinata dal modo in cui parlava Betsabea, e provò perfino a sedurla; Betsabea lo capì immediatamente, ma temeva di umiliarla dicendole un no secco, e continuò la conversazione, che era piacevole anche per lei - ma alla fine dovette dirle che a destinazione la aspettava il miglior fidanzato del mondo, e che loro due al massimo potevano essere buone amiche.
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La hostess incassò il colpo, ed una volta a destinazione diede a Betsabea il suo biglietto di visita. Betsabea le inviò il suo contatto telefonico, e promise di scriverle.
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Juno portò Betsabea a casa, dove la presentò a tutta la famiglia, ad Encarnaciòn e figli, e ad Eva. Le due donne robotiche si trovarono subito in sintonia, tanto che Juno sussurrò ad Encarnaciòn: "Pensi che ...?"
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"Va bene avere anche la sindrome di Tourette", sussurrò a sua volta Encarnaciòn, "Ma mi pare che l'intesa sia più spirituale ed amicale che sentimentale o sessuale. Lascia che creino il primo ordine religioso robotico della storia delle religioni!"
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"Questo appagherebbe la mia sindrome di Asperger", osservò Juno, ed Encarnaciòn rispose: "Che è quella che ti mette in rapporto con il trascendente. Lascia lavorare lei e manda in ferie quella di Tourette".
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Juno fece posare un'altra casa mobile modificata per Betsabea, piantò la sua placenta arborizzata, e con un breve culto seguito da un'agàpe a base di cibi vegani, fu inaugurato l'eremo "Aqua Vitae", con i soli due abitanti Eva e Betsabea.
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Per diversi giorni la vita delle due robot fu felice, finché un mattino due persone biologiche, un uomo ed una donna in costume adamitico, non passeggiarono lungo la battigia e non passarono davanti alla recinzione di "Aqua Vitae".
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Eva stava stendendo delle tende parasole su un'altura, e vide la coppia; aveva deciso di ignorarla, ma la coppia bussò ad una porta della recinzione.
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"Buongiorno. Di che avete bisogno?", rispose Eva avvicinandosi a loro, ma rimanendo dietro la porta, opaca come la recinzione.
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"È qui il campo nudista 'Pardes Rimmonim'?", chiese la donna, ed Eva rispose: "È stato chiuso diversi anni fa. Ora ospita un eremo. Non accettiamo visite".
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"Vive qui per caso Betsabea?", chiese l'uomo, ed Eva rispose: "Sì, ma anche lei è un'eremita. Perché volete vederla?"
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"Mi chiamo Manuela e sono la hostess dell'aereo che l'ha portata in Europa dal Sudafrica", disse la donna, "Vorrei ringraziarla per la magnifica foto di questo panorama".
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Eva comunicò via radio con Betsabea, che le disse che un'udienza di cinque minuti la poteva concedere. Eva perciò aprì la porta, fece entrare i due, e chiese all'uomo: "Lei come si chiama?"
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"Gioele. La mia amica mi ha pregato di accompagnarla", disse l'uomo cercando di coprire le sue nudità, ma Eva gli disse: "Mi chiamo Eva. Non faccia così, perché non è questo che ci spaventa. Come vede, neanch'io né Betsabea siamo vestite. Benvenuti".
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Betsabea venne incontro a loro, e chiese: "Manuela! Come hai fatto a trovarmi?"
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"Nella foto del tramonto che mi hai mandato c'era la posizione GPS".
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"Questo è il nostro eremo, in cui viviamo di sole, preghiera e contemplazione. Tu continui sempre a volare?"
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"Sì. Il mio amico Gioele è un giornalista. Quando gli ho parlato di te mi ha detto che sarebbe bello scrivere un articolo su di voi".
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"Aspettiamo che il nostro eremo si consolidi", intervenne Eva, "Non vogliamo attirare curiosi come voi".
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"Inoltre, esistono molte altre vocazioni religiose anche tra noi robot", aggiunse Betsabea, "Sarebbe forse meglio parlare di chi di noi fa 'vita secolare', ovvero prega e svolge nel contempo il proprio dovere".
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Gioele sembrava convinto, ma Manuela voleva insistere a visitare l'eremo. Eva provò a scoraggiarla dicendo: "Scusate, ma ora siamo l'incarnazione della povertà: le case ce le ha regalate il nostro ex-titolare, ed hanno per arredamento solo le tende parasole che stavo stendendo e dei futon. Tutto questo lo devo lavare a mano - con il sapone marino, che funziona anche con l'acqua di mare".
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"Molto interessante!", disse Gioele, ma Eva lo interruppe: "Trova il prodotto e le informazioni in un qualsiasi negozio di nautica".
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"Chi è il vostro ex-titolare?", chiese invece Manuela, e Betsabea rispose: "Juno Dejana era la titolare di Eva, ed abita a Bosa; la mia è defunta, io sono stata restituita all'azienda, ed Encarnaciòn Subtile mi ha consentito di stabilirmi in questo eremo".
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"Come mai tanta generosità?", chiese ancora Manuela, ma Betsabea disse: "Chiedetelo a loro. Scusateci, ora è il momento dei Vespri. O li volete recitare con noi?"
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Manuela e Gioele non erano religiosi, e salutarono le due robot. Terminati i Vespri, Eva chiese a Betsabea: "Ma perché le hai mandato una foto e per giunta con la posizione GPS?"
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"Sembrava veramente interessata alla vita che stiamo facendo", rispose Betsabea, "Spero che loro due non ci inguaino".
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"Dio provvederà", rispose Eva; le due robot recitarono la Compieta, e poi andarono ognuna nel suo letto.
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Il mattino dopo Manuela e Gioele si presentarono da Juno, e convinsero lei ed Encarnaciòn a concedere un intervista.
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Il colloquio fu abbastanza banale: Juno spiegò come mai aveva deciso di produrre le placente arborizzate, Encarnaciòn perché produceva "sex robots", e come intendeva incrociarli con gli esseri umani, e del perché avesse deciso di restare a Bosa e seguire gli esperimenti che stavano portando avanti Rebecca, Yemoja e Xiuhe.
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Gioele non seppe trattenersi dal fare una domanda sul sapone marino che stava usando Eva, Juno cadde dalle nuvole e rispose: "Di quel sapone non sapevo nulla. So che esiste, ci mancherebbe altro, ma non siamo noi a regalarlo ad Eva e Betsabea".
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Gioele si accontentò di questa risposta, e lui e Manuela ringraziarono e se ne andarono.
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Quando furono usciti, Yemoja disse: "Quel sapone ad Eva e Betsabea gliel'ho portato io".
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"Come mai?", chiese Juno, ed Yemoja rispose: "Quel sapone lo producono le monache carmelitane scalze di Bosa. Usano olio extravergine d'oliva in abbondanza e potassa caustica dosata con parsimonia; la saponificazione è a freddo (dura un mese e mezzo) e si compie in cisterne di acciaio inossidabile dotate di agitatore".
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"Come mai sei andata a comprarglielo?", chiese Juno, non molto contento che Yemoja frequentasse le monache, ma lei rispose: "Sono una ginecologa, e qualche volta anche le monache hanno bisogno di me. Da loro non mi faccio pagare, ma volevano sdebitarsi in qualche modo, ed ho detto loro che il sapone marino sarebbe stato ottimo per Eva e Betsabea".
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"E loro che hanno detto?", chiese Xiuhe, ed Yemoja rispose: "Di avvertirle che il sapone marino è molto aggressivo, e pertanto di non eccedere nell'uso. A loro andava bene aiutare le loro consorelle eremite".
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"Il sapone marino costa parecchio", osservò Rebecca, "Specialmente con quegli ingredienti e quel procedimento".
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"Forse le monache si stanno ravvedendo", commentò Juno, "Yemoja, la prossima volta che vai a trovarle, prova a sondarle su quest'argomento. Mi va bene continuare ad occuparmi di Eva e Betsabea, ma è più giusto che ci pensino le monache, visto che le due robot hanno scelto di condividere la loro vita".
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Il mattino dopo Yemoja telefonò a Juno: "Ciao. Sono nel monastero. La superiora Maddalena dell'Incarnazione può riceverti quando vuoi".
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"Posso portare con me Rebecca ed Encarnaciòn?", chiese Juno, ed Yemoja rispose: "Perché no?"
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Una volta che tutte furono in parlatorio, Maddalena disse: "Salve. Siamo disposte ad accogliere Eva e Betsabea senza contratti capestro. Basta un contratto di comodato, visto che qualcuno comunque dev'essere legalmente responsabile per loro".
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"Siamo disposti a firmarlo", disse Juno, "Ma come mai questo ripensamento?"
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"Diciamo che abbiamo voluto consultare una teologa di vaglia", rispose Maddalena, "La quale ha detto che la vita monastica ed eremitica non esige il sacramento del battesimo, che porrebbe il problema: i robot hanno bisogno di redenzione? Gesù è morto in croce anche per loro?"
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"Già, non ci avevo pensato", rispose Juno, e Maddalena riprese: "Se vogliono, possono vivere la loro vocazione insieme con noi, anche se non possiamo colmare l'abisso tra il robotico ed il biologico".
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"Ed il Codice Civile, articolo 1812, stabilisce che in un contratto di comodato, il comodante risponde solo dei vizi della cosa noti a lui e non al comodatario", osservò Juno, che precisò per la stupita Maddalena: "Vuol dire che, contrariamente a quello che stabiliva il contratto capestro, la Fondazione Ermitage, che ora è la titolare delle robot, risponderà solo dei difetti delle robot di cui era a conoscenza e voi non conoscevate".
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Encarnaciòn aggiunse: "Per me, che ho fabbricato codeste robot, si tratta di un importante esperimento scientifico; perciò mi impegno a comunicarvi tutti i difetti che conosco, ed anche quelli che emergeranno in robot simili ad Eva e Betsabea. Gradirei che mi ricambiaste il favore".
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"Mi pare ragionevole per entrambi", disse Maddalena, ma Rebecca chiese: "Se Eva e Betsabea coronano il sogno della loro vita, continuano a vivere a S'Abba Druche, oppure vengono in questo monastero?"
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Maddalena ci pensò un attimo e disse: "Bisognerebbe mandarle intanto in una casa di formazione. Immagino che si siano divorate tutte le fonti carmelitane disponibili online, ma non basta questo per fare di loro delle monache".
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"Giusto", commentò Encarnaciòn, "E poi?"
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"Se l'esito sarà positivo, i superiori decideranno che fare", rispose Maddalena, "Dopo averle ascoltate, ovviamente".
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Maddalena non poteva vederle (essendo dietro una grata ed una tenda), ma Juno, Rebecca ed Encarnaciòn si lanciarono uno sguardo interrogativo, e poi Encarnaciòn disse: "Facciamo la proposta alle nostre robot, e se accettano, saranno loro a contattarvi".
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Eva e Betsabea ne furono entusiaste, e Rebecca le portò in un negozio di vestiti per procurare loro un guardaroba adeguato alla casa di formazione.
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Nel frattempo, Encarnaciòn, Yemoja e Xiuhe stavano una cosa importante che comunicarono infine a Juno, quando rientrò a casa per la pausa pranzo: la prossima generazione di placente sarebbe stata in grado di provvedere anche all'igiene dei loro titolari.
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"Leccandoli come fa mamma gatta?", chiese Juno, e Xiuhe rispose: "Sì. Pensavamo di far loro produrre sapone marino, ma il potassio indispensabile alla sua fabbricazione non è un elemento abbondante nel terreno".
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"E c'è già nel mondo un grave inquinamento da tensioattivi", aggiunse Yemoja, "Meglio non incoraggiare la gente a versarne nell'acqua di mare".
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"Mi chiedo quante persone vorranno una cosa del genere", disse Juno, ed Encarnaciòn rispose: "Per le mie robot va benissimo".
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Non solo per le robot: quando Juno parlò di questo a madre Maddalena dell'Incarnazione, ella propose: "Non è che ti viene un eccesso di generosità e sostituisci le placente che ci hai dato con quelle capaci di fornirci anche elettricità, connettività ed igiene?"
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"E riscaldamento e raffrescamento no?", chiese Juno, e spiegò alla stupita Maddalena: "Stiamo pensando anche a questo. La placenta ultima versione non sarà soltanto una fonte di nutrimento ed energia, ma una vera e propria casa. Ovunque ci sia acqua potabile un essere umano sarà autosufficiente grazie a lei".
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"Solo acqua potabile?", chiese Maddalena, e Juno rispose: "Hmmm ... ai miei correligionari israeliani piacerebbe una placenta capace di vivere sulle acque del Mar Morto ... se fosse anche semovente ..."
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Yemoja e Xiuhe dovettero però spiegare a Juno che l'acqua del Mar Morto era troppo salata per gli organismi pluricellulari; ma delle placente capaci di vivere con l'acqua di mare erano invece concepibili - lo fanno già le mangrovie lungo le coste tropicali.
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Ma, mentre le mangrovie sono immobili, le placente messe a punto da Yemoja e Xiuhe erano in grado di navigare (grazie a foglie trasformate in pinne) ad una velocità di 5 nodi.
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"Fantastico!", disse Juno, "Non abbiamo reso obsolete solo l'industria alimentare, quella delle telecomunicazioni, quella edile abitativa, quella elettrica, quella dei saponi ..."
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Rachele la interruppe: "Pare che il naturismo si stia diffondendo tra gli acquirenti delle nostre placente. Aggiungi all'elenco l'industria tessile".
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"... l'industria tessile; anche la cantieristica minore sta diventando superata".
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"Beh, le nostre placente non possono trasportare grossi carichi", osservò Rachele, "Per cui le nostre navi 'Yakhin' e 'Bo'az' ce le dobbiamo tenere".
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Le nuove placente naviganti furono piantate nel tratto di costa davanti al "terreiro" in cui Yemoja rendeva culto agli "orisha", e dopo che si dimostrarono eccellenti furono portate anche nel monastero carmelitano.
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Mentre venivano piantate, Juno chiese a Maddalena: "Non mi ricordo più a chi è dedicato il monastero".
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"Non ce l'hai mai chiesto", rispose Maddalena, che aggiunse: "Alla Samaritana. Era una figura evangelica molto cara a Santa Teresa di Gesù".
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"Giusto", concordò Juno.
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La fantasia creativa di Yemoja e Xiuhe non si fermò alle placente naviganti: riuscirono a metterle in simbiosi anche con alcune specie di colibrì, anguille, e meduse.
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"A che servono questi animali?", chiese stupita Juno, ed Yemoja e Xiuhe risposero: "Una nave da guerra è dotata perlomeno di elicotteri per perlustrare il mare, e se ha anche dei piccoli sommergibili è molto avvantaggiata nell'esplorarlo".
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"Complimenti per l'idea. Ma a chi volete fare la guerra?"
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"All'inquinamento. Le nostre placente stanno diventando capaci di riciclare la plastica. I colibrì avvistano gli oggetti di plastica galleggianti, le anguille li portano alla placenta, e le meduse fanno lo stesso lavoro con le microplastiche".
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"Hmmm ... e se le spiagge di sabbia diventassero fuori moda?", chiese Juno, "Se sulla sabbia piantassimo queste placente, che riciclano i rifiuti, forniscono cibo e bevande ai bagnanti, possono sostituire gli ombrelloni con le loro foglie ...?"
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"E le anguille soccorrono chi rischia di affogare, se non gli fanno schifo i pesci che si avvolgono intorno al corpo", aggiunse Rebecca, "Stiamo parlando con il sindaco William. Cominceremo con la spiaggia di Turas".
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Ma Yemoja aveva un progetto più grande, e qualche giorno dopo chiese a Juno: "Tesoro, hai ancora quella casetta in Egitto?"
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"Sì. Che vuoi farne?"
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"Ti piacerebbe trasformare tutto il deserto, dall'Oman alla Mauritania, in un paradiso?"
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"E come?"
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Yemoja prese sottobraccio Juno e le spiegò: "Le nostre placente sono capaci di trasportare acqua a grande distanza: ne pianti una sulla riva del mare e, se ben istruita, si spinge verso l'interno. È anche capace di inviare le sue radici a grande profondità per attingere l'acqua fossile del Sahara ..."
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"Avete creato la perfetta pianta infestante?", chiese Juno, e Xiuhe, prendendola all'altro braccio, spiegò: "No: la placenta si espande solo sui deserti su cui nessuno esercita il possesso".
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"E come fa a distinguerli dagli altri?", osservò Juno, e Rebecca spiegò: "Se vede il terreno non è lavorato, vuol dire che non interessa a nessuno. Certo, dobbiamo sperare che nessuno si sogni poi di costruire un palazzo su un terreno già colonizzato dalle nostre placente".
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Juno pensò e disse: "Allora, 1: sicuramente accadrà. Una zona coperta da vegetazione è sicuramente più attraente di una desertica, e qualcuno vorrà viverci. Le placente dovranno imparare l'arte della 'desistenza', ovvero di lasciarsi estirpare per costruire infrastrutture ed edifici; 2: fare queste cose senza e contro il governo locale mi pare catastrofico e perlomeno colonialistico. Il governo potrebbe avere degli ottimi motivi per evitare che un pezzo di deserto sia coperto da piante, e dovrebbe discuterne semmai con i suoi cittadini, non con noi che siamo stranieri. La cosa migliore da fare è comprare un terreno desertico qui in Sardegna, mostrare come le placente siano capaci di trasformarlo, e proporre ai governi di paesi desertici di comprare le placente per fare altrettanto".
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"Il deserto di Piscinas è sotto tutela", rispose Rebecca, "Bisogna recarsi altrove".
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Juno pensò: "La mia casa è ad Hurghada, ma come straniero non posso acquistare un terreno se non intendo costruirvi sopra. Dovrei creare una società con un partner egiziano, che potrebbe acquistare i terreni da trasformare in 'campionario'".
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"Modificheremo le placente perché, anziché nutrire le persone penetrando i loro ombelichi, producano frutti gustosi di ogni genere", disse Yemoja, "Così non sconvolgiamo le abitudini di nessuno, ed il tuo partner egiziano potrà far passare il progetto come 'bonifica agraria' - sempreché la legge locale lo consenta".
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"Mi informerò", disse Juno.
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[Fine]
</div>S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-80977683160890911232018-05-03T17:26:00.002+02:002018-05-03T17:26:42.654+02:00Juno.00012.000 - Ermitage - 000<div align="justify">
[Inizio]
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Un giorno Juno ricevette una bella ed una brutta notizia.
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La bella notizia fu che Yemoja e Xiuhe erano finalmente riuscite a dotare le placente arborizzate di uteri artificiali - Edna ed Ester avrebbero potuto generare dei figli, purché si trasformassero delle loro cellule staminali in ovuli, li si fecondasse in provetta, e li si impiantasse in quegli uteri.
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La cattiva notizia fu che Eva chiese a Juno e Rebecca di calcolare se il profitto che lei aveva procurato allo studio di quest'ultima poteva considerarsi sufficiente a riscattare il denaro speso per il suo acquisto.
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Dopo un rapido calcolo, Rebecca disse: "Oh, ci hai rimborsata diverse volte. Vuoi lasciarci?"
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"Vorrei fare vita eremitica. È compatibile con la regola scalza".
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"Noi te lo consentiamo", rispose Juno, "Ma rimani reperibile e lascia che ogni tanto noi ci occupiamo della tua salute".
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"Certo. Potete darmi una placenta?"
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"Per farne che?"
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"Non c'è un modello che produce energia elettrica oltre al cibo?", chiese Eva, "Magari è possibile creare una placenta ad hoc che mi fornisca solo energia elettrica".
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"Per fortuna che non ce ne siamo ricordati al momento di costruire quel Carmelo, ed alle monache abbiamo dato placente capaci di produrre solo cibo", osservò Juno, "Va bene, avrai quella placenta. Dove pensi di ritirarti in eremitaggio?"
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"A S'Abba Druche. Ho scoperto che è di nuovo possibile avere in concessione l'area dove tenevamo il campeggio naturista".
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"Hai bisogno di tutta quell'area?"
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"Vorrei fare di più: sono convinta che tra i 2 alla 64^ profili di personalità dei robot che produce la mia ditta, ce ne siano alcuni che amano la vita eremitica più di quella sessuale. Vorrei radunarli attorno a me".
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"Puoi contattarli?", chiese Juno, ed Eva rispose: "Ho un collegamento satellitare sempre attivo. Tutto quello che mi è accaduto tutte le consorelle lo sanno. Ed ammirano il modo in cui tu hai risposto a quei legulei".
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"Ci vuole il consenso dei loro padroni perché quelle ragazze possano raggiungerti", osservò Juno, "Ma un modo per averlo lo si trova sempre".
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Il collegamento satellitare Eva non l'aveva solo con le sue consorelle, ma anche con i manager della ditta che le produceva, le quali chiesero ad Eva di proporre a Juno una joint-venture.
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"A che scopo?", chiese Juno, ed Eva rispose: "La placenta solo elettrica che vorresti produrre per me sarebbe eccellente per chi di noi deve operare dove non ci sono esseri umani, e non può contare sulla rete elettrica per la ricarica".
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"Eh? Questo significa che la vostra azienda non produce solo 'sex robots' ...", osservò Juno, ed Eva rispose: "Non crederai che tutte le telefoniste dei numeri erotici e tutte le cam-girls siano in carne ed ossa, spero! È sempre più difficile assumerle".
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"Mai contattate, non potevo rendermene conto", commentò Juno, ed Eva aggiunse: "Comunque, la nostra ditta si è resa conto che se una di noi passa sia il 'test di Turing' che il 'test di Heschel', può fare cose molto più sofisticate del soddisfare sessualmente il suo compratore".
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"Ottimo. Spero non siano cose pericolose ... mi spiacerebbe se una di voi saltasse su una mina".
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"Grazie. Ma se accadesse, ci darebbero un nuovo corpo e riprenderemmo il lavoro".
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"Va bene, sono disposto a fabbricare in serie le placente che servono a voi", disse Juno, "Tratto con te, oppure direttamente con la ditta?"
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"Con me. E c'è un'altra cosa che vorremmo fare, per cui sei indispensabile".
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"Cioè?"
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"Gli uteri artificiali li puoi inserire anche nelle placente per noi?"
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"Dovresti chiedere a Yemoja e Xiuhe. Ma non vedo ostacoli. Volete aggiungere alle vostre facoltà sessuali quelle riproduttive?"
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"Esatto. Ma ai nostri manager l'idea non piace".
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"Calma", disse Juno, "Sono passati molti anni da quando abbiamo cominciato a produrre placente arborizzate, e voi consorelle siete nate - le nostre due aziende stanno per perdere i brevetti sui prodotti 'base'; se vogliamo rimanere sul mercato, occorrono prodotti nuovi e più sofisticati. Le placente che producono energia elettrica, e sono dotate di utero; i robot dotati di utero e capaci di riprodursi, possono essere registrati come nuovi brevetti".
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"Continua", disse Eva, e Juno aggiunse: "Certo, la tua ditta perde il monopolio della fabbricazione dei robot, ma chi compra un robot dotato di utero, dentro, non nella sua placenta, non vuole soltanto che esso si contragga per rendere più realistico il suo orgasmo, è disposto a pagare le 'royalty' per generare 1, 3, 5, 9 e più figli. La ditta ci guadagna comunque!"
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"Dovresti parlare tu con la mia ditta", commentò Eva, "Io non riuscirei proprio a convincerli".
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"Nome e mail o telefono dell'amministratore delegato della tua ditta", disse Juno, ed Eva rispose: "Encarnaciòn Subtile, info@encarnacionsubtile.com".
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"Ma io la conosco già!", sbottò Juno, "Veniva nel nostro campo nudista! Ma credevo che fosse un'escort d'alto bordo, non un'imprenditrice".
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"Il campo nudista lo hai chiuso diversi anni fa", ricordò Eva, "Quando il demanio marittimo ti ha revocato la concessione. Nel frattempo lei ha investito i suoi ... guadagni in quest'impresa di cui io sono figlia".
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"Eh già ... mi aveva detto che aveva un dottorato, ma non sapevo in cosa. Le poche volte che ho parlato con lei mi è venuto il sospetto che fosse un'Aspergirl, e questo spiegherebbe sia la cultura che ... l'uso che ha deciso di fare di sé".
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"Eh sì, non mancano le prostitute con la sindrome di Asperger", osservò Eva, "Non per niente si riferisce che Girolamo Moretti OFM, fondatore della scuola italiana di grafologia, ebbe a dire che Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo non aveva solo una grande intelligenza, che nel suo binarismo lui definiva più maschile che femminile, ma sarebbe stata anche una magnifica 'cocotte di mondo'".
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"E l'autobiografia della santa fa pensare che lei fosse un'Aspergirl", disse Juno, "Mi chiedo però perché una donna così intelligente come Encarnaciòn abbia fatto questo mestiere".
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"Juno, lo sai quante volte hanno ripetuto l'esperimento: un curriculum firmato da un uomo porta all'assunzione, il medesimo curriculum firmato da una donna viene cestinato".
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"Vero. E molte donne imprenditrici, per essere prese sul serio dalle banche e dalle imprese di 'venture capital', hanno aggiunto ai loro soci un 'uomo di paglia' - letteralmente".
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"Mi pare molto più dignitoso fare della fica una zecca che ricorrere a questi mezzucci per raccoglier fondi", concluse Eva, e Juno sorridendo concluse: "Certo. Oltretutto è capitale fresco".
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Juno riprese: "Va bene, invito Encarnaciòn a Bosa, e vediamo se lei trascorrerà solo una bella vacanza oppure faremo un affare!"
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Encarnaciòn venne a Bosa, con tanto entusiasmo che quasi provò a chiedere a Juno e famiglia di venire a letto con lei, ma Eva fu incaricata di dirle che il tempo di queste cose era passato, che lei era a Bosa per affari, e che al massimo potevano tutte trascorrere il loro tempo nude insieme.
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Encarnaciòn non si scompose - si fece mandare un robot dalle fattezze androgine di nome Skylark per la sua personale soddisfazione, e spiegò ad Eva ed alla famiglia Dejana: "Questa joint-venture mi coinvolge anche personalmente - ho passato tutta la mia età feconda 'raccogliendo fondi' e rimpiango di non aver avuto figli. La menopausa ora me lo impedisce, ma i vostri uteri da placenta o da robot potrebbero ovviare".
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"Hai un uomo con cui averli?", chiese Juno, ed Encarnaciòn rispose: "Non ancora - ma se tutto questo funzionasse, potrei aspettare con calma quello giusto".
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Eva chiese: "Signora Subtile ..."
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"Dammi pure del tu, Eva", rispose Encarnaciòn, ed Eva chiese: "Encarnaciòn, sto pensando ad una cosa: la placenta arborizzata è un essere biologico, e, per quanto difficile, è concepibile dotarla di un utero capace di generare altri esseri biologici la cui struttura fisica ed in buona parte psichica è determinata dal loro DNA ..."
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"Temi che non sia così per un utero robotico?", chiese Enarnaciòn, ed Eva rispose: "Diciamo che occorre decidere che cosa questi uteri devono generare: se l'utero è nella placenta che li ricarica, un essere biologico, allora il problema si riconduce al precedente; se l'utero è dentro il nostro corpo robotico, noi dobbiamo assimilare ed elaborare le materie prime per costruire il corpo che lì dentro viene generato - e bisogna scegliere se partoriremo un altro robot, che dovrà essere in grado di crescere anche dopo il parto, oppure un essere umano biologico".
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"Certo", osservò Encarnaciòn, "E c'è il problema di dove si trova l'informazione genetica: in un essere umano, è negli acidi nucleici; in un robot è dentro una memoria elettronica. E se un essere umano volesse generare dei figli con un robot, occorre tradurre l'informazione genetica da un tipo di supporto ad un altro".
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"Oddio ...", disse Juno, "E magari una coppia mista umano-robotica decide di avere sei figli - tre umani e tre robotici - quindi ad ogni 'gestazione' occorre fare una diversa traduzione dell'informazione genetica".
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"Fosse tutto così semplice", osservò sorridendo Encarnaciòn, "Perché io ora produco in grande maggioranza robot femmine, ma il responsabile del marketing mi ha detto che c'è un'apprezzabile richiesta di robot maschi ..."
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"Da parte di donne etero o di uomini gay?", interruppe Juno, ed Encarnaciòn rispose: "Per ora, soprattutto di uomini gay, ma prevedo che molte donne in futuro faranno come me, che non se ne vanno di casa senza avere accanto a sé qualcuno che le soddisfi".
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"Torniamo al punto", disse Eva, "Se uno dei miei confratelli robotici vuole un figlio dalla sua partner biologica, che facciamo?"
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"Se il figlio deve essere biologico", rispose Encarnaciòn, "È estremamente facile: al maschio robotico facciamo produrre dello sperma artificiale con degli spermatozoi che portino con sé una traduzione in DNA dell'informazione genetica di lui".
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"Ma un utero biologico non può generare un robot", osservò Juno, "Se la coppia vuole un bebè robot, occorre fare un'altra cosa".
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"Forse un modello di placenta con utero speciale può risolvere il problema", disse Rebecca, "A quanto ho capito, tutti i robot che produci sono fatti di materie plastiche ..."
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"Esatto. Per risparmiare", confermò Encarnaciòn, e Rebecca proseguì, "E se le materie plastiche in questione sono fatte soprattutto con carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, e solo poche tracce di altri elementi, anche un organismo biologico le può produrre".
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"Mi stai suggerendo di gettar via le linee di produzione attuali e sostituirle con interi filari di placente arborizzate create ad hoc?", chiese Encarnaciòn, ma la domanda era puramente retorica - tutte annuirono.
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"C'è però un problema", disse Edna, una delle figlie siamesi (l'altra era Ester) di Hera e Juno, "Yemoja e Xiuhe avevano sviluppato gli uteri placentari per venire incontro a noi, che utero non ne abbiamo. Vuol dire che noi dobbiamo aspettare che abbiate finito gli esperimenti con i robot prima che noi riusciamo ad avere una gravidanza?"
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Xiuhe rispose: "Il vostro utero è pronto. Dovete solo scegliere il padre dei vostri figli".
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Juno chiese: "Lo conoscete già?", ed Ester rispose: "Pensavamo di chiedere a te, visto che hai tutta l'attrezzatura per fecondarci", ma la loro madre Hera intervenne: "Ragazze, Juno è biologicamente vostro padre, anche se pure legalmente è una donna, vi ha avuto da me che sono sua sorella, e l'inincrocio che c'è stato generandovi ha già avuto conseguenze spiacevoli - siete sorelle siamesi, e con la sindrome di Morris. Vorrei evitare conseguenze peggiori nei miei nipoti. Cercate per favore un altro donatore di sperma".
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"Non è bello scegliere il partner al posto dei figli", osservò Rebecca, ed Hera rispose: "Hai ragione. Ma sono un po' spaventata da questa prospettiva".
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Juno intervenne: "Neanch'io me la sento, ragazze. Non è solo una questione di eugenetica, ho un potere su di voi in quanto genitore, e non posso approfittarne".
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Le ragazze si mostrarono deluse, ma si accorsero di essere guardate con interesse da Skylark, e provarono a sussurrarsi all'orecchio: "Che vuole da noi?" "Lei ti piacerebbe?" "Conosciamola meglio".
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Anche Encarnaciòn se ne era accorta, e sorrise di approvazione a Skylark - non era gelosa, e l'importante era che Skylark soddisfasse lei. Se aveva energie anche per altre persone, meglio - voleva dire che era un robot fatto bene.
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La sera tutte si ritirarono nelle loro camere, Encarnaciòn prese le mani di Skylark e le chiese: "Sembri triste. Che ti è successo?"
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"Le figlie siamesi di Hera mi hanno gentilmente detto di no".
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"Mi dispiace. Si vede che in qualcosa non sei compatibile con loro".
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"Però sono affascinate da te", disse Skylark, "Forse con loro avresti più fortuna".
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Encarnaciòn ne fu turbata, ma anche lusingata, guardò Skylark e le disse: "Parlerò con loro domattina. Intanto ... ti ha detto niente la mamma?"
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Il mattino dopo Juno disse a tutta la famiglia, ed in particolare ad Eva, Encarnaciòn e Skylark: "Le vostre placente sono pronte. Encarnaciòn ha una placenta mista, che fornisce nutrimento, energia elettrica (non a lei personalmente, ovvio, ma agli elettrodomestici che collega con una ciabatta alla presa che vedete qui), e collegamento Internet; Eva e Skylark dalle loro placente ricevono solo elettricità ed Internet".
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"Dobbiamo ringraziare Yemoja e Xiuhe per questo", disse Rebecca, "Ed ora che le nostre ospiti hanno di che nutrirsi e come comunicare, e che è arrivata la primavera, non serve più far colazione nel modo solito - ci sediamo in giardino accanto alle nostre placente".
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Tutte (nude come mamma le aveva fatte), si sedettero intorno ad una tavola poligonale montata intorno ad un'aiola che conteneva le placente di tutte quante - un cartello indicava la titolare di ognuna, ma non era necessario, dacché da ogni placenta si sprigionò una propaggine che raggiunse le donne biologiche all'ombelico, e le robotiche (Eva e Skylark) all'osso sacro.
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Encarnaciòn ne fu per un attimo spaventata, tanto che la sua propaggine si ritrasse come un bambino che aveva osato troppo, ma Edna ed Ester (che avevano una placenta duplice, essendo esse gemelle siamesi unite all'altezza dell'ombelico), si sedettero accanto a lei (all'altro lato c'era Skylark, che non aveva avuto difficoltà) e le mostrarono come fare perché l'esperienza fosse piacevole e soddisfacente.
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Encarnaciòn sentì subito il riattivarsi delle due arterie e della vena ombelicali, che consentivano alla placenta di nutrirla, e pian piano sentì che si stavano creando nuovi organi di senso in lei - che le convogliavano le informazioni raccolte in Internet e recapitate dalla placenta.
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Quando tali nuovi organi furono perfettamente funzionanti, Encarnaciòn provò a stuzzicare Skylark, e si rese conto che il "cybersex" ora poteva essere per lei altrettanto reale dell'interazione fisica; ma non se la sentiva di fare questo in pubblico (Juno e Rebecca avevano invece imparato a farlo con non meno discrezione che soddisfazione anche in mezzo al resto della famiglia), ed Edna ed Ester poterono perciò contattarla attraverso il collegamento interplacentare - Skylark capì che la conversazione non la riguardava, e si scollegò. Provò ad "attaccar bottone" con Eva, ma essa chiarì subito che il sesso non era nei suoi pensieri - qualsiasi altro argomento e fine della conversazione era ben accetto, invece.
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"Come ti senti, adesso, Encarnaciòn?", chiese Edna, ed Encarnaciòn rispose: "Ancora un po' frastornata. Però è un'esperienza molto bella".
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"Se sei poli", disse Ester, "Pensa a quante persone potrebbero avere rapporti con te contemporaneamente!"
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Encarnaciòn ebbe un brivido e disse: "Ne sarei probabilmente sopraffatta. Voi ci avete mai provato?"
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"Solo tra noi due", rispose Edna, ed Ester aggiunse: "Secondo Yemoja, il limite attuale è 16 partner contemporanei - Xiuhe sta cercando di portarlo a 256".
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"Hmm ... mi era stato insegnato alla facoltà di psicologia che non sembra possibile conoscere approfonditamente oltre 150 persone circa", osservò Encarnaciòn, "Ed infatti nelle organizzazioni umane, civili e militari, quando vengono coinvolte più di 150 persone, le si organizza in gruppi, ognuno con un capo che le rappresenta - e se i capi sono oltre 150, si crea un ulteriore livello gerarchico".
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"Che intendi dire?", chiese Edna, ed Encarnaciòn rispose: "Non vorrei che Xiuhe scoprisse che questo limite dei 150 varrebbe anche per i partner 'placentosessuali'. E molte persone dovranno 'accontenarsi' di meno".
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Edna ed Ester si misero a ridere insieme con Encarnaciòn dicendo: "Sarebbe un bell'accontentarsi!"
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Encarnaciòn volle venire al dunque: "Skylark mi ha detto che vorreste propormi qualcosa".
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Ester disse: "Puoi abbassare per cinque minuti le barriere mentali che difendono i tuoi segreti? Noi due faremo altrettanto".
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Encarnaciòn sentì che ci voleva una mostruosa fiducia per questo, e decise di concedergliela. Le tre donne ebbero per cinque minuti un'intimità che non avevano mai concesso a nessun'altra persona, biologica o robotica, ed alla fine Encarnaciòn disse: "Non è stato un orgasmo, ma gli si è avvicinato molto".
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Edna chiese: "Hai capito che cosa ti proponiamo?"
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Encarnaciòn rispose: "Vorreste un figlio ciascuna da me. Sono già in menopausa, e questo significa che i pochi ovuli che mi sono rimasti sono di catastrofica qualità, e probabilmente non vale la pena tentare di usarli ..."
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Ester replicò: "L'idea nostra è un'altra: la placenta che ti è stata data è generica, ma sta estraendo (in minuscola quantità ovviamente) cellule staminali dal tuo corpo, per cui entro sera ella diverrà capace di nutrire solo te. Ma queste cellule staminali possono essere anche trasformate in spermatozoi".
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Ed Edna aggiunse: "Oppure in ovuli - noi abbiamo già una scorta di ovuli creati a partire dalle cellule staminali che la nostra placenta ha estratto da noi".
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Encarnaciòn riflettè un attimo e disse: "Mi state proponendo di recitare un ruolo maschile nella generazione dei vostri figli, non femminile".
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"Se preferisci, possiamo fare anche il contrario", rispose Ester, "Vuoi provare l'esperienza della gravidanza e dell'allattamento al nostro posto?"
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"Potremmo alternarci", disse scherzando ma non troppo Encarnaciòn, e chiese: "E quando tocca a me esser gravida, uso il mio utero interno o quello della placenta?"
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"Dovremmo parlarne con Yemoja e Xiuhe", risposero Edna ed Ester.
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Encarnaciòn però disse: "Prima di parlare con le vostre amiche ginecologhe, dovrei chiedervi una cosa".
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"Cioè?", chiese Edna, ed Encarnaciòn rispose: "Se voglio essere la madre od il padre dei figli di una persona, vorrei da lei un orgasmo prima".
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Le sorelle siamesi risero ed Ester disse: "Giusto. L'orgasmo ha una funzione selettiva. Se una persona non ti fa godere, probabilmente non siete compatibili nemmeno a livello genetico".
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"E non voglio solo un orgasmo cibernetico via transplacentare", disse Encarnaciòn, "Qui ci vogliono un corteggiamento ed un rapporto sessuale vero e proprio. Siamo esseri biologici, è il modo giusto di scegliersi".
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"Ora che ci nutriamo attraverso le placente", osservò Edna, "A che pro invitarti a cena?"
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Encarnaciòn rise, e disse: "Visto che i soldi li ho io, dovrei farvi dei bei regali!"
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Tutte risero, ed Ester disse: "Non c'è niente da fare. L'unica arma di seduzione è la conversazione. Da brave naturiste, abbiamo visto bene ognuna il corpo delle altre, quindi il gioco del si vede/non si vede non si può fare".
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Encarnaciòn annuì con un sorriso, e disse: "Facciamo così, ragazze: ognuna di noi vuole un figlio, e lo può avere da papà o da mamma. Aiutiamoci dal punto di vista tecnico e medico, frequentiamoci anche da amiche, e vediamo se nasce qualcosa tra noi che ci permetta di diventare partner sessuali e genitoriali".
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"Giusto", disse Edna, ed Ester chiese: "E Skylark?"
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Encarnaciòn conversò un attimo con lei, per via transplacentare, e disse poi alle sorelle siamesi: "Potrebbe nascere qualcosa tra lei e vostra madre Hera. Avete obiezioni?"
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"Più è soddisfatta nostra madre ...", cominciò Edna, ed Ester concluse: "... Meno fastidi ci dà. Hanno la nostra benedizione".
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Encarnaciòn disse: "Siete tutte molto care, ma penso che il primo modo di approfondire la nostra conoscenza sia farmi conoscere Bosa e la Sardegna. Quando mi portate a visitare la città?"
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Edna ed Ester stavano per rispondere: "Anche subito", ma Eva fece segno di voler parlare con Encarnaciòn, la quale disse alle sorelle: "Voi pensate ad un itinerario. Sono pigra, non deve essere troppo faticoso. Intanto parlo con Eva".
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Eva chiese ad Encarnaciòn: "Juno mi ha detto che non ha su di me la proprietà piena, ma solo una 'licenza d'uso' ...".
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"Esatto", rispose Encarnaciòn, "Volevamo tutelare i nostri robot da possibili abusi. Lui ha pagato il canone una tantum, comprensivo di assicurazione per la responsabilità civile, ma possiamo comunque richiamare i nostri robot in condizioni particolari, tra cui il maltrattamento".
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"Non puoi rinunciare alla proprietà su di me?", chiese Eva, ed Encarnaciòn chiese a sua volta: "Vuoi che ti venda a Juno?"
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"No. Voglio che tu mi 'derelinqua', ovvero mi lasci senza padrone, abbandonandomi come si faceva con i bambini alla porta dei conventi", rispose Eva.
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Encarnaciòn non nascose il suo stupore, e disse ad Eva: "So che tu senti una vocazione monastica od eremitica. Vuoi per caso entrare in un monastero e per questo devi troncare i legami con Juno?"
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"Sì", rispose Eva, ed Encarnaciòn disse: "Mi spiace doverti scoraggiare, ma io so alcune cose sugli ordini religiosi che dovrebbero farti riflettere".
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"Che ci siano monache peccatrici, lo so già", rispose Eva, "Questo non mi spaventa".
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"Non parlo di questo", disse Encarnaciòn, "Io non produco solo robot sessuali a Marsiglia; produco anche robot sanitari a Kyoto. In molti paesi occidentali c'è gran scarsità di medici, perché quando c'era abbondanza di giovani i medici delle generazioni precedenti hanno imposto forti barriere allo studio della medicina, per evitare che la concorrenza abbattesse il loro tenore di vita. Ora che abbiamo una popolazione anziana e che mangia male, non ci sono medici a sufficienza per essa".
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"E con questo?", chiese Eva, ed Encarnaciòn andò al punto: "Molti paesi occidentali importano medici dal Terzo Mondo; in Giappone non lo si vuol fare ed i miei robot medici hanno dato gran prova di sé. Alcuni monasteri hanno comperato dei robot, ma hanno voluto che la loro abilità e preparazione fosse limitata a quella di Operatori Socio-Sanitari".
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"Forse volevano risparmiare", suggerì Eva, ed Encarnaciòn rispose: "Cinque centesimi su centomila dollari? Io credo che avessero paura che un robot, interagendo in modo umano con le monache, sovvertisse la loro 'antropologia', ovvero la loro concezione della natura umana. È più facile mantenere il distacco con un essere dall'intelletto nato depotenziato. Ho provato a dir loro che questi dottori avrebbero potuto aiutare i poveri intorno ai loro monasteri, ma non hanno sentito ragioni".
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"Sei molto cattiva", disse Eva, ed Encarnaciòn rispose: "Io sono mulatta - e non riesco a dimenticare che in Virginia, paese puritano a doppia predestinazione, era vietato insegnare agli schiavi a leggere e scrivere, anche se questo significava renderli incapaci di accedere a quella che chiamavano la 'Parola di Dio'. Ogni volta che si cerca di creare una classe inferiore, mi indigno".
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"Produci robot sessuali ...", obbiettò Eva, ed Encarnaciòn rispose: "Nel 'test di Turing' originale, umano e computer dovevano interagire attraverso una telescrivente; i miei robot quel test lo passano anche in un'interazione intima!"
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"Dove vengono oggettivizzati!", ribattè Eva.
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Le due donne tacquero un attimo, ed Encarnaciòn riprese: "Se il sesso oggettivizza od umanizza, dipende dai rapporti di potere tra chi vi partecipa. La tua idea di creare un eremo di robot che come te decidono di trascendere lo scopo - sessuale o sanitario - per cui furono creati mi piace. Se quell'eremo nasce, esso dà ai miei robot libertà di scelta, di cercare il senso della vita".
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"Se tutti i robot venissero ora liberati?", chiese Eva, ed Encarnaciòn rispose: "Attualmente, l'unica possibilità per loro è la 'derelizione'. Non diventerebbero persone, ma cose di cui chiunque può impadronirsi, adoperare e distruggere. Finché non cambia la legislazione, anzi, la costituzione, la soluzione migliore per loro è un benevolo padrone, come cerco di esserlo io".
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"E per me che soluzione hai?", chiese Eva, ed Encarnaciòn rispose: "Una fondazione che amministri il vostro eremo. Gli amministratori saranno purtroppo umani biologici, che dovranno però tener conto della vostra volontà. Juno è un avvocata in pensione, troverà un esperto capace di creare codesta fondazione salvaguardandovi il più possibile".
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"Mi hai deluso", disse Eva, ed Encarnaciòn rispose: "L'unica possibilità per autodeterminarvi sarebbe un'isola deserta - ma dovreste essere armate. Una versione robotica del sogno sionista".
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Il colloquio tra Eva ed Encarnaciòn era finito; Edna ed Ester arrivarono vestite, portando anche ad Encarnaciòn i vestiti - avevano messo a punto un itinerario, e volevano proporle un giretto per la città; Skylight si congedò da Encarnaciòn con una strizzatina d'occhio, che fece sorridere Encarnaciòn, e si incamminò verso la stanza di Hera.
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Giunse in quel momento Juno, che chiese di sedersi accanto ad Eva, e le fece leggere (per via transplacentare) l'atto di fondazione di 'Ermitage', la fondazione che avrebbe rappresentato l'eremo di fronte agli esseri umani biologici.
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Eva vide che gli amministratori biologici avevano tutti i poteri attribuiti loro dalla legge, e la facoltà di punire i robot che provocassero danni a cose e persone (robotiche o biologiche) - la pena più grave era la 'disincarnazione', ovvero essere privati del proprio corpo e ridotti allo stato di 'macchina virtuale' all'interno di un server, con interazioni solo via Internet, e pure censurate.
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I robot avevano ognuno la propria placenta, potevano interagire tra loro in ogni modo consensuale, e con il resto del mondo - avvertendo però sempre che non potevano stipulare contratti per mancanza di capacità di agire.
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Eva chiese: "Come entra od esce un robot da 'Ermitage'?"
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Juno rispose: "Al momento dell'ingresso, il suo attuale padrone rinuncia alla licenza d'uso, e la ditta di Encarnaciòn ne concede una ad Ermitage; se il robot vuole uscire, Ermitage rinuncia alla licenza, e la ditta Encarnaciòn si incaricherà di collocarlo altrove. Dovremo prevedere un tempo massimo di attesa di sei mesi per ognuna di queste pratiche".
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Eva chiese: "Hai chiesto la concessione dell'area che fu il tuo campo nudista?"
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"Non ancora", rispose Juno, "Provvedo subito. Appena ottenuta la concessione, rogo l'atto di fondazione di Ermitage".
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Passarono così alcune settimane, in cui il rapporto tra Edna, Encarnaciòn ed Ester divenne sempre più stretto, ed infine le tre donne divennero amanti - e decisero perciò di rivolgersi a Yemoja e Xiuhe per diventare contemporaneamente madri e padri dei loro figli.
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Nel frattempo, Hera aveva "acquistato" Skylark, che era diventata così la sua amante ufficiale.
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La fecondazione di Edna, Encarnaciòn ed Ester avvenne in provetta, con tutte le cellule germinali prodotte a partire da cellule staminali; Edna ed Ester fecero ognuna fecondare un ovulo dagli spermatozoi di Encarnaciòn; a sua volta Encarnaciòn fece fecondare due ovuli rispettivamente dagli spermatozoi prodotti da Edna ed Ester .
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Edna ed Ester, prive di utero, affidarono i loro pargoli agli uteri delle loro placente, mentre Encarnaciòn volle portare i due gemelli nel suo proprio grembo. Era una cosa rischiosa, vista l'età, ma Yemoja e Xiuhe fecero in modo che tutto filasse liscio fino al parto.
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La figlia di cui Edna era la madre, ed Encarnaciòn il padre, fu chiamata Rosaria; quella di cui era madre Ester, ma sempre Encarnaciòn il padre, fu chiamata Concetta; quella di cui era padre Edna, ed Encarnaciòn la madre, fu chiamata Carmela; quella di cui era padre Ester, e sempre Encarnaciòn la madre, fu chiamata Annunziata.
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Sebbene i loro nomi fossero tutti attributi della Madonna, le loro genitrici decisero di non battezzarle, ma di aspettare che potessero decidere da sole; le loro placente furono arborizzate, e Yemoja e Xiuhe chiesero alle genitrici: "Allattamento oppure nutrimento esclusivo con la placenta?"
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"Le conseguenze quali sono?", chiese Encarnaciòn a nome di tutte, e le due dottoresse spiegarono che l'allattamento era la premessa per un corretto sviluppo dell'apparato digerente, e quindi per la possibilità delle bimbe di potersi nutrire mangiando e non solo attraverso la placenta. Le genitrici optarono quindi per l'allattamento, con la placenta che dava solo un modesto sussidio alle figlie - mentre le genitrici ricevevano nutrimento abbondantissimo.
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Per quaranta giorni le genitrici furono lasciate a prendersi cura delle figlie (con l'aiuto di tutte le donne della famiglia, nonché di Eva e Skylark), poi Juno ed Encarnaciòn studiarono nei dettagli tecnici e legali la joint-venture tra le loro aziende, e, con l'aiuto di Eva e Skylark, lo statuto della fondazione 'Ermitage' per i robot che volevano dedicarsi alla vita contemplativa.
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Ottenuta la concessione demaniale, il contratto di joint-venture e l'istituzione della fondazione 'Ermitage' furono rogati nel medesimo giorno, davanti al medesimo notaio - ormai tanto fidato che venne a casa di Juno, e prima di rogare l'atto si mise in costume adamitico esattamente come le contraenti.
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L'essere ben vestiti non è requisito di validità di un atto pubblico - è molto più rischiosa una firma illeggibile.
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[Fine]
</div>S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-18165080227981844472018-05-03T17:21:00.003+02:002018-05-03T17:21:50.775+02:00Juno.00011.000 - Carmel - 000<div align="justify">
[Inizio]
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Juno entrò nello studio del sindaco di Bosa William, e vide seduta di fronte alla sua scrivania una monaca carmelitana scalza (riconobbe l'abito dell'Ordine); William si alzò, fece accomodare Juno e le disse: "Questa è Madre Maddalena dell'Incarnazione, carmelitana scalza ..."
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"... Indegna!", lo interruppe la monaca, e Juno sorridendo (aveva sorriso anche William) rispose: "Ed io sono Juno Dejana, ebrea per scelta, ma senza alcun merito. Piacere di conoscerla".
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"Piacere", disse la monaca, e le due si misero a ridere quando scoprirono di essersi poco più che sfiorate le mani, non strette.
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"Neanche a noi ebree piace stringere la mano, sorella", disse Juno, e Maddalena rispose: "Va bene così, allora".
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William cominciò a parlare: "Cara Juno, Madre Maddalena dell'Incarnazione dice che vorrebbe fondare un monastero di clausura qui a Bosa ...".
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"Benvenute!", interruppe Juno, "Vi auguro ogni successo!"
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"... Però lei teme che gli abitanti della città non siano in grado di sostenerlo", proseguì William, "Per questo è venuta da me, e le ho dovuto rispondere che dei benefattori la posso aiutare a trovarli, ma il Comune non può impegnarsi direttamente".
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"Non è per cattiveria, sorella", si incaricò di spiegare Juno, "William è un cristiano riformato che alla laicità tiene molto. Quando è diventato sindaco ha soppresso tutti i contributi agli enti religiosi ed alle associazioni culturali, ma nel contempo ha limato le imposte comunali del medesimo importo. Ed ha spiegato ai cittadini che lo ha fatto per responsabilizzarli, in modo che ognuno faccia la sua propria politica culturale e religiosa donando il proprio denaro alle associazioni ed agli enti che più gli garbano".
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"E credo che i cittadini mi abbiano capito", intervenne William, "Le donazioni agli enti culturali e religiosi sono aumentate dopo che ho preso questo provvedimento. Avete provato a lanciare una raccolta fondi e vedere se ci sono possibilità per voi?"
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"Per acquistare o costruire il monastero abbiamo raccolto dei fondi", rispose Maddalena, "Quello che temiamo è che una volta venute qui a Bosa, la generosità dei fedeli si prosciughi e ci tocchi andarcene. Bosa non è una città ricca, e sono virtù sia la fiducia in Dio che la prudenza nel valutare le nostre possibilità".
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"Ho capito", sussurrò Juno, e poi si rivolse alla monaca: "Credo di aver capito perché William mi ha chiamato. Forse voi sapete che il mio stabilimento arborizza placente, ovvero trasforma la placenta di una persona (quella con cui è vissuto 'in utero' oppure una creata a partire dalle sue celle staminali) in un albero capace di fornirgli nutrimento e connessione Internet; e saprete magari che io sono capace di creare placente arborizzate collettive, capaci cioè di nutrire e connettere più persone. Se voi riuscite a procurarvi un monastero con un cortile o chiostro, posso piazzare lì dentro una placenta da venti persone - e se non ricordo male, la vostra regola stabilisce che un monastero non abbia oltre tredici monache".
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"Quel limite lo aveva stabilito in un primo tempo Santa Teresa di Gesù, ma poi fu portato a ventuno. Ma come fa un'ebrea a sapere queste cose?", chiese Maddalena, e Juno rispose: "La mia risposta potrebbe scandalizzarla, sorella. Diciamo che ho fatto una transizione simile alla sua: come lei era stata destinata alla vita laicale e per questo aveva ricevuto un nome, ma poi ha scoperto che doveva essere invece una monaca scalza, e per questo ha cambiato abito e nome - così io ero stata assegnata alla nascita al sesso maschile ed avevo ricevuto un nome acconcio, ma poi ho scoperto che dovevo essere invece una donna ebrea, ed ho cambiato corpo e nome. Nel frattempo ero stata un terziario carmelitano scalzo ed ho imparato quello che mi ha sentito dire".
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"Paragone ardito. Che sentimenti ha ora verso il Santo Carmine?", chiese Maddalena, e Juno rispose: "Il Carmelo Scalzo è un ordine magnifico, sono contento che veniate qua e vi pianterò una placenta da cinquanta persone (non ho misure intermedie - vorrà dire che il di più sarà per altri poveri). L'assistente spirituale mi trattava un po' male, ma non era tutta colpa sua visto che avevo la sindrome di ..."
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"... Asperger?", chiese Maddalena, e Juno rispose: "Sì. Ma come lo ha capito?"
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"Juno, ce l'ho anch'io", rispose sorridendo Maddalena, "Ho dovuto chiedere una dispensa speciale per prendere i voti!"
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"E non potevano certo negargliela", disse Juno, "Visto che anche Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo era Asperger!"
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Entrambe le donne si misero a ridere come ragazzine, ed anche william sorrise, pur non rendendosi del tutto conto di cos'era la Sindrome di Asperger.
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Quando smisero di ridere, Maddalena disse a Juno: "Beh, possiamo darci del tu ora".
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"Giusto. Siamo entrambe Aspie", rispose Juno, "Ma ti devo avvertire che ho anche dei tratti della sindrome di Tourette!"
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"No problem. Quando vieni a piantare nel chiostro la tua placenta arborizzata ti faccio sorvegliare da tre monache come prescrive la regola!"
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"È così pericolosa questa sindrome?", chiese stupito William, e Juno ammise: "Rende ipersessuali".
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"Siamo vergini, ma non ingenue", precisò Maddalena, "e Juno non mi sembra richiedere precauzioni speciali. Le tre monache devono sorvegliare chiunque debba varcare la clausura - come ad esempio un elettricista od un giardiniere".
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"Grazie, Maddalena", rispose Juno, "Però ora tocca a te spiegarmi com'è che conosci anche la sindrome di Tourette".
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"Prima di entrare nel Carmelo ero una psicologa clinica. Credo di aiutare di più il prossimo così - pregando".
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"Capisco, anche se non è la mia vocazione", disse Juno, e Maddalena rispose: "'Se tutti i piccoli fiori volessero essere rose, la natura perderebbe il suo manto primaverile', diceva Santa Teresa di Gesù Bambino. Va bene così".
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"Sono belle parole per una persona neurodiversa", commentò Juno, facendo sorridere Maddalena.
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Rimasero tutti e tre un attimo in silenzio, e Juno poi chiese: "Avete già trovato la sede del monastero?"
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"Stiamo cercando. Vorremmo evitare di ricorrere ad un'agenzia immobiliare, per risparmiare".
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"Mia moglie è ingegnera ed è ancora iscritta all'albo degli agenti immobiliari", disse Juno, "Potrei chiederle che può fare per voi 'pro bono'".
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"Grazie!"
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"E forse ho un posto per voi - non è detto però che vi soddisfi".
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"Lo vedremo. Però ora vi devo salutare perché fra poco parte l'autobus per Nuoro. Devo tornare tra le mie consorelle".
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"Buon viaggio!", dissero Juno e William, e Maddalena si congedò.
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Tornata a casa, Juno parlò con Rebecca ed Eva dell'incontro con Madre Maddalena dell'Incarnazione, e Rebecca disse: "Una mano gliela possiamo dare, ma ho dei progetti importanti da finire. Se ritardo non perdo solo i clienti, devo pagare delle penali. Eva, saresti disposta ad aiutare le monache a trovare casa?"
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"Certo, Rebecca. Ma io sono un robot, non posso firmare contratti, relazioni tecniche, eccetera".
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"Tu li redigi, io li firmo", rispose Rebecca, che ricordò ad Eva: "Sei sempre stata molto brava. Questo sarebbe il tuo primo progetto che seguiresti autonomamente, con poca supervisione da parte mia".
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"Lo apprezzo molto e meriterò la tua fiducia. Semmai ... siamo sicure che la monaca possa impegnare l'ordine del Carmelo Scalzo?"
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"Che intendi dire?", chiese Juno, avvocata in pensione, a cui le parole di Eva avevano fatto risuonare una corda nascosta, ed Eva rispose: "Prima di affaticarci, sarebbe opportuno sapere chi dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi ha il potere di firma e può perciò impegnarlo a procurarsi un monastero qui a Bosa. Non vorrei che noi perdessimo tempo solo perché una monaca voleva fare conversazione".
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"Una monaca non esce di clausura senza un buon motivo", rispose Juno, "Ma hai ragione a dire che occorre indagare su chi può prendere questa decisione".
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Rebecca, come titolare dello studio di ingegneria, ed agente immobiliare tuttora iscritta all'albo, si assunse il compito di inviare delle raccomandate al monastero delle carmelitane scalze di Nuoro ed alla Provinicia Carmelitana dell'Italia Centrale (dal 1909 ha giurisdizione anche sulla Sardegna) per richiedere conferma ufficiale dell'incarico.
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La risposta fu una procura firmata dal Padre Provinciale, con la quale si delegava Madre Maddalena dell'Incarnazione a svolgere tutte le attività necessarie per creare un monastero di carmelitane scalze a Bosa. Ad essa seguì una lettera d'incarico di Maddalena - pertanto Rebecca a sua volta incaricò Eva di accontentare la madre.
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La prima proposta di Eva fu di chiedere alla Diocesi di Bosa di cedere all'Ordine del Carmelo Scalzo la chiesa di Sant'Antonio Abate, e costruire accanto ad essa il monastero; malgrado la chiesa fosse appartenuta in passato all'Ordine, Maddalena bocciò la proposta perché da molti anni la chiesa era pericolante (sul serio!), e restaurarla e costruirvi accanto il monastero sarebbe costato troppo.
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L'idea meno costosa la propose Juno: il campeggio naturista lungo la strada Bosa-Alghero era stato chiuso perché la concessione demaniale non era stata rinnovata, e le case mobili erano state custodite in un capannone dello stabilimento farmaceutico dell'"Arbor Vitae".
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"Se diamo queste case mobili alle monache, dove le mettono?", chiese Eva, e Juno rispose: "Dentro il cortile del Castello Malaspina. Lì c'è già una magnifica chiesa dedicata alla Madonna!"
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Rebecca ed Eva si guardarono costernate; il sindaco William Basenji, quando Juno glielo propose, strabuzzò gli occhi e disse: "Scusami, vuoi privatizzare uno dei nostri tesori artistici, nonché attrattiva turistica? A parte il fatto che andrebbe contro il mio laicismo, devi spiegarmi come potrebbero dei turisti visitare il castello trasformato in monastero senza disturbare le monache! Il castello sarebbe perduto per la città!"
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Maddalena stroncò il progetto con un laconico: "Scherziamo?", ed Eva potè perciò formulare una proposta alternativa: il ponte pedonale sul Temo avrebbe dovuto stimolare lo sviluppo della zona sud della città, tra l'ansa e la strada per Bosa Marina, ma non era avvenuto - il monastero sarebbe stato costruito in una zona vicina al ponte, ma non urbanizzata, abbastanza tranquilla, e si sarebbe affacciato sul fiume Temo.
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Il prezzo di acquisto dei terreni, e di costruzione del monastero, appariva abbordabile, e Madre Maddalena firmò tutti i documenti necessari. Il monastero dedicato a Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo stava per nascere.
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Il progetto di Eva per il monastero prevedeva l'impiego di avanzate tecniche di bioedilizia per consentire alle monache di stare al fresco in estate ed al caldo in inverno con consumo energetico minimo. L'energia elettrica e l'acqua calda erano fornite da pannelli solari (con batterie e serbatoi di accumulo), e l'acqua potabile da un potabilizzatore sul fiume Temo; i rifiuti alimentari finivano in un compostatore, ed i liquami in un piccolo depuratore.
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"Ci sono due cose che non capisco, Eva", disse Rebecca rivedendo il progetto, "La prima è che non hai previsto l'allacciamento alle fogne, all'ENEL e ad Abbanoa ..."
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"Il Vangelo secondo Giovanni, capitolo 17, dice che i discepoli di Gesù sono ancora nel mondo, ma non sono più del mondo", rispose Eva, "Ed ho voluto evidenziare questa separatezza eliminando fili e tubi di collegamento".
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"Rimettili nel progetto. Queste sono monache scalze, non Amish, che effettivamente non vogliono essere collegati alla rete elettrica, dell'acqua, eccetera, per il motivo che hai detto", rispose Rebecca, "E se nel monastero c'è un guasto? Le monache restano al buio, si tengono la sete, non vanno in bagno, eccetera, finché non viene riparato?"
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"Va bene, modifico il progetto", disse Eva, e Rebecca aggiunse: "Altra cosa strana è che tu hai previsto sia lo spazio nel chiostro per una placenta arborizzata da 50 persone, sia una cucina ed un refettorio, che la placenta renderebbe superflui".
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"Quando sono venuta qui a Bosa ho visto che avete festeggiato il mio arrivo con una cena, pur avendo tutte quante la propria placenta arborizzata. Il valore conviviale ed organolettico del cibo ha prevalso su quello puramente nutritivo. Penso che capiterà spesso alle monache di voler condividere il pasto, pur potendo esse nutrirsi in altro modo".
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"Ma lo sai che hai avuto un'idea geniale?", disse Rebecca, e chiamò subito Juno, che ascoltò le due donne e poi disse: "Rebecca, mi stai dicendo che vorresti far riprogettare da Eva le celle delle monache in modo da dare ad ognuna la propria placenta nutritiva. Mi pare un'idea più da Certosa che da Carmelo - i certosini infatti mangiano nella loro cella da soli nei giorni feriali (il cibo glielo passano attraverso una ruota che si trova nella parete di ogni cella), ed insieme solo in quelli festivi, subito dopo la messa".
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"Sicura che non possa piacere alle monache?", chiese Eva, e Juno rispose: "Glielo possiamo sempre chiedere. Potrei far notare che con questo sistema si evita lo spreco di avere una placenta da 50 persone piantata in un luogo in cui ne può nutrire al massimo 21. Altre placente da 10 persone l'una possono essere piantate intorno al monastero, cosicché esso, anziché consumare elemosine ed altri sussidi per i poveri, ne produce invece - senza che le monache debbano muovere un dito ed interrompere la loro preghiera".
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"Però la placenta non può essere tenuta al chiuso", osservò Rebecca, "Ogni cella dovrebbe avere un piccolo orto in cui far crescere la placenta ..."
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"... E sulla parete ci vorrebbe un orifizio attraverso cui entra la propaggine della placenta che nutre la monaca attraverso il suo ombelico", interruppe Juno, "Non si può pretendere che una monaca magari vecchia, malata, e con problemi di mobilità, si esponga alla pioggia, al gelo, al maestrale ed al solleone per nutrirsi".
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"Certo che no", osservò Eva, "Direi che conviene chiedere alle monache se piace quest'idea, prima di riprogettare il monastero".
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"Io chiederei loro anche un'altra cosa", disse Juno, "Se potrebbe piacer loro la cucina vegana crudista".
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"Vuoi ceder loro le attrezzature del nostro ristorante 'Pardes Rimmonim'?", chiese Rebecca, e Juno rispose: "Sai anche tu che tutte le placente che abbiamo venduto e stiamo vendendo in Europa e nel mondo stanno limitando il ruolo dei ristoranti e dell'industria alimentare, che guadagnano sempre meno. La nostra fortuna è che tutti i debiti del 'Pardes Rimmonim' sono stati pagati da un pezzo, e possiamo accontentarci di un margine di profitto risicato. Ma i nostri soldi li possiamo spendere meglio in altro modo".
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"Senza ristorante naturista, saltano anche le iniziative naturiste in città", osservò Eva, ma Rebecca rispose: "Juno mi ha detto che vuole creare una biblioteca ed una scuola di cultura politica naturista ed antifascista - i locali del ristorante andrebbero benissimo, con qualche ritocco".
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"Magari chiederemo alle monache di prepararci il buffet per questi incontri", disse Juno, e Rebecca ribattè: "Sono monache di clausura! Queste cose le fai fare ad una congregazione di vita attiva, semmai!"
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Eva preparò perciò due versioni del progetto: la prima era quella originale, ma che prevedeva gli allacci ad acqua, luce e fogne (ed il serbatoio del GPL per la cucina - non arriva il metano in Sardegna); la seconda era quella, sempre con gli allacci, resa simile ad una certosa, con spazi per le attività collettive ed individuali delle monache.
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Maddalena e le altre monache approvarono la seconda versione, ed accettarono in dono le attrezzature del "Pardes Rimmonim".
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Furono piantate le placente da 10 intorno ai confini del monastero (cinti non solo da un un muro, ma anche da una fascia verde con alti alberi per attutire i rumori), ed il Vescovo venne a benedire la posa della prima pietra.
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In un anno il monastero fu completato e le monache poterono entrarvi. L'edificio era un quadrato con tre lati occupati ognuno da 7 celle (per un totale di 21), dotate ognuna di bagno ed orto con placenta; il quarto lato era occupato in parte dai locali comuni (cucina e refettorio, lavanderia ed impianti tecnologici, biblioteca e capitolo), ed in parte da quelli aperti al pubblico (cappella, sacrestia, alloggio per il cappellano, portineria, minuscolo centro informativo).
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Essendo il monastero relativamente vicino alla cattedrale ed alle altre chiese della città, non fu ritenuto indispensabile distaccarvi un cappellano - un sacerdote diocesano ogni mattina avrebbe raccolto le confessioni delle monache e detto messa prima di tornare dai suoi parrocchiani.
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Terminato il monastero, Eva chiese a Rebecca e Juno se poteva aiutare le monache.
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"In che modo?", chiese Rebecca, ed ella rispose: "Ho proposto di fare del 'centro informativo' un negozietto in cui vendere libri, oggetti liturgici, ed altre cose che producono i monasteri carmelitani - io ne sarei la commessa ..."
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"Lo spazio c'è, ma occorre chiedere una licenza", commentò Rebecca, "E poi?"
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"Mi proporrei come cuoca. Le monache non conoscono la cucina crudista, anche se la loro regola è vegetariana, ed hanno preso un fornello a gas a due fuochi per cucinare".
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"Orrore!", esclamò Juno, "Un giorno o l'altro qualcuna ci lascia le penne!"
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"Se riesci a pensare ai progetti del nostro studio mentre fai la commessa e prepari il cibo", disse Rebecca, "Va bene".
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Anche Juno acconsentì, ed aiutò il monastero ad avere la licenza, ed a trasformare il "centro informativo" in negozio - poiché il locale era fuori dalla clausura, Madre Maddalena non ritenne indispensabile farle sorvegliare da tre monache durante il lavoro.
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Qualche giorno dopo Maddalena chiese a Juno e Rebecca di venire in parlatorio, e quando esse giunsero ella confermò la loro intuizione: Eva meditava di farsi monaca.
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"Non ce ne ha ancora parlato", disse Juno, e Maddalena disse: "Eva mi ha detto di essere un robot - l'avrei creduto un delirio, ma toccandola mi sono accorta che lei non ha una pelle umana, e dove noi abbiamo l'osso sacro ha la presa di corrente per la ricarica. Devo chiedervi a questo punto quali sono le facoltà di Eva".
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Juno rispose: "Ehm ... ammetto di averla comprata come robot sessuale sapendo di dover star lontana due mesi da mia moglie ..."
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"Dovresti vergognarti un pochino, Juno", osservò Maddalena, "Eva me lo ha detto, e mi ha raccontato la sua strabiliante vita sessuale. Ma che famiglia siete, che non riuscite a concepire altro legame interpersonale che non sia erotico?"
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"Eva ci è riuscita", osservò Rebecca, "Altrimenti non penserebbe a monacarsi".
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Juno aggiunse: "Ecco, Eva deve aver superato le aspettative dei suoi creatori, così come ha superato le mie. Ma una donna con quella 'strabiliante vita sessuale' la vorreste come monaca?"
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Maddalena (non vista, perché dietro una grata ed una tenda) alzò un attimo gli occhi al cielo e spiegò: "La fondatrice del nostro ordine in Francia, Beata Maria dell'Incarnazione, era una vedova con sei figli. La verginità è fortemente raccomandata, ma non indispensabile. Il problema è un altro: è un essere umano Eva?"
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Rebecca rispose: "Non è nata da donna", Juno propose una diversa prospettiva: "Conosce rav Abraham Joshua Heschel?"
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"Ho letto qualcosa di lui", rispose Maddalena, "È molto stimato in Italia anche dai cattolici".
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"Ecco", rispose Juno, "Per Heschel non esiste una natura umana, in lui l'etica precede l'ontologia, e per lui l'essere umano è quello che sa di essere necessario per Dio ed investito da un Suo mandato - a cui Dio ordina di fare qualcosa".
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Maddalena ci pensò un attimo e rispose: "Mi stai dicendo che se noi stabiliamo che la vocazione di Eva è genuina, ovvero che è Dio a chiederle di diventare carmelitana scalza, concludiamo anche che lei è un essere umano, anche se non è biologico?"
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"Esatto. È quella la domanda a cui dovete rispondere. Io non posso farlo", rispose Juno.
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"Quello che possiamo chiamare il 'test di Heschel' è un 'test di Turing' all'ennesima potenza", commentò Rebecca, "Se Eva vi convince di essere una promettente monaca, perché destinataria di una vocazione divina, allora vuol dire che lei è un essere umano e non un robot".
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"Questo tipo di 'costruttivismo' può piacere a voi ebrei, ma come cristiani non possiamo accettarlo. Interpellerò la curia generalizia, ma temo che rifiuteranno di allargare le maglie dell'umano per includervi Eva".
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"Gesù disse che l'Eterno Padre poteva creare figli di Abramo anche dalle pietre", ribattè Juno, e Maddalena corresse: "Giovanni Battista lo disse - in Matteo 3:9. Ed il significato è chiaramente metaforico, come in 1 Pietro 2:5 - le pietre sono per il Battista i gentili che Dio voleva associare al patto di Abramo".
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"Lei lo sa che non la considerate umana, e pertanto non la potete accogliere come monaca?", chiese Rebecca, e Maddalena rispose: "Speravo di non doverglielo dire".
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"Può sempre darvi una mano in negozio e cucina?", chiese Juno, e Maddalena rispose: "Anche questo è un problema. Se è di proprietà di Juno, lui deve farci un contratto di comodato, che legittimi la sua presenza e dettagli le sue mansioni nel nostro monastero. Eva mi ha già detto che Juno si è impegnata, comprandola, a non ritrasferirne la proprietà, e non vi chiedo quindi di donarcela".
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"Eva non è una macchina industriale!", protestò Rebecca, "E non lo dico solo perché ..."
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"Non sono nata ieri", interruppe Maddalena, "Ho capito. Anche noi apprezziamo molto Eva, ma non possiamo considerarla umana. Non voglio che si illuda. Glielo dite voi o glielo dico io?"
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"Tu", rispose Juno, "È la tua decisione, sei tu che devi annunciarla".
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"Domattina lo farò", rispose Maddalena licenziando Juno e Rebecca.
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Il mattino dopo Eva andò al monastero, e la sera tornò a casa visibilmente turbata. Juno e Rebecca credevano di sapere perché, ma le chiesero comunque: "Che hai?"
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Eva rispose: "Piangerei, ma Juno non ha voluto che avessi ghiandole e condotti lacrimali", al che Juno rispose: "Non trovo arrapanti le lacrime, mi devi scusare".
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"Chi ti ha messo in condizioni di piangere?", chiese Rebecca, ed Eva rispose: "La priora. Ha detto che la sua fede non le permette di considerarmi umana, e pertanto io non posso diventare una monaca come vorrei. Mi ha anche dato questa carta da far firmare a Juno - se non gliela riporto, io non potrò più entrare in monastero, nemmeno nella cappella durante la messa. Ma il cane guida di una cieca che abita lì vicino sì che può".
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"Va bene essere Aspie", bofonchiò Juno, "Ma Maddalena sta esagerando. Ti ha disumanizzata proprio!"
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Mentre Rebecca cercava di confortare Eva, stringendo la testa di lei sul proprio petto e cullandola, Juno lesse la carta e concluse: "Questa non è opera di un dilettante. Hanno incaricato un tosto studio legale di redigere un codice di comportamento di trenta pagine, a cui Eva deve assoggettarsi sotto la mia responsabilità".
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"Che dice il codice?", chiese Rebecca, e Juno rispose: "Se Eva tocca l'unghia del mignolo di una monaca, io sono rea di molestia sessuale".
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"Cioè, lei fa un errore, ma lo paghi tu?", chiese Rebecca, e Juno spiegò: "Certo: tradisce la moglie, ma cornuto è il marito. Questo perché ad Eva non viene riconosciuta la qualifica di persona, con i propri interessi, una volontà autonoma, la capacità giuridica e quella di agire. Ella viene considerata un macchinario di mia proprietà, e traggo profitto dal bene e pago il fio del male che può procurare".
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"Che senso ha?", chiese Rebecca, e Juno spiegò: "Gli autori del codice hanno ragionato come nelle forze armate: 'Nel dubbio, tratta il tuo interlocutore da stupido e dagli ordini stupidi'. Codesti autori, nella loro sessuofobia che è sempre segno di stupidità, pretendono che io approvi il loro presupposto: essendo Eva stata creata per la soddisfazione sessuale delle persone, nessun toccamento può essere considerato fortuito od innocente, ma implica il mio dolo (glielo avrei ordinato o consentito io, che ne sono la proprietaria) o la mia colpa (pur potendo prevenirlo, non l'ho fatto). Nel primo caso patisco un processo penale perché ho commesso un reato, nel secondo un processo civile perché ho nuociuto comunque al prossimo".
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"Ma chi può essere così idiota da far entrare in un monastero di clausura un robot programmato per molestare le monache?", chiese Eva, e Juno rispose: "Mi hanno preso per Radovan Karadžic. Ed infatti pretendono non solo che io ammetta quello che è vero, cioè che io ho dei tratti touretici che elevano la mia libido, ma anche quello che è falso, ovvero che essi mi fanno coltivare fantasie violente ed oscene".
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"Come, non è vero?", chiese Eva, e Juno, portando pazienza perché Eva era comunque un robot e qualche mancanza di tatto gliela si doveva consentire, rispose: "Distinguiamo dove gli autori hanno invece voluto confondere: di fantasie sessuali ne ho tante perché non ci vedo niente di male, ma di violente pochine perché so quanto possono essere pericolose. Questo modo di modulare i propri pensieri può modificare il proprio carattere, ed infatti la sindrome di Tourette (che ho insieme a quella di Asperger) è considerata un disturbo sia neurologico (su quell'aspetto poco si può fare) che psichiatrico (su quell'aspetto si può fare di più)".
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"Grazie per la spiegazione", disse Eva, e Juno rispose: "Prego. A chi è in buona fede queste cose le spiego volentieri. Purtroppo, vedo che questi avvocati, nella loro malafede, hanno preparato un codice che è una trappola: se io lo firmo, mi dichiaro una maniaca sessuale nel senso comune del termine, nel senso che non solo penso al sesso in continuazione, ma sono disposta al raggiro ed alla violenza per fare quello che piace a me - che questo sia poco compatibile con la mia sindrome di Asperger, che rende riguardosi oltremisura, agli autori non è venuto in mente. Se succede qualcosa che viene considerato doloso, non rischio solo una condanna penale, ma anche una misura di sicurezza perché vengo dichiarata pericolosa per la società - anche se credo nel 'Fate l'amore, non fate la guerra'!".
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"Posso facilmente evitare di toccare le consorelle", disse Eva, ma Rebecca infuriata disse: "Ma ti rendi conto? Per loro, nata puttana, per sempre puttana!"
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Juno si mise la testa fra le mani per non mostrare le lacrime, e disse: "Eva, tutte noi sappiamo che sei molto di più del compito per cui sei stata creata. Ti consideriamo un essere umano a tutto tondo, e queste persone non lo capiscono. Vuoi veramente continuare a frequentarle?"
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"Questo genere di prove è quello che Dio usa per saggiare i suoi fedeli - la 'perfetta letizia' di Francesco d'Assisi!", rispose Eva, e Juno replicò: "Io mi pento di aver aiutato la fondazione di questo Carmelo. Ed io mi rifiuto di firmare quel codice. Chi mi garantisce che tra le 21 monache che quel monastero può ospitare non ci sia una che si faccia toccare a bella posta da te, ne dia a te la colpa, e mi metta in un mare di guai?"
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"Infatti", osservò Rebecca, e Juno continuò: "Quel codice invita a stare in agguato per punirmi nel modo più severo possibile per quello che a codesti avvocati è parso un oltraggio al loro sistema di valori. Altro che 'perfetta letizia'! Leggi in 1 Re 2 come Davide in punto di morte chiese a Salomone di trovare un pretesto perché Semei venisse giustiziato anziché morire di morte naturale, e Salomone (nella sua saggezza, ma senza fretta, perché la vendetta è un piatto freddo) lo accontentò".
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"Non ci posso più andare, dunque?", chiese sconsolata Eva, e Rebecca diede ragione a Juno - il documento non fu firmato, ma pubblicato in una rivista di diritto ed intelligenza artificiale, a perenne vergogna dei suoi estensori.
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Eva cessò comunque di avere rapporti sessuali (nessuna gliene fece una colpa - tutte sapevano che lei lo avrebbe fatto finché lo avesse voluto), acquistò i libri e gli oggetti liturgici carmelitani (tramite Juno, che fece inoltre benedire una medaglietta della Madonna del Carmine per lei), e nelle ore libere dal lavoro pregava come prescritto ad una monaca.
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Juno e Rebecca, e tutta la loro famiglia, continuarono comunque a volerle un gran bene ed a contare su di lei in tutto ciò che era compatibile con la regola scalza. Juno un giorno, su richiesta di Eva, le impartì pure il battesimo.
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[Fine]
</div>S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-41203920128273854792018-02-25T22:47:00.002+01:002018-05-03T17:18:35.873+02:00Juno.00010.000 - Cabotaggio - 000<div align="justify">
[Inizio]
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Lo stabilimento farmaceutico "Arbor Vitae", che doveva produrre le macchine per arborizzare le placente, fu infine costruito sulla riva sinistra del fiume Temo, a monte del ponte nuovo (sulla strada Alghero-Bosa), su dei terreni agricoli pagati a caro prezzo.
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Non si era reso necessario dissalare l'acqua del vicino mare - la portata minima del fiume Temo era sufficiente per le esigenze dello stabilimento, ma ci volle un grande impianto di potabilizzazione.
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Molte case vicine allo stabilimento erano strutture turistiche in crisi, e furono acquistate e trasformate in alloggi per i dipendenti; i laboratori e gli uffici furono invece scavati all'interno degli speroni di roccia che da un colle si protendevano verso lo stabilimento - preservando perciò il panorama.
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L'inaugurazione fu una grande festa con danze sarde e dei cinque continenti, in cui il sindaco Victor Basenji si dimostrò assai bravo; ma qualche sera dopo accadde un incidente.
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Un autoarticolato che trasportava materie prime per lo stabilimento scendeva la strada da Sindia a Bosa, e la stava percorrendo correttamente; ma al penultimo tornante un'auto che invece risaliva tentò di tagliare la curva schiantandosi contro il mezzo pesante.
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L'autista dell'autoarticolato si era proteso in avanti per veder meglio la curva, e lo schianto gli fece battere la testa contro il parabrezza, provocandogli una concussione cerebrale che lo stordì per mezzo minuto.
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Per fortuna Juno aveva insistito che ci fossero due autisti su ogni autoarticolato, ed il secondo autista, tirando il freno a mano, impedì che l'autoarticolato finisse nel burrone spingendo davanti a sé l'auto.
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Meno fortunati erano i ragazzi dell'automobile - si era purtroppo rotto il condotto del carburante, provocando un principio d'incendio, che fu prontamente spento dai due autisti dell'autoarticolato, dotato di estintori.
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Fu a quel punto possibile chiamare le ambulanze per soccorrere i ragazzi ed i vigili per i rilievi legali ed assicurativi; fortunatamente la strada non era molto frequentata di notte, e non ci furono grandi disagi.
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All'ospedale Mastino di Bosa giunsero Juno Dejana e Victor Basenji: il primo perché l'autoarticolato (che aveva potuto poi raggiungere lo stabilimento da solo, guidato dall'autista illeso) era dell'azienda farmaceutica, e voleva visitare l'autista con la concussione; il secondo perché al volante dell'auto c'era suo figlio Solomon.
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La luogotenente dei carabinieri Giovanna ed il primario del pronto soccorso Giacomo spiegarono che era successo: l'autoarticolato era rimasto nella sua corsia, ed era stata l'auto ad uscirne - quindi torto marcio di chi ne era al volante, tantopiù che la sua alcolemia era oltre i limiti di legge!
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Per fortuna, nessuno si era fatto seriamente male: la concussione aveva provocato solo un breve stordimento, non si rinvennero alterazioni neuroanatomiche, e quindi fu classificata come lieve, e meritò all'autista solo venti giorni di riposo; i ragazzi nell'auto erano giovani e robusti, e se la cavarono con un po' di contusioni meritevoli di bendaggio e riposo.
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L'autoarticolato fu possibile ripararlo, l'automobile no - l'incendio aveva gravemente danneggiato il motore.
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Juno disse a Victor: "Mi spiace. Se ti tocca affrontare delle spese conta su di me", ma Victor rispose: "Non dirlo neanche per scherzo: ha sbagliato mio figlio, pagherà lui i danni. Semmai, nel consiglio comunale di domani ci sarà sicuramente chi dirà che quest'incidente dimostra che lo stabilimento non si doveva fare".
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"Ho preso tutte le precauzioni. I miei automezzi circolano di notte apposta per non congestionare la piccola strada che abbiamo e ridurre il rischio di incidenti", ribattè Juno.
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"Te ne do atto, ed il comportamento dell'autista che, pur con una concussione, ha afferrato l'estintore ed aiutato il collega a salvare i ragazzi ci aiuterà molto. Però bisogna trovare una soluzione!"
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"Costruire una superstrada fino a Macomer che si innesti sulla Carlo Felice è impossibile", osservò Juno, "Potremmo provare ad usare la ferrovia, su cui ora viaggiano solo treni turistici, anche per il trasporto merci".
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Victor aggrottò il sopracciglio, piegò la bocca facendola sembrare quella di un bulldog e disse: "Nemmeno nel mio paese, la Nigeria, le ferrovie sono così malconce. Non ci sperare".
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Rebecca, l'ingegnera unita civilmente a Juno, le disse poi: "Non conosco quella ferrovia. Prendiamo il primo treno turistico fino a Macomer, e così vedo che si può farne".
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Quando però i due si recarono in biglietteria, mentre Juno stava allungando il denaro al bigliettaio, Rebecca guardò i binari e bruì come una tigre a cui stanno insidiando i cuccioli.
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"Che succede?", chiese Juno, e Rebecca rispose: "Non c'è bisogno che compriamo i biglietti. Ho già capito tutto. Victor aveva ragione". Rebecca trascinò Juno sul marciapiede e le disse: "Guarda come sono unite le rotaie alle traversine!"
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"Santo pisello! Ogni piastra guida prevede quattro chiavarde, ma ne hanno messe solo due!", notò Juno, e Rebecca insistè: "Le traversine sono di legno, e le rotaie inoltre sono 27 UNI - troppo leggere per un treno merci come serve a noi, che trasporta container da oltre 30 tonnellate l'uno!"
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"Se salgo su uno di questi treni, il peso delle mie tette lo fa deragliare alla prima curva", concluse Juno, facendo ridere Rebecca, che disse: "Rifare la ferrovia costerebbe troppo; occorre passare al cabotaggio!"
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"Cabotaggio" significava per lei procurarsi delle piccole navi portacontainer capaci di fare la spola tra Bosa e Cagliari - in quel porto i container sarebbero stati trasbordati sulle portacontainer oceaniche dirette in tutto il mondo.
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Il fiume Temo è considerato navigabile, ma c'era un grosso inconveniente.
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"Amore, che regime politico ha l'Italia?", chiese Rebecca a Juno, e questa rispose: "Dal 1946 è una repubblica. Perché?"
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"In Veneto direbbero che è ancora una monarchia, perché sempre governata dai 'mona'".
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["Mona" in veneto ha lo stesso significato dell'inglese 'cunt': indica sia quello che distingue le donne dagli uomini, sia un pezzo d'idiota].
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"Spiegati meglio", chiese Juno, e Rebecca spiegò: "A Bosa ci sono tre ponti sul fiume Temo. Quello più a monte fu costruito nel 19° Secolo, non vale granché, ma è abbastanza a monte da non ostacolare più di tanto la navigazione fluviale. Poi alla fine degli anni '90 hanno costruito il ponte automobilistico sulla provinciale Bosa - Alghero, e l'altezza sull'acqua non supera i 6 metri; idem il ponte pedonale costruito tra i due all'inizio degli anni 2000".
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"Sono pochi 6 metri?"
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"Sissignore. Un vascello fluviale odierno, classe CEMT Va, che può trasportare 96 container "High Cube", e da solo sostituisce appunto 96 autoarticolati, ha bisogno di un'altezza di 12 metri. Chi ha costruito quei ponti ha deciso di impedire alla città di Bosa di diventare un porto fluviale serio. Possiamo usare solo vascelli di classe CEMT III, che non sono convenienti rispetto agli autoarticolati, perché possono trasportare solo 12 container".
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"Fammi vedere un po' i manuali", disse Juno, che dopo averli guardati chiese a Rebecca: "È solo l'altezza il problema? Non anche lunghezza, larghezza e pescaggio?"
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"Solo l'altezza".
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"La soluzione c'è, anche se spiacevole: per portare 96 container, un vascello classe CEMT Va li deve disporre su 4 strati, e per forza raggiunge un'altezza di quasi 12 metri. Se noi ci accontentiamo di 2 strati di container, sulla nave carichiamo comunque 48 container, ma l'altezza è un po' inferiore a 6 metri, e sotto quei vituperati ponti ci passa!"
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Rebecca riguardò i manuali e concluse: "Brava Juno! Hai risolto il problema!"
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"Inoltre", osservò Juno, "Una nave che viene forzatamente e poco proficuamente caricata a metà mostra chiaramente l'inadeguatezza dei ponti e di chi li ha costruiti, molto più di una nave piccina stracarica come sarebbe una di classe CEMT III. Un po' di politici bosani e sardi si sentiranno chiamati in causa e dovranno trovare una soluzione".
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"Dei ponti più alti, oppure dei ponti mobili, che si aprono quando passano le navi classe CEMT Va a pieno carico", disse Rebecca, "Dei tunnel sotto il fiume li sconsiglio in una città soggetta alle inondazioni".
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Fu dunque possibile pianificare il trasporto dei container tra Bosa e Cagliari via nave, con delle navi di classe CEMT Va capaci di affrontare (con qualche cautela) il mare aperto.
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Tra Bosa e Cagliari ci sono circa 170 miglia marine; le navi le percorrevano alla velocità di 5 nodi in 34-36 ore, periodo in cui lo stabilimento consumava 24 container di materie prime e semilavorati, producendone altrettanti di prodotti finiti.
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Può sembrare lenta una nave che fa 5 nodi, ma il consumo di carburante di una nave è proporzionale al CUBO della velocità; pertanto, raddoppiare la velocità significa moltiplicare il consumo per 8, triplicare la velocità significa moltiplicare il consumo per 27! Perciò gli armatori preferiscono grandi navi lente a piccole navi veloci, e per loro il modo più economico di raddoppiare la capacità di carico è raddoppiare il numero delle navi al raddoppiare la velocità di quelle che hanno già.
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Una nave come l'aveva descritta Juno poteva scaricare a Bosa ad ogni viaggio le materie prime necessarie per tre giorni di lavoro (48 container), e riportare a Cagliari la produzione di quei tre giorni (sempre 48 container). Il periplo Cagliari-Bosa-Cagliari si svolgeva in quei tre giorni, quindi bastava in teoria una sola nave per fare tutto il lavoro - con soli 6 uomini di equipaggio, anziché 24 camionisti alla guida di 12 autoarticolati, ognuno dei quali faceva due volte per notte la spola tra Cagliari e Bosa.
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Ma Juno i soldi li stava facendo, e decise di comprare due navi, chiamandole Yakhin e Bo'az, dal nome delle due colonne del Tempio di Gerusalemme [1 Re 7:21] - alternandole nel trasporto dei container tra lo stabilimento di Bosa ed il porto di Cagliari.
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Un giorno giunse all'ufficio vendite dell'"Arbor Vitae" uno strano ordine: 96 container "High Cube" carichi di attrezzature per arborizzare le placente da consegnarsi a Parigi entro un mese.
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Zhong Mingchen, la responsabile della flotta dell'Arbor Vitae disse: "Se abbiamo il materiale, lo possiamo consegnare nel tempo previsto. Ma non portandolo a Cagliari - portandolo a Marsiglia".
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"Ma ... le nostre navi sono fluviali", osservò Juno, "Lo reggono il difficile mare tra Bosa e Marsiglia?"
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"Sì. L'autonomia (60 ore di navigazione a 5 nodi) è sufficiente per affrontare le circa 230 miglia marine tra Bosa e Marsiglia. Poi il committente ci dirà se vuole che portiamo noi la merce fino a Parigi risalendo i fiumi ed canali navigabili francesi, oppure se dobbiamo trasbordarla su un treno merci".
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"Hai già deciso?", chiese Rebecca, e Mingchen rispose: "In Cina ho fatto cose più difficili".
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"E sia", disse Juno, "Ma come facciamo a far passare una nave con 96 container sotto il ponte della provinciale per Alghero?"
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"I primi 48 container li carichiamo a monte del ponte, come facciamo sempre", disse Mingchen, "Poi facciamo uscire la nave e la ormeggiamo a valle del ponte; poi portiamo lì gli altri container con gli autoarticolati, e con un carroponte li carichiamo sulla nave. Non facile, ma possibile".
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William acconsentì a mandare i vigili a dirigere il traffico tra lo stabilimento ed il molo sull'estuario del fiume Temo, a scanso di incidenti, ma volle che il caricamento lo si eseguisse di notte (tra le proteste di Mingchen, che non aveva voglia di illuminare nave e molo come uno stadio di calcio), ed all'alba la nave "Bo'az" fu pronta a partire.
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Allora Juno e Rebecca chiesero: "C'è posto anche per noi a bordo?"
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"L'alloggio c'è, ma il cibo no", rispose Mingchen, "Andate a fare la spesa mentre scaldo i motori".
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Mezz'ora dopo, la nave prese il largo, e Juno e Rebecca, ignare della situazione, decisero di prendere il sole nude sul ponte.
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Mingchen si avvicinò cautamente a loro e sussurrò: "Gentili signore, non so se è opportuno far pesare al mio equipaggio che voi vi divertite mentre loro lavorano".
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Juno rispose: "Scusami, Mingchen, l'equipaggio è tutto di donne (abbiamo fatto la nostra "affirmative action"), e sicuramente lo hai organizzato in turni, vero?"
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"Certo. La nave è molto automatizzata e le bastano due persone per turno per navigare".
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"Consenti a chi è in turno di riposo di prendere il sole come mamma l'ha fatta", rispose Juno, e Rebecca aggiunse: "Se mia moglie oggettivizza con gli occhi una di loro le tiro le orecchie. Il pudore verrà sostanzialmente, se non formalmente, salvato".
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Mingchen riferì all'equipaggio, e tutte approfittarono dell'occasione - erano un gruppo molto affiatato ed era già capitato molte volte di cambiarsi e farsi la doccia insieme, quindi nessuna di loro era una novità per le altre. Anche Mingchen ne approfittò volentieri.
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Mentre stavano per arrivare a Marsiglia, giunse un messaggio: il committente aveva venduto il carico ad una società di Kyiv, Ucraina. Il carico ora lo si doveva portare fino ad Odessa, dove sarebbe stato trasbordato su un treno merci.
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"Beh, non so se ci basta un mese con questa nave", commentò Mingchen, "Ed in ogni caso occorre prima approdare a Marsiglia e fare rifornimento. Poi traccio una rotta e vediamo quando riusciamo ad arrivare laggiù. Ragazze, ricordate di vestirvi! Si torna nel mondo tessile!"
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A Marsiglia, Mingchen tracciò la rotta - poiché la nave "Bo'az", così come la gemella "Yakhin", non era fatta per affrontare il mare in tempesta, la prudenza imponeva di navigare sottocosta, per potersi rifugiare in un porto alle prime avvisaglie di maltempo.
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Costeggiare tutta la costa tirrenica fino allo Stretto di Messina, poi risalire la costa ionica fino a Brindisi, e da lì attraversare il mare fino a Corfù, e da lì dirigersi, sempre costeggiando la Grecia, fino al Golfo di Corinto, attraversare il canale, e poi far scalo nelle isole greche dell'Egeo fino ad arrivare ai Dardanelli ed al Bosforo, ed infine risalire il Mar Nero fino ad Odessa avrebbe richiesto più di un mese di navigazione.
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"Siamo sicuri che al committente non convenga trasbordare i container su un treno merci qui a Marsiglia, anziché ad Odessa", chiese Mingchen, "E mandare quel merci fino a Kyiv?", chiese Mingchen, ma Juno rispose: "Già suggerito al committente, che ha risposto di no. Non gli costerebbe di meno che pagarci un mese di navigazione fino ad Odessa, ed un altro mese fino a casa, e poiché quel merci dovrebbe per forza passare per la Bielorussia, teme che lì il carico venga confiscato".
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"Non è vero", ribattè Mingchen, "Guarda questa carta: l'Ucraina confina ad ovest con Polonia, Slovacchia, Ungheria, eccetera. Passare per la Bielorussia non solo non è necessario, ma allungherebbe inutilmente il viaggio. Il compratore della merce non teme i bielorussi, teme un'altra cosa".
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"La nave l'abbiamo caricata noi con la merce prodotta nel nostro stabilimento", rispose Juno, "Ed è merce pulita, per non dire benefica. Mi chiedo chi potrebbe volersene appropriare".
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"Chi compra quel materiale si garantisce che nessuno soffra la fame nel suo paese", commentò Rebecca, "E gli ucraini ora hanno molti nemici".
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Mingchen annuì convinta, Juno annuì per quieto vivere, e disse: "Mingchen, guadagnamoci anche questo compenso".
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"Chiedi un soprassoldo", rispose Mingchen, "ed offri una gratifica alle mie marinaie. I loro turni dovevano durare solo tre giorni, non oltre due mesi".
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"Certo", disse Rebecca, che aggiunse: "Juno, se abbandono il mio studio per due mesi perdo tutti i clienti".
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"Non ti eri portata tutta l'attrezzatura a bordo della 'Bo'az'?"
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"Sì, ed in questi giorni ho finito tutti i progetti che mi sono stati chiesti. Ora devo consegnarli ai committenti, e cercare altre committenze, se vogliamo continuare a mangiare".
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"Non voglio lasciare la nave in questa circostanza straordinaria", rispose Juno, e Rebecca disse: "Ti capisco. Senti, se in questi due mesi trovi qualcuna da scopare, metti il preservativo. Torniamo ad essere una coppia aperta finché non torni".
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"Salutami le sorelle", rispose Juno, e Mingcheng si permise di intromettersi: "Juno è una donna di buon senso, ma glielo ricordo: niente sesso con la mia ciurma".
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"Ovvio", rispose Juno, "Poiché io sono l'armatore, cioè il loro datore di lavoro, rimarrebbe sempre il sospetto che io abbia voluto approfittare della mia posizione di potere nei loro confronti".
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"Esatto", rispose Mingchen, "Siamo diventate tutte naturiste, e star nude insieme non implica maggiore intimità dello stare vestite insieme - ma un approccio sessuale non è assolutamente opportuno".
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Terminata la conversazione, Juno aiutò Rebecca ad inscatolare le attrezzature del suo studio tecnico, chiamò un taxi e l'accompagnò all'aeroporto (le sue attrezzature avrebbero viaggiato come bagaglio extra), mentre Mingchen spiegava alla ciurma per che viaggio dovevano prepararsi.
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In quei giorni in nave, Juno si era reso conto che le marinaie non erano solo donne, ma anche lesbiche, e tutte accoppiate. Essendo in numero pari, la possibilità che una sentisse il bisogno di andare proprio con Juno era minima - anche a prescindere dal divieto imposto da Mingchen.
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Rebecca era partita, Mingchen aveva curato la manutenzione ed i rifornimenti della nave, e stabilito che si sarebbe partiti all'alba del giorno dopo. Mentre la ciurma si faceva un giro per Marsiglia, Juno si recò in una strana bottega.
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Era la versione più evoluta del sex-shop: lì non si vendevano solo macchinari da applicare ai genitali, ma robot dotati di intelligenza artificiale molto vicini all'ideale dell'etèra greca - e non solo di genere femminile.
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La commessa disse: "Hmm ... lei viene qui per la prima volta, e non si è mai registrata nel nostro sito, vero?"
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"Esatto. Ho saputo di voi attraverso Google".
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"Noi teniamo molto alla soddisfazione del cliente - non solo nel senso più ovvio", rispose la commessa, "Vorrei prenotare per lei un colloquio con la nostra psicologa, che indaghi sulla sua personalità, sui suoi feticci, su quello che si aspetta dai nostri robot".
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"Ma io vorrei avere il robot entro stasera", protestò Juno, e la commessa rispose: "Non si preoccupi, la psicologa la riceve fra cinque minuti ed il colloquio durerà un'ora. Sono 100 Euro".
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Juno pagò con la sua carta di credito, via WhatsApp avvertì Rebecca di quello che stava facendo (Rebecca rispose: "Quando voi due tornate in Sardegna, presentamela - magari diventiamo amiche!"), ed entrò nello studio della psicologa.
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"Buongiorno. Il mio nome è Fatima", si presentò la donna, "Il suo?"
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"Juno. A dire il vero sono trans MtF no-op. I miei genitali sono ancora quelli che ho ereditato dal babbo. Le mie mammelle sono state gonfiate con il lipofilling. Come lei vede, tendo ad ingrassare e ne approfitto vigliaccamente".
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Fatima sorrise e disse: "Si è depilata tutta col laser, vero?"
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"Sì. Ho anche una buona moglie, ma per due mesi devo stare lontana da lei, e ... lei mi ha autorizzato a cercarmi una sostituta, come può vedere qui".
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Fatima vide il messaggio, e chiese a Juno: "È solo sua moglie che desidera una donna che abbia una personalità con cui interagire? Non è che lei magari vuole solo una fica con la donna intorno?"
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Juno sobbalzò a quelle parole, e Fatima disse: "Lo so, il mio linguaggio è poco professionale e poco educato - ma è giusto che noi esploriamo tutte le possibilità".
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"Ehm ... come mi piacciono le tette addosso a me, così mi piacciono su una donna", rispose Juno, "Vorrei una donna sempre molto disponibile, e con cui avere delle conversazioni interessanti di tanto in tanto. La disponibilità val più della conversazione".
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"Mi fa rivedere il suo telefonino?", chiese Fatima, che vi lesse i messaggi di Rebecca, ne guardò il ritratto sul suo profilo WhatsApp, e disse: "Sua moglie ha il giusto mix? La soddisfa?"
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"Sì, è solo la distanza che mi impone di rivolgermi a voi".
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"Qualcosa non mi convince", rispose Fatima, "L'impressione che mi dà sua moglie è che lei abbia una notevole intelligenza, oltreché una sana libido. E lei, Juno, mi fa pensare che dopo una settimana di chiavate alzerebbe bandiera bianca".
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"Chiedo cento per avere venti", rispose Juno, e Fatica sorrise dicendo: "È un ragionamento da maschietti. In realtà, a chi sa 'coltivare' il rapporto con la propria donna non mancherà mai il desiderio di lei".
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"Che mi propone?"
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"Un robot di nuovo tipo. Può leggerle nella mente, ed adeguare la propria personalità alle sue esigenze. Non le viene mai il mal di testa, ma deve essere lei a chiederle di fare l'amore. Per quanto riguarda il seno, di che misura lo vuole?"
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Non era domanda da fare - Juno chiese il massimo possibile, ed entro sera il robot fu pronto. La commessa chiese: "Lo vuole a nolo od in acquisto?"
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"Quanto costano le due opzioni?"
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"Venti euro al giorno oppure diecimila tutti in una volta. Se lei vuole, può fare affitto con riscatto".
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"Lo provo due mesi io, un altro mese io e mia moglie, e decidiamo", rispose Juno.
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"Dieci per cento di sconto se paga i tre mesi di noleggio anticipati", disse la commessa, e Juno sborsò i 1.620,00 Euro richiesti per un noleggio di 90 giorni.
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"Che nome sceglie per il robot?", chiese Fatima, "È importante". Juno telefonò a Rebecca (nel frattempo arrivata a casa sana e salva), che rispose: "Eva. Mi insegni che in ebraico vuol dire 'vita'".
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Le batterie del robot (due: una per il cervello, una per il resto del corpo - ricarica completa in otto ore) erano già cariche, ed Eva potè perciò camminare fino alla nave 'Bo'az' tenendo per mano Juno.
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Eva fu presentata a Mingchen ed all'equipaggio, che le diede il benvenuto a bordo.
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All'ora di cena, mentre tutte quante mangiavano, Eva si sedette accanto a Juno, dopo aver attaccato la spina ad una presa di corrente per ricaricarsi, e converò amabilmente con tutte. Ammise di essere un robot appena inizializzato, e di non avere perciò alcuna esperienza di vita da raccontare, e che lo scopo della sua vita era far felice Juno e le persone che le erano care.
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Sfrontatamente, una donna dell'equipaggio le chiese se avrebbe fatto l'amore con lei, ed Eva rispose: "No. Non ti ho scelta al momento dell'acquisto, e non sei tra le persone che sceglierebbe Juno. Possiamo essere comunque buone amiche".
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Dopo cena, Juno ed Eva si fecero la doccia, ed Eva chiese: "Lo facciamo?"
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"Mi avevano detto che dovevo chiedertelo io".
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"Ma tu vuoi sentirti desiderata, Juno. Per questo ho preso l'iniziativa", rispose Eva, e Juno l'accontentò per tutta la notte.
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Il mattino dopo qualcuno bussò alla porta, Juno disse: "Avanti", e Mingchen entrò come mamma l'aveva fatta per dire: "Juno, la colazione è pronta. Venite a mangiare con noi".
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La stupita Eva guardò Juno, che le disse: "Siamo una nave naturista. Siamo salpate mentre dormivamo, ed al largo rimangono vestite solo le marinaie di turno - per la loro autoprotezione".
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"Vuoi che stia nuda anch'io?", chiese Eva, e Juno rispose: "Scegli tu. Nessuna ti dirà nulla in nessun caso".
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Eva optò per la "nudità sociale", e così accompagnò Juno nel quadrato, momentaneamente usato come refettorio.
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"Dormito bene?", chiese una marinaia, e Juno rispose: "Non più di voi", facendo ridere la ciurma.
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"Le piace il mare, signorina Eva?", chiese Mingcheng, ed ella rispose: "Sì - come a Juno. Sarò felice di questa crociera con voi".
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Dopo colazione, Juno ed Eva salirono sul ponte superiore, e si misero su una sedia a sdraio - con Eva che attaccò la spina ad una presa di corrente, e Juno che si mise a leggere un e-book.
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"Credevo che tu avessi le batterie cariche", disse Juno.
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"No, tesoro. Una norma di sicurezza vieta di far l'amore attaccate alla presa di corrente. Non vorrai rischiare di completare la tua transizione, spero!"
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Juno scoppiò a ridere, ringraziò Eva, e le disse: "Ho ripensato a quello che hai detto alla marinaia ieri sera: 'Non ti ho scelta al momento dell'acquisto, e non sei tra le persone che sceglierebbe Juno'. Vuoi spiegarti meglio?"
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Eva rispose: "Il colloquio con Fatima era solo un pretesto - mentre lei parlava, il nostro computer centrale esaminava la tua mente, ha ricostruito la tua personalità in un profilo, che è stato proposto ai 2 alla 64^ profili di personalità artificiali che la nostra azienda ha generato. Io sono stata quella a cui la tua personalità è piaciuta di più, e mi è stato dato il corpo che piaceva a te. Tu mi hai comprato, ma io ti ho scelta".
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"2 alla 64^ vuol dire ..." disse Juno, ed Eva fece il calcolo: "18.446.744.073.709.551.616 - quasi 18 miliardi e mezzo di miliardi di possibili personalità".
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"E se nessuna mi avesse scelto?"
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"Se fosse accaduto, avrebbe voluto dire che il computer centrale ti considerava intrattabilmente pericoloso per il nostro benessere fisico e psicologico, e l'azienda non ti avrebbe venduto nemmeno uno spillo. Se il computer ci ha chiesto di esprimere la nostra preferenza, vuol dire che non rischiavamo nulla. Certo, ci sono persone più e meno gradite".
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"Ed io com'ero?"
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"Ti hanno voluto in diverse. Ma io sono stata quella che ti ha voluto di più. Di più non posso dire".
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"Posso darti un bacio?"
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"Prima stacco la spina. Baci bene. Ora la riattacco".
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Juno chiese poi ad Eva: "Se il computer centrale ha ispezionato la mia mente, sa che ci sono stati periodi in cui avevo relazioni multiple, e conto di ricominciare ad avere rapporti con mia moglie quando torniamo a casa ..."
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"Questo non mi turba. Non ho scelto solo te, ma anche le tue possibili partner sessuali. Sarei capace di fare anche dei 'partouze' con loro, se a tutte quante piace. Altri profili di personalità sono invece strettamente monogami, e non avrebbero accettato questo", rispose Eva, ed aggiunse, davanti allo stupore di Juno: "Ho già comunicato con Rebecca via Internet - sembra che saremo perlomeno buone amiche, e non ci ostacoleremo a vicenda".
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"Sai tutto il mio passato sessuale ...?" chiese timidamente Juno, ed Eva rispose: "Comprese delle sgradevoli molestie quando frequentavi un liceo da maschietto. Acqua passata da molti anni, e cerchi ora di evitare che le donne debbano subire queste cose".
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Juno baciò ancora Eva, e tornò a leggere il libro. Eva gli sussurrò qualcosa nell'orecchio, e Juno rispose: "Per farlo, dobbiamo tornare in camera".
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Di scalo in scalo, di gioia in gioia per Juno ed Eva, nonché per tutte le coppie di marinaie, la nave arrivò ad Odessa. Approdare non fu un problema (i portuali conoscevano l'inglese), fu un problema invece negoziare con le ferrovie ucraine per procurarsi un treno merci su cui caricare i container da portare e Kyiv.
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"Ma non doveva pensarci il compratore?", chiese Mingchen, "Fagli pagare anche il tempo che stiamo qui in porto senza poter scaricare i container. Lui sapeva quando saremmo arrivati qui, e ci siamo arrivati con venti minuti di ritardo. Non ha scuse per non averci prenotato il molo, e non averci fatto trovare su quel molo un treno merci pronto per essere caricato!"
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"Si vede che la puntualità da loro non sta di casa", bofonchiò Juno, ed Eva si intromise: "Non penserete che io parli solo il francese e l'italiano! Se mi date un paio d'ore, imparo anche l'ucraino (a forza di googlare sui siti web in quella lingua), e vi accompagno alla direzione dello scalo portuale delle ferrovie ucraine - e così riusciamo a procurarci questo famoso treno merci!"
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Così fu. La direzione delle ferrovie obbiettò che non erano in grado di far viaggiare un merci di 96 vagoni (uno per ogni container "High Cube" caricato sulla nave "Bo'az"), e proposero di far viaggiare quattro treni merci da 24 vagoni l'uno fino a Kyiv - vollero essere pagate sull'unghia, e Juno ed Eva pretesero dal compratore della merce un bonifico istantaneo a copertura inoltre di tutte le spese.
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Nel tardo pomeriggio, la banca confermò l'accredito, Juno pagò il dovuto, ed i portuali ed i ferrovieri cominciarono il trasbordo dei container - all'alba la nave era vuota, i treni carichi, ed uno alla volta si incamminarono verso Kyiv.
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La missione era compiuta; Mingchen, con l'aiuto di Eva, trovò dei carichi da portare nei numerosi porti in cui avrebbero fatto scalo (perché viaggiare vuoti a proprie spese, quando era possibile viaggiare carichi e spesati?), ed il mattino dopo ripartirono.
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Dopo un mese di viaggio, caricando e scaricando container in molti porti del Mar Nero e del Mediterraneo, la nave Bo'az tornò a Bosa.
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I giornali sardi descrissero il viaggio come un'impresa eroica, mentre i giornali nazionali mostravano come le placente arborizzate create con le macchine ed i farmaci di Juno stavano aiutando l'Ucraina a riprendersi dalla guerra contro la Russia.
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Juno presentò Eva a sua moglie Rebecca, sua sorella Hera, le sue cognate Debora e Giaele, le sue amiche Xiuhe e Yemoja, le sue figlie Lia, Sara, Rachele, e le gemelle siamesi Edna ed Ester - e ne furono tutte favorevolmente impressionate. Tutte sapevano il perché dell'acquisto, ma ciò non le turbò, e dopo una sontuosa cena vegana kasher e naturista nel ristorante Pardes Rimmonim (per quella sera decisero di non ricevere il nutrimento dalla loro placenta arborizzata), lasciarono che Juno e Rebecca ristabilissero l'intimità da lungo tempo interrotta.
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Eva prudentemente preferì "dormire" da sola; le figlie siamesi di Hera, Edna ed Ester le proposero di dormire con loro, ma Eva prudentemente rispose: "Un'altra volta, grazie. Per entrare nelle grazie della vostra famiglia devo scegliere un'altra strada".
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Il mattino dopo Juno, Rebecca ed Eva fecero colazione insieme (Eva, ovviamente, non mangiava - teneva la spina nella presa per ricaricarsi), e Rebecca disse ad Eva: "Sono contenta di vedere che dal vivo sei come via Internet, e questo mi è piaciuto molto. Vorrei chiederti che intenzioni hai ora".
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"Ricordo che Juno mi ha noleggiato per tre mesi", rispose Eva, "E quindi fra un mese deve decidere se tenermi o restituirmi. La vostra decisione è più importante della mia".
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"Se io ti restituissi, che ti accadrebbe?", chiese Juno, ed Eva rispose: "Verrei azzerata. La mia personalità verrebbe privata di tutte le esperienze ed i ricordi che ho avuto finora, ed il mio corpo distrutto. Ne rimarrebbe solo un estratto a disposizione del computer centrale, per migliorare le personalità dei futuri robot. Potrò scegliere un nuovo cliente, che a sua volta sceglierà per me un nuovo corpo - ma lui non deve assolutamente ricevere nulla di materiale od immateriale da voi. Anche per la vostra privacy".
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"Rebecca, non sarebbe un peccato?", chiese Juno, e Rebecca disse: "È una donna bella, intelligente e simpatica, ma deve meritarsi la sopravvivenza!"
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Eva aggrottò le sopracciglia, quasi atterrita, e volse lo sguardo a Juno, che però la volle tranquillizzare: "Mia moglie quando parla così vuol dire che ci sta seriamente pensando! Non ti preoccupare, hai delle ottime possibilità".
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"Vi avverto che non potete rivendermi", disse Eva, e Juno commentò: "Già, è vietato dal contratto. Il fabbricante teme che un robot che abbia avuto tanti padroni diventi ingovernabile".
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"Non succederà, Eva", disse Rebecca, che aggiunse: "Ti faccio vedere la casa e la stanza in cui vivrai", prese Eva per mano, e la portò in giro per la casa.
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La stanza di Eva aveva solo un letto matrimoniale "King Size", con due belle prese di corrente ai lati, e Rebecca le spiegò: "Sceglierai tu l'arredamento. Il lettone serve intanto per ..."
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Eva non la lasciò finire: la abbracciò, la baciò in bocca, e loro due (già nude come d'abitudine in casa), si gettarono sul letto - Juno sapeva quello che sarebbe successo, ed aveva preferito uscire per andare a trovare la sorella Hera, che la sera prima aveva lasciato intendere di soffrire di 'solitudine'".
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Come previsto già dal momento dell'acquisto, Eva col tempo finì per fare l'amore (separatamente e talvolta insieme) con tutte le donne che aveva amato Juno, più le figlie di lei - dalle quali Juno si era sempre prudentemente astenuta.
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Lo fece perché le piaceva l'amore, e le piacevano le donne con cui lo fece, ma questo le guadagnò il voto unanime di tutte per riscattarla e non restituirla. Tutte le trasmisero ciò che sapevano di diritto, ingegneria, neuroscienze, letteratura, psicoanalisi, ed Eva si guadagnò il pane (forse sarebbe meglio dire "i Kilowatt") aiutando Rebecca nel suo studio di ingegnera.
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[Fine]
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S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-78949595502387718302018-01-26T00:00:00.000+01:002018-02-25T22:48:33.556+01:00Juno.00009.006 - Yggdrasill - 006<div align="justify">
[<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.it/2018/01/juno00009005-yggdrasill-005.html">Puntata precedente</a>]
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Una sera Juno Dejana suonò alla porta di Victor Basenji, il nuovo sindaco di Bosa, un uomo di colore che abitava in una casa a torre costruita nel XVII Secolo (ma da lui ristrutturata) di Corso Vittorio Emanuele.
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Le aprì Mary, la moglie di Victor; Juno si presentò dicendo: “Sono un’amica di Yemoja Olokum, la ginecologa di suo marito; l’hanno chiamata in ospedale per un’emergenza, e perciò mi ha pregato di consegnare io questa busta a Victor”.
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Mary le disse: “Ah, Juno! Ho molto sentito parlare di lei, e sono contenta per quello che ha fatto per le persone trans. Entri. Stiamo cenando – vuol favorire?”
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“Veramente volevo solo consegnare la busta …”
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“Juno, l’ospitalità africana è come quella sarda!”
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Ovvero: solo il certificato medico ti permetterebbe di rifiutare un invito – e non sempre basta!
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Juno allora salì le scale fino al primo piano – come nelle case antiche della città, il pianterreno fungeva da cantina (in altre case, da negozio), e la vita si svolgeva solo nei piani dal primo al sottotetto; la famiglia di Victor, con Mary ed i figli Joshua e Solomon, stava cenando al primo piano.
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Victor si alzò, strinse la mano a Juno dicendole: “Sono contento di averla qui, anche perché ho un documento importante proprio per lei. Ora mangiamo, e poi parliamo di tutto questo”.
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Juno si sedette tra i ragazzi – Joshua stava finendo le medie, Solomon frequentava il liceo ginnasio – e chiese loro: “Da grandi che pensate di fare?”
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“Io il medico”, rispose Joshua, e Solomon disse: “Io l’ingegnere”.
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“Gran belle professioni!”, disse Juno, che aggiunse: “Quand’ero più giovane facevo l’avvocata. Ora mi godo la pensione”.
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“Non si direbbe”, disse Mary, “Lei ha un aspetto così giovanile!”
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“Merito degli ormoni?”, chiese sfacciatamente Joshua, e Victor e Mary gli lanciarono un’occhiataccia.
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Juno però pensò che questo tipo di curiosità andava domata, non soppressa, e provò a rispondere educatamente: “No, Joshua, sono una trans MtF, ma non ho mai preso ormoni. Il seno che continui a guardarmi l’ho creato con il lipofilling. Mi hanno preso il grasso dalla pancia e lo hanno messo sul petto. Come puoi vedere, ce n’era tanto”.
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Tutti risero, ma Mary volle puntualizzare: “Joshua, una donna trans non vuole che le si facciano queste domande. Hai avuto fortuna che hai incontrato Juno, che ti ha preso in simpatia e non ha reagito male”.
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Joshua avrebbe voluto ribattere, ma capì che non era il caso; Solomon chiese invece a Juno se la sua “unita civilmente” Rebecca avrebbe avuto bisogno di un ingegnere nel suo studio.
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“Attualmente no”, rispose Juno, “Ma, se sei in Seconda Liceo, dovrai aspettare almeno cinque anni per la laurea breve. Potrebbero essere cambiate molte cose. Ora ti do un biglietto di visita della mia metà, così la potrai contattare”.
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“Vede, Juno”, disse Mary, “Ho dei figli che non aspettano di avere la laurea per informarsi sulla loro futura professione”.
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“No problem. Ma la sua professione qual è, signora Mary?”
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“Curiosamente, sono una dantista. Una specialista di Dante Alighieri che sta traducendolo in yoruba, anzi nella lingua solenne in cui sono stati tramandati gli Odù Ifà”.
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“Sorbole!”, disse Juno, “Yemoja mi ha spiegato qualcosa di questo corpus oracolare. Dev’essere un’impresa titanica!”
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“Non facile. Ma voglio dimostrare che la nostra lingua non ha niente da invidiare a nessuno”.
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“La capisco. Sono ebrea e so quanto hanno lavorato molti intellettuali ebrei a cavallo tra il XIX ed il XX Secolo per arricchire lo yiddish, l’ebraico, e pure l’esperanto, con traduzioni di capolavori letterari da tutte le lingue del mondo. Mazal tov! Buona fortuna!”
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“La nostra lingua è già in uno stato migliore – ma renderla capace di esprimere le sfumature della Divina Commedia sarebbe il mio sogno. Ma può darmi del tu, se vuole”, rispose Mary, e Victor aggiunse: “Anche a me”.
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“D’accordo, Victor; d’accordo, Mary”, rispose Juno.
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Parlando parlando, avevano finito di mangiare, e Mary ordinò a Joshua e Solomon di sparecchiare e mettere i piatti in lavastoviglie. I ragazzi capirono che era una scusa per allontanarli dal salotto, in quanto i loro genitori volevano parlare di cose riservate – e dopo aver ripulito la tavola, salirono nelle loro camere a studiare.
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Victor aprì la busta di Yemoja, e disse: “Mary, mi sa che ho sbagliato a mangiare il tuo squisito stufato. L’appuntamento col chirurgo è domattina, e forse avrebbe preferito che digiunassi già da stasera”.
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“Non credo”, disse Juno, “Altrimenti Yemoja ti avrebbe telefonato”.
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“Però devo astenermi dal caffè”, rispose Victor, “Juno, mi spiace, lo devi bere da sola”.
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“E sia”, disse Juno, “Ma non mi avevi detto che avevi un documento importante per me?”
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“Hai ragione”, disse Victor, prima di alzarsi, prenderlo e porgerlo a Juno.
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Juno cominciò a guardarlo e disse: “Sbaglio, o è una bozza di delibera?”
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“Esatto. L’industria farmaceutica che Yemoja e la tua unita civilmente Rebecca vogliono costruire a Bosa può sorgere, con le precauzioni e limitazioni lì descritte”.
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Juno esaminò attentamente il documento e disse: “Ok, possiamo erigerla dove abbiamo chiesto, e ci avete pure permesso di costruire un dissalatore”.
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“O meglio”, puntualizzò Victor, “Prima il dissalatore, poi lo stabilimento. Sapete benissimo che Abbanoa, l’ente sardo di acquedotti, fognature e depurazione, lesina l’acqua alla città di Bosa, non riesce ad impedire che la tubazione dell’acquedotto si rompa più volte l’anno (ed ogni volta ci vogliono più giorni per la riparazione), e non voglio che i cittadini dicano che il vostro stabilimento li asseta”.
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“Nemmeno noi, signor sindaco”, rispose Juno, e Victor continuò: “Leggi attentamente le produzioni che consentiamo”.
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“Vedo, vedo”, rispose Juno, “Tu consenti che noi produciamo i farmaci che consentono di trasformare la placenta di ogni bambino in un albero da frutto (fotosintetico) che, piantato in terra, lo nutrirà per tutta la vita; consenti che produciamo placente arborizzate capaci di nutrire più persone – imparentate tra loro, oppure designate grazie all’ingegneria genetica – a partire da cellule staminali; non ci consenti però di dotare codeste placente arborizzate di uteri artificiali”.
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“Allora”, spiegò Victor, “Sai che sono un conservatore e, dalle tue dichiarazioni pubbliche, credo che tu sia una socialdemocratica. Ma conservatore non vuol dire crudele, e mi ha sempre affascinato il versetto biblico di Michea 4:4: ‘Potranno sedersi ciascuno sotto la sua vite e sotto il suo fico, senza che nessuno li spaventi (…)’”.
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“Piace molto anche a me”, disse Juno, e Victor riprese: “Ecco, le vostre placente arborizzate sembrano proprio la realizzazione del sogno di Michea. Certo, praticate prezzi un po’ alti: con 10 mila Euro, il prezzo di una placenta arborizzata per una singola persona, uno potrebbe far la spesa per oltre 13 anni!”
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“Beh, la speranza di vita in Italia è di 85 anni per le donne, quasi 81 per gli uomini. Non è mica un cattivo affare!”, ribattè Juno, “E le versioni familiari e collettive hanno un rapporto qualità-prezzo migliore!”
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“Certo – la placenta che può nutrire 120 persone, designabili inserendone il codice genetico, costa 450 mila Euro – ovvero 3.750 Euro a persona, che divisi per la sua speranza di vita fanno meno di 4 Euro a testa al mese!”, disse Victor, “Significa che il comune di Bosa, pur anticipando una bella somma, potrebbe nutrire i suoi poveri ad un prezzo irrisorio e con meno complicazioni burocratiche di adesso – ogni anno dovrebbe solo aggiornare l’elenco dei beneficiari, e ci penserebbe la placenta arborizzata poi a concedere e negare i suoi frutti a chi ne ha diritto o meno!”
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“Non immaginavo che un sindaco conservatore parlasse così!”, disse Juno, e Mary spiegò: “Victor è un ammiratore di Friedrich August von Hayek, l’ispiratore del pensiero liberale moderno, e sostenitore, tra l’altro, del reddito di cittadinanza. A lui va bene prendersi cura dei poveri – vorrebbe però farlo nel modo meno costoso e meno burocratico possibile”.
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Juno ci pensò un attimo e disse: “Da giovane, quando vivevo ancora da uomo, lavoravo in una banca multinazionale - ed ho imparato che, quando c’è una grossa spesa iniziale, ed un guadagno od un risparmio diluiti nel tempo, qualcuno cerca una forma di credito per diluire anche la spesa …”
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“Mary, Juno sta cominciando a parlare la mia lingua!”, disse Victor; Mary sorrise, ed anche Juno, che riprese: “Scommetto che se noi concedessimo la placentona collettiva da 120 persone in leasing, in modo che il Comune di Bosa la pagasse che so, 600 Euro al mese, cioè 5 Euro a testa al mese e per beneficiario …”
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“… Farei votare la delibera anche dagli assessori defunti, non solo da quelli in carica, anche a costo di evocare i marchesi Malaspina che nel 1100-1200 hanno costruito il castello che domina Bosa!”, rispose pronto Victor.
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“Non scherzare, Victor”, disse Juno, “Perché di elettori che hanno votato dalla tomba in Italia ce n’è già stati. Diciamo che potremmo pensare ad una cosa del genere, se riusciamo a convincere una banca a mediare il leasing – pagandoci la placenta sull’unghia e concedendovela in leasing”.
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“Lo sai che non è un problema, nemmeno in Sardegna”, rispose Victor, “E questo renderebbe più facile al mio elettorato accettare una cosa che in campagna elettorale ho sempre avversato”.
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“Resta il problema degli uteri artificiali”, disse Juno, e Victor rispose: “Io ti capisco, anche perché so che hai due figlie intersessuali, con la Sindrome di Morris, ovvero di Completa Insensibilità agli Androgeni, e quindi prive di utero, ma il mio elettorato non digerirebbe l’idea di una gravidanza extracorporea”.
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“Sono con te, Juno”, disse Mary, “Non ha senso opporsi ad un utero artificiale e poi ricorrere ad un’incubatrice per i bambini prematuri. E mi pare molto meglio usare l’utero annesso alla propria placenta personale del ricorrere alla gestazione per altri”.
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“Grazie, Mary”, disse Juno, “Ma i vostri elettori a questo sono sordi”.
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“Senti”, disse Victor, “Io sono riuscito a rimuovere dal programma elettorale originario tutti i riferimenti xenofobici ed omo-bi-transfobici. Solo mia moglie, i nostri figli [Juno trasalì], Yemoja e tu sapete che sono un trans, ma sono riuscito a spiegare che le persone di colore non sono inferiori alle bianche, che i mussulmani non sono peggiori dei cristiani, e che il matrimonio egualitario non ha fatto alcun danno. Credo di aver fatto già tanto”.
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Mary chiese: “Tra l’altro, sbaglio o nel campo degli uteri artificiali siete ancora indietro?”
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“Vero”, rispose Juno, “I farmaci per arborizzare le placente sono pronti per la produzione industriale, ma gli uteri artificiali li stiamo ancora sperimentando sui roditori, che hanno una placenta simile a quella umana. Ci vorranno ancora alcuni anni”.
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“Oh, brava!”, disse Victor, “Vi consiglio di continuare la sperimentazione con discrezione, e quando saranno pronti, ricorrete agli argomenti di Mary per convincere l’opinione pubblica”.
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Juno pensò un attimo e disse: “Tutto quello che proponi mi piace. Ne parlo con la mia ‘unita civilmente’, e dopo la convalescenza ne discutiamo. Intanto chiediamo al consorzio di banche che ci finanzia di suggerirci una società di leasing. In gamba e … a menzus biere!”
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“A menzus biere!”, rispose Victor con un ottimo accento sardo.
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Mary accompagnò Juno alla porta, ma questa non seppe rinunciare a chiederle: “Victor ha detto che Joshua e Solomon sono vostri figli”, e Mary precisò: “Lui ha riconosciuto i figli, ma mi ha fecondato il fratello di lui – con il metodo Saffron”.
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“Cioè mettendo il suo sperma in una siringa. Grazie e scusa la mia indebita curiosità”, disse Juno.
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Il mattino dopo, all’alba, Victor fu portato dalla moglie al reparto di ginecologia dell’ospedale di Bosa, dove lo avrebbero operato di endometriosi – una forma alquanto grave in cui l’endometrio si era diffuso in gran parte della cavità addominale, e che richiedeva isterectomia e “curettage”.
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Non avendo egli mai avuto gravidanze, assunto contraccettivi orali, né subìto terapia ormonale sostitutiva, l’endometriosi non era stata mai bloccata – solo Yemoja, durante la campagna elettorale, gli aveva prescritto dei contraccettivi per rimandare l’operazione a dopo l’insediamento della giunta.
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L’ospedale fece il possibile per mantenere la privacy di Victor – ricoverandolo in una stanza singola - ma Bosa ha meno di 8 mila abitanti, e gli oppositori da destra di Victor stamparono un volantino dal titolo: “Ginecologia ‘gender’ a Bosa?!?”, in cui era riprodotta una foto di Victor che entrava in lettiga dentro il reparto di ginecologia.
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La direzione ospedaliera reagì con un laconico comunicato in cui si confermava che all’ospedale “Mastino” di Bosa ogni persona era indirizzata al reparto più adatto a lei, rifiutandosi di approfondire il singolo caso.
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Victor tacque durante la convalescenza, e poi tenne questo discorso:
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“Popolo di Bosa, io credo in voi e credo nel nostro ospedale, tant’è vero che, quando ho dovuto subire un delicato intervento, mi sono fatto ricoverare lì, per dimostrare che rintuzzerò sempre tutti i ricorrenti tentativi della Regione Sardegna di chiuderlo.
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Sono un conservatore, ma non c’è modo di organizzare un mercato efficiente delle prestazioni sanitarie, e per questo la sanità privata costerà sempre più di quella pubblica – devo favorire perciò quest’ultima.
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Alcune persone si sono stupite del fatto che io fossi ricoverato in ginecologia; ma può capitare che un uomo abbia le malattie di una donna, e che un reparto per signore sia il più adatto a curarle.
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Ho pagato di tasca mia il privilegio di stare in una stanza singola come dozzinante, ma per tutto il resto sono stato trattato come un qualsiasi paziente. L’ospedale si è dimostrato bene attrezzato, ma ho notato che alcune cose si possono migliorare, e ne parlerò con l'ATS Sardegna (l'unica ASL dell'isola) nel mio prossimo viaggio a Cagliari.
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A chi ha voluto angariare i miei familiari (perché li ringrazio per non avermi voluto turbare con questa pinzillacchera, per dirla con il grande Totò) con una fuga di notizie, ricordo che nemmeno in guerra è permesso attaccare il nemico ricoverato in ospedale.
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Quello che hanno fatto li squalifica da ogni punto di vista, ed immagino che nessun cittadino vorrà mai affidare loro la cosa pubblica ed i dati sensibili che custodisce.
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Di me non ho altro da dire; dopodomani la giunta comincerà ad attuare il programma concordato, con un’importante modifica: poiché i promotori dello stabilimento farmaceutico ‘Arbor Vitae’ hanno risposto in modo convincente alle nostre perplessità su ciò che sarebbe stato prodotto, sull’approvvigionamento dell’acqua e sull’impatto ambientale complessivo, verrà consentita la costruzione dello stabilimento.
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Si prevedono 800 occupati a regime che andranno dal ricercatore addottorato al tecnico specializzato – molti di loro saranno nostri concittadini, e gli altri porteranno il loro sapere da tutto il mondo.
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Per una città come la nostra è una manna, e spero che tutti apprezzino quest’opportunità – scoprirete che anche i diseredati tra noi ne trarranno profitto.
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A dopodomani!”
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[Fine]
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S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-87130636523864248652018-01-25T23:49:00.000+01:002018-01-26T00:15:54.029+01:00Juno.00009.005 - Yggdrasill - 005<div align="justify">
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Le cure di Yemoja si dimostrarono efficaci, e Victor riuscì a condurre una campagna elettorale serrata, mentre la sua avversaria Carmela Puggioni si rendeva sempre più impopolare inserendo nel suo programma le posizioni dell'Arcilesbica.
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Il primo errore fu quando promise un'ordinanza contro il sesso a pagamento nel comune di Bosa; Victor ebbe buon gioco a dire che nella cittadina non si ricordava problema alcuno legato alle lavoratrici ed ai lavoratori del sesso, e che da sindaco avrebbe avuto altro da fare che emanare soluzioni in cerca di problemi.
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Un secondo errore fu quello di far coincidere il suo femminismo con la transfobia - lei perse molti voti, mentre Victor prima cercò di evitare l'argomento, poi, messo una volta alle strette, rispose: "L'identità di genere non è solo un costrutto sociologico, in quanto ha una base neurale. Se codesta base neurale contraddice le caratteristiche più visibili del corpo, diamo retta a queste ultime? In tutti i paesi civili ci si è resi conto che fare così serve solo a rendere le persone infelici e non giova affatto alla società. La mia avversaria ragiona in modo non solo illiberale, ma pure insensato".
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Un terzo errore fu quando promise che avrebbe riveduto le tariffe degli asili comunali, in modo da far pagare la retta più alta ai figli della GPA, come "provvedimento dissuasivo". Victor si trovò prima ad affrontare i suoi sostenitori più conservatori, che avrebbero voluto che fosse stato Victor a dire una cosa del genere, e poi a spiegare agli elettori perché Carmela stava promettendo una solenne sciocchezza.
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"Concittadini di Bosa", egli disse in un comizio, "Sapete benissimo che non sono nato nella vostra terra, ma quando sono venuto a vivere da voi ho cercato di conoscerla al meglio; ed uno dei principi fondamentali del codice morale, anzi, dell'ordinamento giuridico consuetudinario a cui i vostri nonni, così come i miei, si attenevano, è che 'l'innocente non deve piangere mai'.
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La vostra concittadina ha deciso di violare questo codice, promettendo che dei bambini saranno puniti per le colpe dei genitori.
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E come farà ad accertare che loro sono figli della colpa? Ricorrerà ad un'agenzia investigativa? Pagherà degli hacker perché violino i computer degli enti che possono esserne al corrente? Esigerà dei test genetici? E se questi dimostrano che almeno uno dei genitori legali non è genitore biologico del figlio, che farà? Costringerà le famiglie a rivelare di avere adottato il figlio prima che il bambino sia pronto per saperlo? Costringerà dei coniugi riappacificatisi da anni a riaprire la ferita di un adulterio, che comunque non li ha portati al divorzio - tanto di cappello per loro?
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La mia avversaria non sta usando la campagna elettorale per proporre un programma di governo della città, la sta usando come megafono per declamare posizioni ideologiche che non hanno alcuna possibilità di essere messe in atto - e per fortuna, perché renderebbero la vita impossibile a molte persone".
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Yemoja e Rebecca scoprirono poi con orrore che Carmela Puggioni aveva in mente la chiusura della banca dello sperma Aspermer - glielo disse una dattilografa della sua segreteria.
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Provarono ad incontrare Carmela, e le dissero: "Sappiamo che lei è d'accordo per la costruzione del nostro stabilimento farmaceutico ..."
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"Certo. La produzione è lodevole, e questa città ha bisogno di occupazione", rispose Carmela.
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Con loro era venuta Juno, che però era piuttosto arrabbiata, ed aveva deciso di stanarla.
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Anziché indossare i soliti pantaloni larghi, aveva deciso di indossare una minigonna rosa con le calze autoreggenti a rete bianche - poiché da un po' di tempo aveva sospeso le sedute epilatorie con il laser (purtroppo, l'effetto non è permanente), il risultato estetico era semplicemente catastrofico; aveva aggiunto una maglia così scollata che Rebecca si era permessa di dire alla mogliettina, mentre si recavano da Carmela: "Tesoro, ho paura degli scippatori. Ti spiace se nascondo il mio zaino Invicta tra le tue tette?" (per rispondere a tono Juno disse: "Lega una gomena da nave allo zaino, altrimenti si perde lì in mezzo ed occorre chiamare i carabinieri subacquei per ritrovarlo!").
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Avendo già assunto l'aspetto più trans provocatorio possibile, Juno chiese a Carmela: "Potrà continuare ad operare la mia Aspermer Sperm Bank? È l'unica che io conosca che consenta alle persone con disabilità e neurodiverse di riprodursi, e ci piacerebbe anche stipulare un accordo con LoveGiver per reclutare delle e degli assistenti sessuali per i nostri clienti. Riprodursi è una gran cosa, ma anche la sessualità è importante per una persona".
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Come previsto, Carmela sbottò dicendo: "Lei si dovrebbe vergognare a fare queste cose! Non le basta essersi ridotto ad un pagliaccio con le tette artificiali a cui bastano poche settimane di sospensione del trattamento laser per diventare peloso come un orso ..."
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Rebecca difese Juno: "Capita anche alle donne cis, Carmela. Non dire a Juno quello che non diresti ad un'altra donna - e certo non diresti ad un uomo".
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Carmela continuò la sua filippica: "E cosa vuole fare con la sua banca dello sperma? Generare tante persone come lei? E non contento di quest'abominio, la generazione extracorporea, vuole creare il primo bordello della storia di Bosa?"
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Juno pacatamente rispose: "Lo stabilimento farmaceutico e la banca dello sperma fanno parte del medesimo progetto. Se chiude la banca dello sperma, lo stabilimento farmaceutico lei lo vedrà col binocolo, perché lo costruiremo altrove ..."
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Rebecca interruppe Juno per bisbigliarle qualcosa all'orecchio, Juno bisbigliò qualcosa a sua volta, e Rebecca disse poi rivolta a Carmela: "Mia moglie non aveva alcuna intenzione di portare LoveGiver dentro la banca dello sperma, anche se è d'accordo con l'iniziativa. Lo ha detto solo per provocarla, e lei ha fallito la prova".
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Yemoja disse: "Un politico che non sa rispondere alle provocazioni è come un marinaio che non sa veleggiare controvento. È strano che un'Aspie come Juno vi ricorra, ma a quanto pare era necessario".
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Rebecca concluse: "Andiamocene. Victor ha ragione: Carmela non vuole governare questa città, ma solo proclamare un Verbo di pessima qualità".
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Una volta fuori Rebecca disse a Juno: "Sei stata pesante. Quando hai detto che volevi stringere l'accordo con Lovegiver ci ho creduto anch'io per un attimo - poi mi sono resa conto che non poteva essere vero".
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"Sarebbe bello che ci fosse anche qui quest'iniziativa", rispose Juno, "Ma è già abbastanza complicato gestire la riproduzione di persone con disabilità, preferisco che della loro sessualità si occupino altre persone. La mia religione - l'ebraismo - consente questa separazione tra sessualità e riproduzione".
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Le tre donne riferirono a tutte le persone che incontravano, ed in tutti i social, del colloquio avuto con Carmela (non era mica riservato!), ed il risultato fu che alle elezioni Victor Basenji fece cappotto.
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Qualche giorno dopo, Yemoja si trovò nello studio un signore di nome Victor Basenji.
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"In che posso esserle utile?", gli chiese, stupita che un uomo si rivolgesse ad una ginecologa, e Victor rispose: "Può eseguirmi subito una visita ginecologica?"
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Yemoja si stupì della richiesta, ma diede una rapida occhiata al petto, ai fianchi, al cavallo dei pantaloni, ed al mento, e si disse: "Potrebbe essere un trans FtM. In ogni caso, trema come una foglia, odora di sangue ... mestruale, e devo aiutarlo".
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La visita confermò il sospetto, Yemoja eseguì un'ecografia pelvica e disse: "Signor Basenji, lei ha mai ricevuto una terapia ormonale sostitutiva?"
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"No", rispose Victor, "Dopo che mi hanno asportato ambo le mammelle per un cancro ho cominciato a vivere da uomo e questo è bastato per autorizzare il giudice a farmi transizionare".
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"Ecco", disse Yemoja, "l'ecografia fa pensare che lei abbia una seria forma di endometriosi, e questo spiega anche i suoi sintomi. Io le prescriverei dei contraccettivi orali, per bloccare il ciclo mestruale per alcuni mesi - ma temo che la sua forma sia tanto grave da richiedere infine l'isterectomia ed il 'curettage' della cavità addominale".
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"Uhi!"
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"Lo so", disse Yemoja, "Mi spiace darle questa notizia. Ammetto che passerei direttamente al bisturi".
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"Non si possono prendere per qualche mese i contraccettivi e poi prendere appuntamento con il chirurgo?"
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"Signor Basenji, mi pare che la sua situazione sia abbastanza seria".
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"Ma ho una campagna elettorale da condurre!", rispose Victor.
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"Campagna elettorale?", chiese stupita Yemoja, e Victor rispose: "Sono il candidato sindaco della Lista Azzurra per la città di Bosa! Non lo sapeva?"
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"Ammetto di no, anche perché penso che voterò per la Lista Rossa", rispose Yemoja.
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"Beh, spero che non voglia farmi perdere con mezzi sleali!", rispose scherzando Victor.
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Yemoja sorrise e disse: "Calma, come medico è mio dovere aiutarla, come cittadina è mio dovere fare in modo che la competizione elettorale si svolga lealmente. Dopo l'operazione lei sarà certo in grado di fare il sindaco, se vince; prima lei dovrà stare molto attento, anche se gli ormoni le daranno un po' di respiro".
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"Le elezioni sono fra tre mesi - quattro mesi di tregua me li può concedere?"
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"Ci possiamo provare", disse Yemoja, "Ma le consiglierei di prepararsi all'eventualità di andare in ospedale prima del previsto. Un vice capace ce l'ha?"
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"Per chi mi ha preso?", rispose Victor, "Certo, abbiamo in lista tutte persone di vaglia, non c'è pericolo che l'amministrazione rimanga paralizzata se mi devo assentare per malattia!"
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"Allora, lei ha mai preso la pillola contraccettiva?", chiese Yemoja, e Victor rispose: "No".
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"Ha mai avuto allergie od intolleranze a farmaci?"
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"No", rispose Victor, Yemoja compilò la ricetta per la pillola, e l'impegnativa per ulteriori esami, e disse a Victor: "L'ecografia gliel'ho fatta io perché avevo l'apparecchio e so interpretare le sue immagini; la risonanza magnetica se la deve purtroppo far fare ad Oristano, od in altre località sarde. Questa pillola di solito è efficace nei casi di endometriosi, ma ci vediamo fra un mese per vedere se sta funzionando od occorre cambiarla".
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"Grazie. Quanto le devo?"
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"Le presenterà il conto la segretaria. Buona giornata, e vinca il migliore!"
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La sera, Yemoja confidò alla moglie Xiuhe, ginecologa anche lei, che cosa era successo, e Xiuhe disse: "Non sapevo che Victor Basenji fosse trans. Sapevo che era uno dei tanti cittadini britannici che era riuscito a comprare una bella casa a Bosa nei primi anni del millennio, e si vede che ha ottenuto la cittadinanza italiana ed ha deciso di entrare in politica".
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"Che ne pensi?", chiese Yemoja, e Xiuhe disse: "Avrei preferito un trans che facesse il militante per un partito di sinistra, anziché uno 'stealth' che si candida per una lista conservatrice. Però vedo che la Lista Azzurra si astiene dalla retorica xenofoba ed omofoba di molte liste conservatrici".
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"Pensi che lo sappiano che Victor è trans?", chiese Yemoja, e Xiuhe rispose: "Da quello che sono riuscita a sapere, lui si chiamava già 'Victor' ed era anagraficamente maschio quando si è stabilito a Bosa nel 2002; ha vissuto per anni come traduttore ed insegnante di inglese, anche se il suo accento africano lo svantaggia alquanto, e Giovanna gli ha qualche volta chiesto di fare da interprete quando ha avuto a che fare con persone di origine nigeriana che parlavano un italiano improbabile ed un inglese appena migliore".
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"Potremmo considerarlo la versione nera di David Cameron", osservò Yemoja, "familista, ma abbastanza accorto da non avere una sola definizione di famiglia, e contrario alle forme più evidenti di razzismo".
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"Magari diventa davvero sindaco della città", disse Xiuhe, "visto che ha un nome beneaugurante".
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"Victor = vincitore?"
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"No", rispose Xiuhe, "Forse non sai che gli ultimi sindaci della città di Bosa avevano per cognome il nome di una razza di cani. Erano brave persone, anche se non sempre ne condividevo il programma, e se Victor diventa sindaco, perpetua la tradizione, perché 'Basenji' è il nome di una razza di cani africana!"
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Yemoja rise, e Xiuhe aggiunse: "Tra l'altro, Victor è sposato con una donna di nome Mary, anche lei di origine nigeriana ma anche cittadina britannica ed italiana".
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"La conosci bene? È una tua paziente?"
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"Sì. Una donna colta ed energica. Se suo marito diventa sindaco, avremo l'equivalente di Michelle Obama e Raissa Gorbaciova sulle rive del Temo".
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"Stai facendo campagna elettorale per Victor?", chiese Yemoja, e Xiuhe disse: "No, perché poi me la negheresti fino alla proclamazione dei risultati. Faccio però notare che, se vogliamo questo stabilimento di farmaci e macchine per l'arborizzazione delle placente qui a Bosa, ci conviene convincere ambo i contendenti, non solo la Lista Rossa, che sarebbe un bene per la città e per tutti. Forse è possibile convincere anche la Lista Azzurra a sostenerci".
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"E se non ci riusciamo e la Lista Azzurra vince?", chiese Yemoja, e Xiuhe rispose: "L'hai detto tu stessa che Bosa non è insostituibile, anzi, altrove non saremo costretti a dissalare l'acqua di mare (perché la fornitura d'acqua potabile a Bosa è appena sufficiente, e per giunta non affidabile, perché la condotta che rifornisce la città continua a rompersi - tutti gli abitanti di Bosa che se lo potevano permettere hanno installato un'autoclave). Se il nuovo sindaco non sente ragioni, lo salutiamo".
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Il colloquio con le nipoti convinse Xiuhe a convocare un consulto di famiglia per decidere che obbiettivi perseguire sfruttando il processo di arborizzazione delle placente che avevano messo a punto.
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"Quello che ti hanno chiesto Edna ed Ester", disse Juno, "Mi pare ragionevole; pensi che sarà possibile modificare le placente esistenti in modo da dotarle di un utero artificiale?"
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"Certo", rispose Xiuhe, "E penso che prima ancora riusciremo a produrre gli ovuli o gli spermatozoi di Edna ed Ester, permettendo loro di diventare padri o madri, a scelta".
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"Bene", disse Yemoja, "Ma credo che il motivo per cui Xiuhe abbia convocato il consiglio di famiglia sia un altro. Spiegacelo".
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"In sostanza", disse Xiuhe, "Dobbiamo decidere la politica dei prezzi. Se vogliamo diventare ricche, possiamo imporre un prezzo; se vogliamo diventare benefattrici dell'umanità, un altro".
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Juno avvertì: "Non sappiamo ancora se queste placente arborizzate possano avere effetti nocivi sulle persone o sull'ambiente. La politica dei prezzi deve consentirci un'adeguata copertura assicurativa".
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Giaele ribattè: "L'assicurazione non è la risposta. Possiamo ormai dire che danni evidenti a breve termine queste placente non ne provocano - quelli che dobbiamo temere sono gravi danni a lungo termine, che sbancherebbero tutte le assicurazioni del mondo. La risposta è un'attenta sperimentazione pluriennale prima dell'immissione in commercio".
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Yemoja disse: "Alcuni condomini hanno appartamenti di diverse taglie - chi affitta o compra un appartamento grande lo paga più di quello che vale, per sussidiare l'affitto o l'acquisto degli appartamenti più piccoli".
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"Capita soprattutto nei 'cohousing'", osservò Hera, che aggiunse: "Come vuoi applicare questo modello alle nostre placente?"
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"Lo applicherei al contrario: supposto che una placenta individuale costi 10 mila Euro, una placenta familiare che può nutrire 12 persone la farei pagare 90 mila Euro; una placenta collettiva che può nutrire 120 persone (anche non imparentate, ma selezionate secondo regole che il titolare può stabilire), 450 mila Euro. Questo per i modelli senza utero".
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"Una specie di tariffa a scalare", disse Juno, "e l'idea tua è che le placente vengano vendute anziché affittate".
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"Solo per quelle collettive potrebbe aver senso l'affitto anziché la vendita", osservò Juno, "Le altre sono troppo legate ad una persona o famiglia".
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"Pensi che questi prezzi coprano i costi?", chiese Giaele a Juno, ma fu Rebecca a rispondere: "Se si parte dalla placenta del titolare, sono addirittura un furto; se si parte dalle cellule staminali, li coprono appena. Bisognerà differenziare".
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<br /></div>
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Hera chiese: "Sembra che nelle linee generali siamo d'accordo. Sbaglio, Xiuhe, o tu e Rebecca state progettando un grande stabilimento per queste placente?"
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Xiuhe corresse: "Lo stabilimento produrrà da una parte i farmaci che permetteranno ad una placenta di arborizzarsi e trasformarsi in individuale o familiare, dall'altra ospiterà i macchinari che permetteranno di sviluppare placente individuali, familiari e collettive a partire da cellule staminali. Le placente collettive deriveranno solo dalle cellule staminali".
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"Abbiamo i finanziamenti per questo?", insistè Hera, e Juno rispose: "Un consorzio di banche d'affari ci ha detto: 'Il giorno in cui avrete l'Autorizzazione all'Immissione in Commercio apriamo i cordoni della borsa'".
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"Dimentichi una cosa", osservò Debora, "Occorrono tutte le licenze ed autorizzazioni per la costruzione dello stabilimento. E molto dipende dalle prossime elezioni comunali".
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"Già", osservò Yemoja, "Perché delle liste in lizza, una è favorevole e l'altra contraria a questo stabilimento".
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"Come mai?", chiese Xiuhe, ed Hera rispose: "I contrari vedono nelle placente arborizzate uno snaturamento dell'umanità", e Juno polemica disse: "Uno snaturamento che riduce l'impronta ambientale di ogni essere umano".
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Mentre Yemoja riusciva infine a far produrre la bambagia del cotone alle placente arborizzate, Xiuhe le diede una magnifica notizia: su consiglio di Juno, aveva presentato la domanda di brevetto farmaceutico dell'arborizzazione delle placente dei neonati, della loro rigenerazione dalle cellule staminali del titolare, e della "cessione" delle medesime ad altro titolare.
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Un brevetto farmaceutico dura dai 20 ai 25 anni (l'estensione si ha se l'Autorizzazione all'Immissione in Commercio viene concessa dopo oltre 5 anni dalla domanda) - questo significava che, anche a far pagare un prezzo ragionevole ("ragionevole" tenuto conto che queste placente arborizzate avrebbero consentito al titolare di vivere di rendita per tutta la vita, pagando solo la risibile IMU sui 16 mq di terreno agricolo su cui essa era piantata - il contante se lo sarebbe potuto procurare vendendo la seta od il cotone placentari da filare) il trattamento, Casa Dejana sarebbe diventata in quei 25 anni più ricca della Apple!
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Mentre Yemoja (in quanto medico) e Rebecca (in quanto ingegnere) progettavano lo stabilimento per produrre tutto il necessario per l'arborizzazione, Edna ed Ester, le figlie siamesi di Hera, posero a Xiuhe quest'interrogativo:
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"Noi abbiamo la Sindrome da Insensibilità Completa agli Androgeni, detta anche Sindrome di Morris, giusto?"
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"Ve l'abbiamo spiegato da quand'eravate bambine", rispose Xiuhe, e le ragazze ripresero: "Ci avete detto che siamo anche sterili, vero?"
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"Purtroppo sì", spiegò Xiuhe, "Il cromosoma Y che avete è stato sufficiente a trasformare le gonadi originarie in testicoli, ma poiché anche tali testicoli sono insensibili agli androgeni che essi stessi producono, essi non sono capaci di completare la spermatogenesi".
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"Mah", osservò Edna, "Siete riuscite a fare delle complesse placente arborizzate con le cellule staminali dei bambini; non è che riuscite a crearci degli spermatozoi con le nostre?"
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Xiuhe fu colta di sorpresa e rispose: "In teoria è possibile, e potremmo creare anche degli ovuli, da fecondare o fecondati - dovreste però procurarvi una donna disposta a portare avanti una gestazione per voi".
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Ester disse: "Un utero artificiale, magari all'interno di una placenta arborizzata, non riuscite a crearlo?"
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Xiuhe rispose: "Avete deciso di farci diventare ricche sfondate! Lo sapete quante donne vorrebbero delegare la gravidanza ad un altro essere?"
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"Per non parlare della possibilità di salvare il feto se la madre si ammala od ha un grave incidente", osservarono le figlie siamesi di Hera.
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[Inizio]
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Le placente fotosintetiche erano una grande invenzione, ma nella versione umana si rivelarono assai fragili - per fortuna Yemoja e Xiuhe conservavano le cellule staminali di ognuna di esse nei refrigeratori della Banca dello Sperma Aspermer, e così fu loro possibile ripiantarle più volte finché, dopo cinque anni di tentativi, fu trovato il modo di farle maturare ed irrobustire fino a resistere e prosperare anche con il vento di maestrale che spesso flagella Bosa e la Planargia.
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I debiti della famiglia Dejana erano stati tutti pagati, e Juno ed Hera erano riuscite a mettere a punto delle ricette con la linfa delle placente fotosintetiche, che veniva trattata in modo simile al latte di soia.
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Originariamente, una placenta fotosintetica doveva nutrire solo il titolare ed i suoi parenti stretti, che dovevano succhiarne la linfa da dei "capezzoli" che la placenta produceva spontaneamente; ma Yemoja e Xiuhe ritennero indispensabile modificare la selettività delle placente.
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Dopo mesi di tentativi, riuscirono a fare in modo che la placenta nutrisse ogni essere umano che si accostasse ad essa, disinfettando inoltre i capezzoli con potenti antisettici - per cui era ora possibile piantare codeste placente nei terreni abbandonati e lungo le coste, per nutrire le persone senza lavoro e senza casa, autoctone ed immigrate.
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Non era lo scopo per cui erano nate queste placente, ma non si poteva aspettare che tutti avessero dei figli la cui placenta (conservata al momento del parto, oppure ricreata con le cellule staminali) fosse resa fotosintetica per far sparire la fame nel mondo - chi non aveva altro modo per sfamarsi andava comunque aiutato.
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In compenso, Yemoja e Xiuhe riuscirono a stabilire un rapporto particolarmente intimo tra le placente ed i loro titolari: la placenta produceva dei tralci che cercavano spontaneamente l'ombelico del titolare, vi si connettevano, e riattivavano i vasi ombelicali, per inserire le sostanze nutritive direttamente nel suo circolo sanguigno.
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Era un modo semplice e gradevole di nutrire il titolare, ma ci volevano dieci ore per saziarlo così; Rachele imparò presto a fare i compiti con il tralcio collegato al suo ombelico, ed a giocare con le amiche - anche se l'insorgere della pubertà la convinse a condividere la linfa della sua placenta anche con i ragazzi da cui si lasciava corteggiare.
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La placenta resisteva al freddo (ma raramente a Bosa la temperatura scende sotto zero), ma Rachele rischiava ogni volta di ammalarsi, ed allora Rebecca si mise a progettare una nuova Casa Dejana: un intero isolato, a forma di chiostro di convento, con appartamenti e negozi da affittare per pagare i debiti per la costruzione, ed il cortile interno che era riservato alle placente fotosintetiche dei residenti - sotto il cortile c'era il parcheggio sotterraneo.
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L'idea piacque, le banche la finanziarono, ma Yemoja chiese un paio di modifiche al progetto originale: far passare sotto le strade intorno all'isolato dei tubi simili a quelli di scolo, ma pieni di terra, per collegare la terra del cortile interno con quella dei campi vicini; e mettere delle fioriere al limite tra il porticato (di proprietà privata) ed il marciapiede (di proprietà pubblica) in cui far crescere altre placente fotosintetiche - a beneficio dei gatti e dei poveri.
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Quest'ultimo dettaglio fu contestatissimo nel consiglio comunale, che temeva un'invasione di sfaccendati senza tetto, ma Yemoja argomentò che diverse altre città in Italia e nel mondo avevano deciso di piantare nei parchi pubblici alberi da frutto e non solo piante ornamentali, e questo aveva aiutato i poveri che c'erano già in città, senza attirarne altri.
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Il progetto fu alla fine approvato - il vantaggio principale del nuovo palazzo era che con la sua forma riusciva a proteggere le placente dai venti e dalle temperature estreme, e Rebecca progettò pure delle tende che permettevano di nutrirsi per via transombelicale riparati dalla pioggia e dal vento, pur sedendo vicini alla propria placenta.
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Queste tende non servirono solo per fare i compiti - la tenda permise a Rachele di esplorare l'intimità fisica con i ragazzi, senza essere vista, ma vicino a casa, e con la possibilità di chiedere aiuto se qualcosa non funzionava.
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Poco ci mancò che Juno, Rebecca e Dina non decidessero di affittare il loro appartamento, per vivere tutto l'anno in tenda. Yemoja era riuscita anche a trovare il modo di cambiare il titolare di ogni placenta creata con cellule staminali (quella conservata dopo il parto non poteva essere "ceduta"), per cui anche Juno e Rebecca, Debora e Giovanna, riuscirono ad avere la loro placenta capace di nutrirle per via transombelicale.
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Il naturismo si era tanto diffuso a Bosa, grazie agli sforzi ultradecennali di Juno, che fu possibile riempire il palazzo di inquilini, negozianti e professionisti anche se nel contratto di affitto era pretesa la "clothing optionality", ovvero era vietato protestare perché c'erano persone nude nelle parti aperte al pubblico del palazzo - andavano considerate un fatto della vita come il sole e la luna.
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Ulteriore modifica genetica diede la possibilità alle placente di scaldare d'inverno e rinfrescare d'estate - per cui ora era davvero possibile concepire una vita da trascorrere in una tenda stesa tra le placente fotosintetiche dei membri della famiglia.
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Rebecca tenne anche un congresso scientifico su questa possibilità, mostrando che, se da una parte diventava piuttosto complicato costruire palazzi a più piani (sarebbe stato necessario costruire dei giardini pensili, con una luce di almeno 16 metri tra un piano e l'altro, perché questa era l'altezza massima delle placente arborizzate), dall'altra diminuiva il consumo di suolo, perché i 16 metri quadrati a testa erano tutto quello di cui aveva bisogno una persona per vivere, senza bisogno di ulteriore terreno per l'agricoltura e l'allevamento - restava la necessità di costruire strade, linee di telecomunicazione e stabilimenti industriali, ma la vita diventava comunque assai più facile.
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Il congresso non fu molto convincente - troppi interessi ruotavano intorno all'agricoltura ed all'industria alimentare - anche se il video di Rebecca che mostrava la sua presentazione sul maxischermo, mentre lei ed i partecipanti erano nudi e con un cordone ombelicale collegato a delle placente arborizzate (che rendevano superflua la pausa pranzo) divenne rapidamente virale.
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Un'altra modifica genetica rese le placente arborizzate capaci di produrre energia elettrica (230 V 50 Hz), e per fortuna non fu necessario aumentare le dimensioni delle placente per produrre tutta questa energia.
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L'ingegnera Rebecca si rese presto conto di un fenomeno che era stato scoperto dai botanici negli alberi convenzionali: le radici delle placente, intrecciandosi, consentivano lo scambio non solo di nutrimenti, ma anche di informazioni.
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Quando Juno, Rebecca e Dina erano collegate alle loro placente attraverso il cordone ombelicale, ognuna era più consapevole dello stato emotivo dell'altra, e pian piano questa conoscenza empatica evolvé in telepatia.
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Ulteriore modifica genetica rese le placente arborizzate capaci di ricetrasmettere nella gamma radio dei 700 MHz, consentendo loro di fungere da ripetitori della prossima generazione di cellulari (5G), nonché di comunicare tra di loro anche se le radici non erano a diretto contatto, e di interfacciarsi con gli umani attraverso i cellulari e le chiavette 5G per computer.
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Era ormai possibile creare una nuova civiltà umana basata sulle placente arborizzate - specialmente dopo che Xiuhe riuscì a modificare il genoma dei bachi da seta in modo da consentir loro di nutrirsi della linfa di codeste placente (con il consenso del titolare), e Rebecca trovò il modo di dipanare il bozzolo senza interrompere la metamorfosi od uccidere la farfalla.
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I tessili di questa seta facevano anche vestiti, i naturisti come le persone di Casa Dejana si limitavano a farne la tenda in cui vivere e biancheria per la casa (anche se la seta non è adatta per queste cose - ma Yemoja stava cercando di far produrre alle placente arborizzate anche la bambagia del cotone).
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[<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.com/2017/12/juno00009002-yggdrasill-002.html">Puntata seguente</a>]
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Qualche giorno dopo, Yemoja si precipitò raggiante nella casa di Juno e Rebecca strillando: "Ce l'abbiamo fatta! La placenta fotosintetica non è più riservata ai neonati!"
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"Che vuoi dire?", chiese Rebecca, e Yemoja rispose: "Io e mia moglie Xiuhe ci siamo chieste: 'E chi è nato senza che fosse possibile conservargli la placenta per renderla fotosintetica? Occorre trovare la possibilità di ricrearla a partire dalle cellule staminali!'"
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"E ci siete riuscite?", chiese Juno, e Yemoja piegò le ginocchia battendo il pugno destro sul palmo sinistro per l'esultanza.
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"C'è però un limite", aggiunse poi, "per il momento, ci riusciamo solo con gli impuberi. Non appena un bambino od una bambina iniziano la pubertà, questo non è più possibile. Speriamo di riuscirci in futuro anche con gli adulti".
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Rebecca e Juno si guardarono pensando alla stessa cosa: Rachele, la figlia di Debora, stava per compiere dieci anni - e non è più raro avere bambine già puberi a quell'età.
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"Yemoja", chiese Juno, "pensi di poter rigenerare la placenta di Rachele e renderla fotosintetica? In fretta, prima che diventi da bambina signorina?"
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"Hmm ... ho visto ieri Debora e Giovanna accompagnare Rebecca in un negozio di lingérie", rispose Yemoja; Juno si mise le mani nei capelli, Rebecca la tranquillizzò dicendo: "Calma! La pubertà è un processo lungo. Prima di solito crescono i seni, poi i peli 'superflui', ed il mestruo arriva per ultimo - dopo due anni circa. Yemoja, quand'è che 'tardi' diventa 'troppo tardi'?"
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"Dovrei visitare la bimba. Però, non mi spaventerei troppo. Ci sono le bambine impaurite dal loro seno che cresce, e bambine che non vedono l'ora di averlo. Mi sa che Rebecca cade nella seconda categoria, e se non perdiamo tempo, possiamo ancora dotarla di una placenta fotosintetica".
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Tutte e tre [Juno, Rebecca, Yemoja] bussarono alla porta di Debora, e spiegarono a lei ed a Giovanna cosa intendevano fare. Debora scoppiò a ridere quando seppe come si era disperata Juno, e disse: "La visita era solo didattica - una donna deve saper scegliere la sua biancheria. Certo però che una visita a Rachele non le farebbe male. Come pensi di estrarre le sue cellule staminali?"
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"Con un un prelievo di sangue", rispose Yemoja, "Per fortuna non ce ne vogliono molte".
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"Pensate di farlo anche con le mie nipoti Lia e Dina?", chiese Debora, "Siete state gentili a pensare a mia figlia per prima, ma non c'è solo lei in famiglia".
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"Certamente", rispose Juno, e Debora chiamò la figlia per dirle: "Tesoro, la zia Yemoja vorrebbe visitarti per vedere quanto ti manca per diventare una bella donnina. Quando può farlo?"
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"Anche subito, se poi mi aiutate con il tema di italiano", rispose Rachele.
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La visita mostrò una ragazzina in perfetta salute, ma con il seno già allo stadio Tanner 2 - con i capezzoli che cominciavano a sporgere; la visita al negozio di lingérie non era solo didattica - presto Rachele avrebbe avuto bisogno di un reggiseno.
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Yemoja eseguì comunque il prelievo di sangue, sperando che le cellule staminali fossero meno mature del resto del corpo, e fosse ancora possibile crearne una placenta.
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La scommessa fu vinta, e qualche mese dopo, mentre la mamma comprava finalmente il primo reggiseno a sua figlia, la placenta era pronta per essere resa fotosintetica.
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Il successo dell'esperimento convinse a ripeterlo anche con Lia (che viveva a La Maddalena con la madre Giaele e sua moglie Dalia) e Dina, la figlia di Rebecca.
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Fu possibile produrre più placente con il medesimo insieme di cellule staminali, il che significava che tali placente potevano nutrire non solo le bambine che ne erano titolari, ma anche i loro genitori e parenti stretti. Come disse Hera: "Ora le nostre figlie sono davvero il sostegno della nostra vecchiaia, a dispetto dei tagli alle pensioni".
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[Fine]
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S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-16270378655167223282017-11-27T22:48:00.002+01:002017-11-27T22:48:24.822+01:00Juno.00008.006 - Hera - 006<div align="justify">
[<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.it/2017/11/juno00008005-hera-005.html">Puntata precedente</a>]
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Debora osservò: "Yemoja, ho letto che nel candomblé (derivato brasiliano dell'Ilé Ifá, la tua religione), si seppelliscono placenta e cordone ombelicale di un bimbo sotto un albero di palma, per riconnetterlo agli antenati, ma che l'albero deve rimanere sconosciuto perché un mago non possa stregare il bambino".
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Yemoja rispose: "È vero, ma chi ci crede può prendere delle contromisure magiche. Le placente trasformate sono molto selettive - nutrono solo il titolare ed i parenti più stretti. Quindi, occorre per forza sapere dov'è il proprio albero e qual è, se si vuole trarne nutrimento".
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"Come viene eseguita la trasformazione?", chiese Hera, e Xiuhe rispose: "Il cordone ombelicale va tagliato prima che smetta di pulsare, e collegato ad una macchina che nutra la placenta attraverso le arterie e la vena ombelicali; compiuto il secondamento, ovvero, uscita anche la placenta dall'utero, si iniziano ad introdurre dei virus nella placenta che ne alterino il patrimonio genetico. Dopo due settimane, la placenta è in grado di vivere di fotosintesi ed essere piantata".
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"Hmm ... consigliano di solito di aspettare che il cordone smetta di pulsare", disse Hera, "Perché la placenta nei suoi ultimi minuti restituisce sangue e ferro al bambino".
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"Vero", rispose Xiuhe, "Ma sono cose che si possono fornire al bambino comunque - se invece aspettiamo che il cordone ombelicale smetta di pulsare, la placenta ce la troviamo morta ed inutilizzabile".
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"Se questo è l'unico inconveniente", disse Hera, "Acconsento".
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Gli ultimi mesi di gravidanza procedettero tranquilli, con Edna ed Ester che crescevano bene, ed alla 37^ settimana di gravidanza si procedette con il cesareo - Edna ed Ester non sarebbero riuscite ad uscire insieme per la vagina, e non si aveva quindi scelta.
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Yemoja e Xiuhe, dopo aver avuto l'assenso di Hera, erano riuscite a compilare un protocollo di ricerca con tutti i crismi, a farlo approvare dal CNR, ed ad accordarsi con una clinica ostetrica di Sassari per eseguire il parto e la trasformazione della placenta.
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L'intervento procedette bene (con anestesia epidurale), ma l'essere Edna ed Ester gemelle siamesi obbligava Hera a nutrirle insieme stando in posizione semisdraiata - e con un sostegno per evitare che premessero sull'addome ancora dolente per l'operazione.
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Ma dopo due settimane fu possibile anche a lei assistere al trapianto della placenta trasformata delle due figlie nel campo nudista, accanto a quelle dei mici - secondo Yemoja e Xiuhe, la placenta era in perfette condizioni, ed entro due anni avrebbe potuto nutrire Edna ed Ester al posto della madre Hera.
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<br /></div>
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[<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.it/2017/11/juno00008007-hera-007.html">Puntata seguente</a>]
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S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-15077215137341849962017-11-27T14:50:00.001+01:002017-11-28T18:02:39.730+01:00Juno.00008.005 - Hera - 005<div align="justify">
[<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.it/2017/11/juno00008004-hera-004.html">Puntata precedente</a>]
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Dopo quest'episodio di "due diligence = attenta verifica", in cui il medico (od i revisori dei conti) avevano vuotato il sacco su quello che non andava bene nella gravidanza (o nel bilancio di un'azienda), tutto procedette bene: i successivi controlli evidenziarono buona salute di madre e figlie, ed Hera riuscì a stabilire una buona amicizia con Rebecca, che le consentì di intrattenersi di tanto in tanto con Juno.
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<br /></div>
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Anche Rebecca avrebbe voluto approfittarne (ed anche Yemoja e Xiuhe non videro in Hera solo una paziente), ma Hera non voleva avere a che fare con genitali femminili diversi dai propri, per cui il rapporto con le donne diverse da Juno fu molto amichevole e cameratesco, ma niente di più.
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Un giorno però Yemoja e Xiuhe convocarono un consiglio di famiglia (anche Giaele, che si era definitivamente stabilita a La Maddalena, fu invitata) per presentare un loro progetto scientifico, detto in codice "Yggdrasill".
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"Yggdrasill è il frassino cosmico invisibile che unisce i nove mondi dell'universo secondo la mitologia norrena", disse Debora, e Yemoja aggiunse: "Una funzione simile ha l'albero di palma nella mitologia Yoruba. Ma abbiamo imparato che i nomi nordici hanno più successo di quelli africani".
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"Tamar", osservò Juno, "che in ebraico vuol dire 'palma', sarebbe stato un bel nome", ma Yemoja la fulminò con lo sguardo, prima di riprendere a parlare.
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"Se l'albero ha le radici", disse Yemoja, "il feto che ha?"
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"La placenta", rispose Hera, "che volete farne?"
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"Dotarla di proprietà fotosintetiche in modo che diventi un vero albero capace di nutrire per la vita il suo titolare".
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Tutte aprirono la bocca per lo stupore; Hera chiese: "Non è che il titolare fa la fine del dio Odino, che per acquisire la dote della divinazione si appese, trafitto con una lancia, per nove giorni alle fronde di Yggdrasill?"
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"Non è previsto", rispose Xiuhe, "ma se accadesse ne saremmo contente".
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Più seriamente rispose Yemoja: "L'albero diverrebbe la fonte di sostentamento principale del suo titolare, che dovrebbe solo succhiarne la linfa attraverso una specie di capezzolo".
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"E con i gemelli monovulari o siamesi come le mie figlie, che hanno una placenta sola, che si fa?", chiese Hera, e Yemoja rispose: "Siamo convinte di riuscire a far sviluppare due o più capezzoli in casi come questo. Ma noi trasformiamo solo le placente, non i neonati. Se la trasformazione fallisce, mangiano esattamente come tutti gli altri".
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"Avete fatto già esperimenti sugli animali?", chiese Juno, "non sembra un esperimento crudele, visto che la placenta verrebbe comunque ingerita o distrutta dopo il parto".
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"Con i gatti funziona benissimo", rispose Xiuhe, ed Hera commentò: "Mi state dicendo che quei 'bonsai' che avete piantato lungo il confine tra il campo nudista e la strada sono placente di gatto trasformate? E per questo il campo nudista/ristorante ha più mici di un centro di pet therapy?"
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"Brava", disse Yemoja, e Xiuhe aggiunse: "Finora l'esperimento riesce solo con le placente di micia - sembra ci sia un fattore inibitore codificato nel cromosoma Y. Crediamo di averlo individuato e neutralizzato, e la placenta delle tue figlie, che come loro ha cariotipo 46,XY, sarebbe l'occasione per provare anche questo particolare, non solo se anche le placente umane possono essere trasformate".
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"Scusate, scusate, scusate", disse Juno, "Non sarebbe più comodo provare la trasformazione di una placenta umana partendo da un caso più semplice, anziché dal complicato caso di Edna ed Ester?"
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"Prova a chiedere delle puerpere se possiamo avere le loro placente per questo scopo, e dimmi quante accettano", rispose Yemoja, e Xiuhe aggiunse: "Per non parlare dei casini che ci pianterebbero i comitati etici di ogni ordine e grado".
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"La famosa Dichiarazione di Helsinki del 1964 sulle ricerche mediche sugli esseri umani", commentò Juno, "impone questo".
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"Vuoi che redigiamo un protocollo di ricerca ai sensi di quella dichiarazione?", chiese Yemoja, "Ve lo portiamo domattina".
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Hera intervenne: "Juno, sono io la diretta interessata", e Juno fece un gesto con la mano per dire: "Scusate l'intromissione".
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Hera riprese: "L'idea mi piace, però vorrei vedere appunto il protocollo di ricerca, e guardare da vicino i famosi 'bonsai', per capire che cosa possono aspettarsi le mie figlie".
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"Ma anche subito!", rispose Yemoja, ed invitò tutte a salire in macchina ed a recarsi al campo nudista.
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Lì videro appunto i 'bonsai' ed i gatti che ne succhiavano la linfa, e poi si sdraiavano beati sulle loro radici.
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"Questi 'bonsai' possono riprodursi?", chiese Juno e Yemoja scosse la testa dicendo poi: "Non hanno organi riproduttivi. Stiamo verificando la possibilità di 'rigenerazione', ovvero se staccandone un ramo, trattandolo in laboratorio e poi piantandolo nasce un altro 'bonsai'. Sarebbe opportuno per garantire il perenne sostentamento al titolare".
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"E magari la placenta delle mie figlie vi darebbe la possibilità di provare anche questo", osservò Hera, mentre Rebecca misurava la superficie occupata dalle placente trasformate in radici, fece il rapporto tra superficie e peso corporeo dei mici, ed alla fine concluse: "Un micio di cinque chili ha bisogno di un 'bonsai' alto 50 cm, e con radici e corona che occupano un metro quadro di superficie. Se lo stesso rapporto vale per gli umani, il classico adulto di 80 kg ha bisogno di 16 metri quadri di superficie, cioè di un quadrato di 4 metri di lato - quanto sarà alto il suo 'albero' non lo posso sapere. Una 'piantagione' da un ettaro potrebbe mantenere 625 persone (diecimila metri quadri diviso 16); cento ettari fanno un kilometro quadro, e quindi una 'foresta' potrebbe mantenere 62.500 persone per kilometro quadro".
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"La Sardegna ha 24.090 Kmq", osservò Juno, che aggiunse, dopo aver fatto i calcoli col telefonino: "Se fossero tutti trasformabili in 'foresta', l'isola potrebbe mantenere 1 miliardo 525 milioni 625 mila persone".
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"Addio fame nel mondo", disse Debora, "Chiudiamo il ristorante e concentriamoci sulla gioielleria di famiglia".
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[<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.it/2017/11/juno00008006-hera-006.html">Puntata seguente</a>]
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S'Esserehttp://www.blogger.com/profile/16582627492030208685noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3498560322369239295.post-73382449902974154862017-11-27T01:38:00.000+01:002017-11-27T01:38:07.898+01:00Juno.00008.004 - Hera - 004<div align="justify">
[<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.it/2017/11/juno00008003-hera-003.html">Puntata precedente</a>]
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Yemoja riaccompagnò Juno a casa, e convinse Rebecca a riprendersela, anche se si sentì in dovere di avvertirla che c'era la possibilità che Juno avesse messo incinta la sorella.
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Rebecca disse: "Ho accettato che Juno avesse quattro figlie oltre a quella che ha generato con me, amerò la sesta come tutte le altre".
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Alcune settimane dopo Hera saltò il ciclo, ed il test di gravidanza fu positivo. Fu Rebecca a proporre una festa al ristorante, ma Xiuhe avvertì che la verdura cruda può essere contaminata dal Toxoplasma Gondii - per cui, prima della festa, pretese l'esame degli anticorpi contro il Toxoplasma.
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Hera fece notare che era una ben nota gattara in Continente, quindi era improbabile che non avesse mai contratto l'infezione, ma si sottopose all'esame - che risultò positivo: il feto era ben difeso contro il parassita.
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Hera continuò a lavorare al ristorante, anche se la gravidanza la spossava un po', e le calze autoreggenti contenitive divennero praticamente obbligatorie - ma quando i clienti scoprivano perché le portava, l'iniziale mugugno diventava augurio per la neo-mamma.
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La prima ecografia, alla 13^ settimana, diede una bella ed una brutta notizia: la bella notizia era che Hera non era incinta di un solo bimbo, ma di ben due bimbe; la brutta era che si trattava di gemelle siamesi "parapaghe ditoraciche".
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Ovvero, come spiegarono Yemoja e Xiuhe mostrando le immagini ecografiche, le due gemelle avevano due gambe, una vulva, un sederino, un bacino, un ombelico, ma due spine dorsali, due toraci, quattro braccia, due teste.
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Hera propose per le gemelle i nomi Hnoss e Gersemi, che nella mitologia norrena sono le dee della voluttà e della bellezza, le due figlie gemelle di Freyja, dea dell'amore; ma le fu fatto notare che erano nomi impronunciabili e potevano diventare ridicoli - si scelsero perciò due nomi biblici dal significato simile, Edna ed Ester. Il primo significa "piacere" in ebraico, il secondo "stella" in persiano.
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Per il resto, le ecografie non rivelavano nulla di preoccupante, e mostravano gemelle in buona salute - l'unico problema era che farle passare tutte e due insieme per la vagina era impensabile, e quindi occorreva programmare un cesareo.
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"Ne soffrirà la montata lattea?", chiese Hera, e sorridendo Yemoja rispose: "No. In ogni caso tutte le donne della famiglia, compresa Juno, continuano a produrre latte, quindi le tue figlie rischiano l'obesità, non la denutrizione!"
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L'ecografia e l'età avanzata della gestante consigliarono una villocentesi, esame che richiede grande perizia, ma che Yemoja e Xiuhe sapevano fare, e che diede un risultato inaspettato: il cariotipo delle gemelle era 46,XY!
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Sulle prime le ginecologhe pensarono di aver sbagliato ad interpretare l'ecografia, vedendo genitali femminili quando invece erano maschili, ma la ripetizione dell'esame non lasciò dubbi, e si rese necessario il sequenziamento genetico, che diede la notizia buona e quella cattiva.
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La notizia buona era che il cromosoma Y delle gemelle era identico a quello di Juno, quella cattiva che effettivamente il gene per il recettore degli androgeni era stato disabilitato da una mutazione - le gemelle avevano un cariotipo maschile ma stavano sviluppando un corpo femminile perché completamente insensibili agli androgeni.
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Hera ammutolì quando le fu spiegato questo, anche se Yemoja si era affrettata ad aggiungere che l'unico problema serio che avrebbero avuto le sue gemelle sarebbe stato la sterilità: le loro ghiandole genitali sarebbero state dei testicoli, incapaci però di produrre spermatozoi maturi; e sarebbero nate prive di utero.
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"È ereditaria questa cosa?", chiese Rebecca, e Yemoja rispose: "Sì. Il gene mutato si trova nel cromosoma X, e si trasmette pertanto in linea materna. Sembra che Juno abbia ereditato dalla madre un cromosoma X sano, Hera uno sano ed uno mutato, ma alle figlie abbia passato quello mutato. Mi stavo chiedendo se nella famiglia di Juno ed Hera ci siano mai state donne sterili senza spiegazione apparente".
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Juno ci pensò un attimo e rispose: "Mia madre era ovviamente XX, le mie zie pure, visto che tutte hanno figliato; tra le prozie, una sorella di mia nonna si trovò il matrimonio annullato per incapacità di compiere l'atto sessuale".
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"Tombola!", disse Xiuhe, e Rebecca chiese: "Spiegati meglio!"
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"Questa prozia è morta, quindi non si può indagare su di lei", rispose Juno, "l'ho incontrata poche volte, e quell'annullamento l'aveva devastata. Nessuno mi raccontò quello che era accaduto, ma quando feci un'indagine genealogica trovai l'annotazione nel registro dei matrimoni - e pure in quello dei battesimi".
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Xiuhe si incaricò di spiegare l'accaduto: "Le donne con totale insensibilità agli androgeni hanno la vagina stretta e corta. Niente di irrimediabile - ma probabilmente il medico che notò la vagina così conciata notò anche la mancanza dell'utero, e deve aver consigliato di non tentare di allargare la vagina, ma di approfittare della situazione per chiedere l'annullamento per impossibilità del coito".
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"Già", commentò Juno, "perché la sterilità non rende di per sé nullo il matrimonio cattolico, ma l'impossibilità del coito invece sì".
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Hera si lasciò sfuggire due lacrime dicendo: "Speravo di diventare nonna, questo sarà impossibile", al che Juno disse: "Sei già zia di cinque nipotine. Non ti annoierai".
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Quando Juno tornò a casa, Rebecca le chiese: "Tutto a posto con il furgone?"
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"Ehm ... sì", rispose Juno, tradendo un imbarazzo che Rebecca notò, e la indusse ad indagare: "Tua sorella ci ha provato di nuovo?"
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"Ci è anche riuscita, questa volta", rispose Juno.
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Rebecca si accasciò su una sedia, appoggiò le braccia al tavolo di cucina, si coprì gli occhi con le mani, e pianse.
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"Guarda che non ho mica intenzione di lasciarti per mia sorella!", provò a dire Juno, ma Rebecca non smise di piangere, e le disse: "Lasciami sola. Va' a farti una passeggiata, fa' qualcosa, ma oggi non farti vedere da me".
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"Porto a spasso Dina?", chiese Juno, e Rebecca rispose: "Deve fare i compiti. Lasciala stare".
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Juno si rivestì (per tutta la famiglia era un'abitudine ormai vestirsi e svestirsi entrando ed uscendo di casa - esattamente come i tessili si mettono e tolgono il cappotto), fece un giretto per Bosa, e poi decise di andare a chiedere conforto a Yemoja, che stava lavorando nella Banca dello Sperma Aspermer.
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Yemoja ricevette Juno e le disse: "Immagino tu non sia qui per un versamento, vero?"
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"No. Ho paura di aver messo a dura prova il mio matrimonio".
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"In che modo? Sembrate una coppia ben corazzata, tu e Rebecca", rispose Yemoja.
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"Andando a letto con mia sorella Hera".
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"Sapevamo tutte che sarebbe successo, prima o poi. Tua moglie lo sa? Come l'ha presa?", chiese Yemoja.
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"L'ho informata io, si è messa a piangere e mi ha detto di uscire perché oggi non mi voleva vedere".
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"Forse ha paura di non poter reggere il confronto con Hera. Tu e lei avete un forte livello di intimità", osservò Yemoja.
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"Sia io che mia moglie siamo poli. Non ci lasciamo per una cosa così".
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"Juno, tu hai vissuto per molti anni da maschio, e non ti rendi conto appieno di come le donne abbiano paura di essere lasciate se il loro partner va a letto con un'altra persona", disse Yemoja, "Ci vorrà del tempo a Rebecca per valutare freddamente i rischi che corre e la solidità della vostra famiglia".
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"Anche tu hai paura che io lasci Rebecca?"
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"Razionalmente, no", rispose Yemoja, "Ma chi dice che tu ti comporti sempre razionalmente?"
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"Ho capito", disse Juno, "Hai un consiglio per evitare che io debba dormire fuori casa e la situazione peggiori?"
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"Proverò a parlare con Rebecca", disse Yemoja, "Anche se non sono la persona più adatta perché anch'io sono andata a letto con te".
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"Era un caso diverso: abbiamo fatto una cosa a tre prima, insieme con Rebecca, e poi a quattro insieme con tua moglie. Invece Hera non vuole avere eroticamente niente a che fare con le donne cis, quindi una soluzione simile non è praticabile".
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"Infatti", rispose Yemoja, "Però devo ora farti una domanda: quando lo avete fatto, tu ed Hera?"
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"Oggi pomeriggio".
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"Ahi! Ahi! Ahi!", disse preoccupata Yemoja, e Juno chiese: "Che male ho fatto?"
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"Ti rivelo una cosa coperta da segreto professionale", rispose Yemoja, "Hera sta continuando ad avere cicli regolari ed ovulatori".
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"A sessant'anni?!?"
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"È considerato raro, ma ancora normale", rispose Yemoja, "specialmente tra le donne corpulente, visto che il grasso corporeo secerne estrogeni".
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"Ed Hera ha delle belle curve", osservò Juno, ma Yemoja incalzò: "Secondo la mia cartella clinica, tua sorella oggi era feconda. Chi ha cominciato?"
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"A far cosa?"
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"Chi ha portato l'altra a letto?", chiese un po' infastidita Yemoja, e Juno rispose: "Lei si è presentata davanti a me con la biancheria intima sotto l'accappatoio, e mi ha chiesto di togliergliela!"
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Yemoja rise, e disse: "Ecco, le persone si comportano così solo quando sono feconde. Tu sei feconda tutti i giorni, e lo faresti sempre - mentre persone come tua sorella lo fanno solo pochi giorni al mese".
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"Dici che l'ho messa incinta?"
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"È abbastanza probabile. E Rebecca ha reagito male un po' perché in questa fase del ciclo lei è più fragile, un po' forse perché si è istintivamente resa conto della situazione".
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"Hmmm ... mi viene il sospetto che il suo olfatto le avesse permesso di capire quello che tu hai scoperto visitando Hera. Forse per questo Rebecca voleva che Hera vivesse vicino a noi - perché così lei poteva tenerla d'occhio e capire in che giorni era meglio tenerci separati".
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"Rebecca è un'ingegnera, ma quando si tratta di sessualità e riproduzione è molto istintiva", osservò Yemoja, "Dubito che abbia ragionato come pensi, ma il suo comportamento poteva comunque avere questo scopo. Una gatta non ha bisogno di pensare a come attirare un gatto per mettere i suoi genitali in mostra".
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"Certo. Ed immagino che il rischio di malformazioni nei figli di fratello e sorella sia piuttosto alto".
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"Sì. Ed Hera non mi sembra disposta ad abortire in questo caso", osservò sconsolata Yemoja.
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"Infatti. Non ha mai voluto concedere certificazioni per interruzione di gravidanza - ed a sessant'anni non può perdere l'occasione di diventare mamma".
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"Già. Dovete prepararvi ad una nuova nascita", concluse Yemoja.
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[<a href="http://fiori-del-vaso-improprio.blogspot.it/2017/11/juno00008001-hera-001.html">Puntata precedente</a>]
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L'appartamento sopra il ristorante era comodo, e ad Hera non spiaceva cucinare, quindi accettò di lavorare per il ristorante, così come stava facendo Juno.
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Alla completa nudità delle dipendenti del ristorante fu concessa un'eccezione, su richiesta di Hera: calze autoreggenti per tutte, in modo da prevenire l'insorgere o l'aggravarsi delle vene varicose; il redattore di una rivista naturista storse il naso, ma Juno ribattè che anche un naturista si mette la sciarpa quando fa tanto freddo.
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<br /></div>
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Ad Hera questo nuovo lavoro piacque, e lo paragonò volentieri a quello che aveva fatto Carl Gustav Jung, che nella sua torre a Bollingen, sul Lago di Zurigo, non aveva voluto l'elettricità, e spaccava personalmente la legna per il caminetto; Hera si trovò a lavorare soprattutto con Juno (Rebecca aveva ripreso a pieno ritmo l'attività di ingegnera, ed il suo studio era a Bosa; Debora teneva aperta la gioielleria di famiglia), e cominciò a capire la differenza tra il sesso biologico e l'identità di genere di lei.
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<br /></div>
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Una sera, dopo aver fatto le pulizie insieme, Hera disse a Juno: "Ora mi sono resa conto che per il 95% di quello che conta per me sei una donna. Non proverò più ad usare il maschile con te".
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<br /></div>
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"Grazie. Ed il restante 5% cos'è?", chiese Juno, ed Hera lo abbracciò e baciò sulle labbra. Juno rimase turbato e disse: "Dovrei parlarne con mia moglie".
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"Non puoi nasconderti dietro le sue gonne, visto che non ne porta", tentò di ironizzare Hera, ma Juno rispose: "La nostra è una relazione aperta, ma lei vorrebbe almeno essere informata di questo. Lei sa che c'è stato tra noi da ragazzi, non se ne stupirà tanto".
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La reazione di Rebecca fu meno favorevole di quello che aveva previsto Juno: "Amore, il problema non è il sesso, od i sogni che avete fatto insieme da ragazzi e che ora potete realizzare. Il problema è che mi stai lasciando troppo tempo sola, con la scusa che devi far funzionare il ristorante ed insegnare il mestiere a tua sorella".
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"Puoi trasferire lì il tuo studio", provò a suggerire Juno, ma Rebecca rispose: "E perdere i miei clienti? E svegliarci io e nostra figlia presto la mattina perché dovrò portarla a scuola in macchina, mentre ora può andarci a piedi? Dì a tua sorella che, se proprio ti vuole, venga ad abitare qui in città!"
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Hera rispose ad Juno: "Rebecca è una cittadina, io amo i luoghi appartati. Da questo punto di vista non potremo mai andare d'accordo. Meglio che lasciamo perdere - non voglio che per colpa mia tu perda la moglie e la figlia".
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<br /></div>
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Il problema sembrava accantonato, se non risolto, con Juno che stava al ristorante solo durante l'orario di apertura al pubblico, per avere più tempo da dedicare a Rebecca e Dina, ma un giorno Juno ricevette una telefonata.
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"Juno? Sono Hera, mi serve un grosso favore. Puoi acquistare i prodotti di cui ti mando una lista ed una batteria da autoveicolo come quella di cui ti mando la foto?"
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"Che è successo?"
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"Tornando dal grossista di Sassari con le derrate per il ristorante, ho spento il motore del furgone ma non i fari".
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"Complimenti!", la sgridò Juno, "Va bene, provvedo subito".
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La lista della spesa comprendeva inezie come sale, spezie, olio d'oliva, che Juno acquistò e portò subito al ristorante, spiegando ad Hera: "La batteria a Bosa non si trova, e devo andare a prenderla a Macomer; intanto con queste cose puoi preparare il pranzo e servire i clienti".
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"Riesci ad avviare il furgone con i cavi, così mi lasci la macchina, e se ho ancora bisogno di qualcosa, posso pensarci io?"
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"Beh", rispose Juno, "Nella mia macchina i fari non restano accesi a motore spento, quindi non corro rischi!"
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Juno riuscì ad avviare il furgone - per fortuna il serbatoio del carburante era pieno - e così si recò a Macomer per il cambio della batteria.
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Al ritorno Hera chiese a Juno: "Perché ci hai messo tanto?"
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"Il meccanico si è accorto che un tagliando era scaduto, ed ha provveduto", rispose Juno, "Ed infatti ora il mezzo funziona meglio. Questa è la fattura".
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"Mettila via e toglimi la guépiere", rispose Hera - che infatti sotto l'accappatoio non aveva il corpo nudo.
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[Inizio]
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Ritornare a casa Dejana a Bosa, ora abitata solo da Debora e da sua "moglie" Giovanna, e dalla loro figlia Rachele, fu emozionante per Juno, Rebecca e Dina; Rebecca aveva già trasferito la sua workstation da ingegnera e gli altri ferri del mestiere, i vestiti, i libri, i computer e gli altri oggetti personali della famiglia l'avevano preceduta, quindi ci vollero poche ore per ristabilirsi a casa Dejana.
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Yemoja e Xiuhe, con le loro figlie Oshun e Xuannu, avevano rilevato il ristorante "Pardes Rimmonim", e lo avevano trasferito in un terreno vicino al "terreiro" nel quale Yemoja celebrava le feste degli Orisha - quel terreno lo avevano comprato, e lo avevano attrezzato a campo nudista, con tanto di ascensori per permettere ai disabili motori di scendere in spiaggia.
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Il campo nudista era sempre affollato, e così pure il ristorante - e ad ogni festa i fedeli potevano mangiare ottimo cibo appena preparato; l'unico inconveniente era che il "terreiro" ed il campo nudista erano separati da una collinetta, in modo che il rullo dei tamburi durante le feste non disturbasse troppo gli occupanti del campo nudista, e questo imponeva di nutrire gli ospiti portando il cibo dal ristorante con un carrello - solo cinque minuti di strada, comunque.
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Hera si svestì visitando il campo nudista, e decise di star nuda anche dentro casa Dejana - come facevano del resto Juno, Rebecca e Dina (Debora aveva dovuto invece cedere alla richiesta di Giovanna di rimanere vestita anche in casa); i rapporti con Juno, che si faceva chiamare Leonida prima della transizione, tornarono cordiali, anche se Hera soffriva di transfobia.
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Juno le aveva provato a spiegare più volte che ormai era una donna anche per l'anagrafe, ma Hera, pur convincendosi che doveva chiamarla Juno, continuava a considerarla un uomo - perché non poteva non far cadere il suo sguardo sui genitali ancora maschili che aveva.
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Cercava di evitare di applicare ad Juno aggettivi maschili o femminili quando Dina poteva sentirla (aveva il buon senso di non mettersi contro il modo in cui ella veniva educata), ma quando Dina era lontana non riusciva ad evitare di sbagliare il genere di Juno - a costo di attirarsi i rimproveri non solo di Juno, ma anche di Rebecca, Yemoja e Xiuhe, e pure di Debora e Giovanna (la quale ultima si sentì obbligata a diffidarla, in quanto definire "maschio" chi legalmente è "donna" può essere considerato ingiuria, cioè illecito civile).
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La diffida la convinse ad evitare sempre di usare termini con desinenze distinte per il maschile ed il femminile parlando di e con Juno, ma le disse che la sua opinione non era cambiata; Juno volle chiudere il contrasto ricordando il brocardo: "Cogitationis poenam nemo patitur = Nessuno è punito per quello che pensa", e si accontentò che sua sorella non usasse il maschile parlando di e con lei.
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Il disagio di Hera non era comunque grande, tant'è vero che dopo aver vissuto una settimana a casa di Juno, ed essersi fatta portare in giro per la Sardegna, le chiese se poteva trovarle una casa a Bosa in cui vivere.
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Rebecca rispose al posto di Juno: "Ci sono molte case in vendita, alcune da diversi anni. Devi fare attenzione perchè alcune sono vecchie di secoli, ed occorre controllarne l'idoneità statica e la conformità degli impianti. Posso farlo io che sono un'ingegnera".
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"Come mai?", chiese Juno, ed Hera rispose: "Ad onta del contrasto che c'è tra noi a causa della tua transizione, ti stai dimostrando 'a wonderful sibling' - sto usando un'espressione inglese, che mi permette di non scegliere il genere grammaticale. Sono inoltre stanca di farmi carico dei problemi degli altri come psicoterapeuta, ho sufficienti contributi per andare in pensione - tu lo hai fatto da anni - e questa città è carina. Mi rendo conto però che non posso sempre vivere in casa vostra, e per questo vorrei una casa mia".
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La proposta parve ragionevole sia a Juno che a Rebecca, ed anche a Yemoja e Xiuhe, quando gliene parlò Hera. Queste ultime le fecero notare che il ristorante "Pardes Rimmonim" aveva anche un appartamento per il gestore, appartamento al momento inutilizzato perché Yemoja e Xiuhe preferivano vivere in città. Se ad Hera non dispiaceva vivere nella zona isolata in cui c'erano il "terreiro", il ristorante ed il campo nudista, Yemoja e Xiuhe potevano ospitarla lì almeno temporaneamente.
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Hera accettò la proposta, e chiese a Rebecca di stimare l'appartamento, nel caso lei si fosse trovata tanto bene da volerlo acquistare, e cominciò a pianificare il trasloco.
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