venerdì 26 gennaio 2018

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Una sera Juno Dejana suonò alla porta di Victor Basenji, il nuovo sindaco di Bosa, un uomo di colore che abitava in una casa a torre costruita nel XVII Secolo (ma da lui ristrutturata) di Corso Vittorio Emanuele.

Le aprì Mary, la moglie di Victor; Juno si presentò dicendo: “Sono un’amica di Yemoja Olokum, la ginecologa di suo marito; l’hanno chiamata in ospedale per un’emergenza, e perciò mi ha pregato di consegnare io questa busta a Victor”.

Mary le disse: “Ah, Juno! Ho molto sentito parlare di lei, e sono contenta per quello che ha fatto per le persone trans. Entri. Stiamo cenando – vuol favorire?”

“Veramente volevo solo consegnare la busta …”

“Juno, l’ospitalità africana è come quella sarda!”

Ovvero: solo il certificato medico ti permetterebbe di rifiutare un invito – e non sempre basta!

Juno allora salì le scale fino al primo piano – come nelle case antiche della città, il pianterreno fungeva da cantina (in altre case, da negozio), e la vita si svolgeva solo nei piani dal primo al sottotetto; la famiglia di Victor, con Mary ed i figli Joshua e Solomon, stava cenando al primo piano.

Victor si alzò, strinse la mano a Juno dicendole: “Sono contento di averla qui, anche perché ho un documento importante proprio per lei. Ora mangiamo, e poi parliamo di tutto questo”.

Juno si sedette tra i ragazzi – Joshua stava finendo le medie, Solomon frequentava il liceo ginnasio – e chiese loro: “Da grandi che pensate di fare?”

“Io il medico”, rispose Joshua, e Solomon disse: “Io l’ingegnere”.

“Gran belle professioni!”, disse Juno, che aggiunse: “Quand’ero più giovane facevo l’avvocata. Ora mi godo la pensione”.

“Non si direbbe”, disse Mary, “Lei ha un aspetto così giovanile!”

“Merito degli ormoni?”, chiese sfacciatamente Joshua, e Victor e Mary gli lanciarono un’occhiataccia.

Juno però pensò che questo tipo di curiosità andava domata, non soppressa, e provò a rispondere educatamente: “No, Joshua, sono una trans MtF, ma non ho mai preso ormoni. Il seno che continui a guardarmi l’ho creato con il lipofilling. Mi hanno preso il grasso dalla pancia e lo hanno messo sul petto. Come puoi vedere, ce n’era tanto”.

Tutti risero, ma Mary volle puntualizzare: “Joshua, una donna trans non vuole che le si facciano queste domande. Hai avuto fortuna che hai incontrato Juno, che ti ha preso in simpatia e non ha reagito male”.

Joshua avrebbe voluto ribattere, ma capì che non era il caso; Solomon chiese invece a Juno se la sua “unita civilmente” Rebecca avrebbe avuto bisogno di un ingegnere nel suo studio.

“Attualmente no”, rispose Juno, “Ma, se sei in Seconda Liceo, dovrai aspettare almeno cinque anni per la laurea breve. Potrebbero essere cambiate molte cose. Ora ti do un biglietto di visita della mia metà, così la potrai contattare”.

“Vede, Juno”, disse Mary, “Ho dei figli che non aspettano di avere la laurea per informarsi sulla loro futura professione”.

“No problem. Ma la sua professione qual è, signora Mary?”

“Curiosamente, sono una dantista. Una specialista di Dante Alighieri che sta traducendolo in yoruba, anzi nella lingua solenne in cui sono stati tramandati gli Odù Ifà”.

“Sorbole!”, disse Juno, “Yemoja mi ha spiegato qualcosa di questo corpus oracolare. Dev’essere un’impresa titanica!”

“Non facile. Ma voglio dimostrare che la nostra lingua non ha niente da invidiare a nessuno”.

“La capisco. Sono ebrea e so quanto hanno lavorato molti intellettuali ebrei a cavallo tra il XIX ed il XX Secolo per arricchire lo yiddish, l’ebraico, e pure l’esperanto, con traduzioni di capolavori letterari da tutte le lingue del mondo. Mazal tov! Buona fortuna!”

“La nostra lingua è già in uno stato migliore – ma renderla capace di esprimere le sfumature della Divina Commedia sarebbe il mio sogno. Ma può darmi del tu, se vuole”, rispose Mary, e Victor aggiunse: “Anche a me”.

“D’accordo, Victor; d’accordo, Mary”, rispose Juno.

Parlando parlando, avevano finito di mangiare, e Mary ordinò a Joshua e Solomon di sparecchiare e mettere i piatti in lavastoviglie. I ragazzi capirono che era una scusa per allontanarli dal salotto, in quanto i loro genitori volevano parlare di cose riservate – e dopo aver ripulito la tavola, salirono nelle loro camere a studiare.

Victor aprì la busta di Yemoja, e disse: “Mary, mi sa che ho sbagliato a mangiare il tuo squisito stufato. L’appuntamento col chirurgo è domattina, e forse avrebbe preferito che digiunassi già da stasera”.

“Non credo”, disse Juno, “Altrimenti Yemoja ti avrebbe telefonato”.

“Però devo astenermi dal caffè”, rispose Victor, “Juno, mi spiace, lo devi bere da sola”.

“E sia”, disse Juno, “Ma non mi avevi detto che avevi un documento importante per me?”

“Hai ragione”, disse Victor, prima di alzarsi, prenderlo e porgerlo a Juno.

Juno cominciò a guardarlo e disse: “Sbaglio, o è una bozza di delibera?”

“Esatto. L’industria farmaceutica che Yemoja e la tua unita civilmente Rebecca vogliono costruire a Bosa può sorgere, con le precauzioni e limitazioni lì descritte”.

Juno esaminò attentamente il documento e disse: “Ok, possiamo erigerla dove abbiamo chiesto, e ci avete pure permesso di costruire un dissalatore”.

“O meglio”, puntualizzò Victor, “Prima il dissalatore, poi lo stabilimento. Sapete benissimo che Abbanoa, l’ente sardo di acquedotti, fognature e depurazione, lesina l’acqua alla città di Bosa, non riesce ad impedire che la tubazione dell’acquedotto si rompa più volte l’anno (ed ogni volta ci vogliono più giorni per la riparazione), e non voglio che i cittadini dicano che il vostro stabilimento li asseta”.

“Nemmeno noi, signor sindaco”, rispose Juno, e Victor continuò: “Leggi attentamente le produzioni che consentiamo”.

“Vedo, vedo”, rispose Juno, “Tu consenti che noi produciamo i farmaci che consentono di trasformare la placenta di ogni bambino in un albero da frutto (fotosintetico) che, piantato in terra, lo nutrirà per tutta la vita; consenti che produciamo placente arborizzate capaci di nutrire più persone – imparentate tra loro, oppure designate grazie all’ingegneria genetica – a partire da cellule staminali; non ci consenti però di dotare codeste placente arborizzate di uteri artificiali”.

“Allora”, spiegò Victor, “Sai che sono un conservatore e, dalle tue dichiarazioni pubbliche, credo che tu sia una socialdemocratica. Ma conservatore non vuol dire crudele, e mi ha sempre affascinato il versetto biblico di Michea 4:4: ‘Potranno sedersi ciascuno sotto la sua vite e sotto il suo fico, senza che nessuno li spaventi (…)’”.

“Piace molto anche a me”, disse Juno, e Victor riprese: “Ecco, le vostre placente arborizzate sembrano proprio la realizzazione del sogno di Michea. Certo, praticate prezzi un po’ alti: con 10 mila Euro, il prezzo di una placenta arborizzata per una singola persona, uno potrebbe far la spesa per oltre 13 anni!”

“Beh, la speranza di vita in Italia è di 85 anni per le donne, quasi 81 per gli uomini. Non è mica un cattivo affare!”, ribattè Juno, “E le versioni familiari e collettive hanno un rapporto qualità-prezzo migliore!”

“Certo – la placenta che può nutrire 120 persone, designabili inserendone il codice genetico, costa 450 mila Euro – ovvero 3.750 Euro a persona, che divisi per la sua speranza di vita fanno meno di 4 Euro a testa al mese!”, disse Victor, “Significa che il comune di Bosa, pur anticipando una bella somma, potrebbe nutrire i suoi poveri ad un prezzo irrisorio e con meno complicazioni burocratiche di adesso – ogni anno dovrebbe solo aggiornare l’elenco dei beneficiari, e ci penserebbe la placenta arborizzata poi a concedere e negare i suoi frutti a chi ne ha diritto o meno!”

“Non immaginavo che un sindaco conservatore parlasse così!”, disse Juno, e Mary spiegò: “Victor è un ammiratore di Friedrich August von Hayek, l’ispiratore del pensiero liberale moderno, e sostenitore, tra l’altro, del reddito di cittadinanza. A lui va bene prendersi cura dei poveri – vorrebbe però farlo nel modo meno costoso e meno burocratico possibile”.

Juno ci pensò un attimo e disse: “Da giovane, quando vivevo ancora da uomo, lavoravo in una banca multinazionale - ed ho imparato che, quando c’è una grossa spesa iniziale, ed un guadagno od un risparmio diluiti nel tempo, qualcuno cerca una forma di credito per diluire anche la spesa …”

“Mary, Juno sta cominciando a parlare la mia lingua!”, disse Victor; Mary sorrise, ed anche Juno, che riprese: “Scommetto che se noi concedessimo la placentona collettiva da 120 persone in leasing, in modo che il Comune di Bosa la pagasse che so, 600 Euro al mese, cioè 5 Euro a testa al mese e per beneficiario …”

“… Farei votare la delibera anche dagli assessori defunti, non solo da quelli in carica, anche a costo di evocare i marchesi Malaspina che nel 1100-1200 hanno costruito il castello che domina Bosa!”, rispose pronto Victor.

“Non scherzare, Victor”, disse Juno, “Perché di elettori che hanno votato dalla tomba in Italia ce n’è già stati. Diciamo che potremmo pensare ad una cosa del genere, se riusciamo a convincere una banca a mediare il leasing – pagandoci la placenta sull’unghia e concedendovela in leasing”.

“Lo sai che non è un problema, nemmeno in Sardegna”, rispose Victor, “E questo renderebbe più facile al mio elettorato accettare una cosa che in campagna elettorale ho sempre avversato”.

“Resta il problema degli uteri artificiali”, disse Juno, e Victor rispose: “Io ti capisco, anche perché so che hai due figlie intersessuali, con la Sindrome di Morris, ovvero di Completa Insensibilità agli Androgeni, e quindi prive di utero, ma il mio elettorato non digerirebbe l’idea di una gravidanza extracorporea”.

“Sono con te, Juno”, disse Mary, “Non ha senso opporsi ad un utero artificiale e poi ricorrere ad un’incubatrice per i bambini prematuri. E mi pare molto meglio usare l’utero annesso alla propria placenta personale del ricorrere alla gestazione per altri”.

“Grazie, Mary”, disse Juno, “Ma i vostri elettori a questo sono sordi”.

“Senti”, disse Victor, “Io sono riuscito a rimuovere dal programma elettorale originario tutti i riferimenti xenofobici ed omo-bi-transfobici. Solo mia moglie, i nostri figli [Juno trasalì], Yemoja e tu sapete che sono un trans, ma sono riuscito a spiegare che le persone di colore non sono inferiori alle bianche, che i mussulmani non sono peggiori dei cristiani, e che il matrimonio egualitario non ha fatto alcun danno. Credo di aver fatto già tanto”.

Mary chiese: “Tra l’altro, sbaglio o nel campo degli uteri artificiali siete ancora indietro?”

“Vero”, rispose Juno, “I farmaci per arborizzare le placente sono pronti per la produzione industriale, ma gli uteri artificiali li stiamo ancora sperimentando sui roditori, che hanno una placenta simile a quella umana. Ci vorranno ancora alcuni anni”.

“Oh, brava!”, disse Victor, “Vi consiglio di continuare la sperimentazione con discrezione, e quando saranno pronti, ricorrete agli argomenti di Mary per convincere l’opinione pubblica”.

Juno pensò un attimo e disse: “Tutto quello che proponi mi piace. Ne parlo con la mia ‘unita civilmente’, e dopo la convalescenza ne discutiamo. Intanto chiediamo al consorzio di banche che ci finanzia di suggerirci una società di leasing. In gamba e … a menzus biere!”

“A menzus biere!”, rispose Victor con un ottimo accento sardo.

Mary accompagnò Juno alla porta, ma questa non seppe rinunciare a chiederle: “Victor ha detto che Joshua e Solomon sono vostri figli”, e Mary precisò: “Lui ha riconosciuto i figli, ma mi ha fecondato il fratello di lui – con il metodo Saffron”.

“Cioè mettendo il suo sperma in una siringa. Grazie e scusa la mia indebita curiosità”, disse Juno.

Il mattino dopo, all’alba, Victor fu portato dalla moglie al reparto di ginecologia dell’ospedale di Bosa, dove lo avrebbero operato di endometriosi – una forma alquanto grave in cui l’endometrio si era diffuso in gran parte della cavità addominale, e che richiedeva isterectomia e “curettage”.

Non avendo egli mai avuto gravidanze, assunto contraccettivi orali, né subìto terapia ormonale sostitutiva, l’endometriosi non era stata mai bloccata – solo Yemoja, durante la campagna elettorale, gli aveva prescritto dei contraccettivi per rimandare l’operazione a dopo l’insediamento della giunta.

L’ospedale fece il possibile per mantenere la privacy di Victor – ricoverandolo in una stanza singola - ma Bosa ha meno di 8 mila abitanti, e gli oppositori da destra di Victor stamparono un volantino dal titolo: “Ginecologia ‘gender’ a Bosa?!?”, in cui era riprodotta una foto di Victor che entrava in lettiga dentro il reparto di ginecologia.

La direzione ospedaliera reagì con un laconico comunicato in cui si confermava che all’ospedale “Mastino” di Bosa ogni persona era indirizzata al reparto più adatto a lei, rifiutandosi di approfondire il singolo caso.

Victor tacque durante la convalescenza, e poi tenne questo discorso:

“Popolo di Bosa, io credo in voi e credo nel nostro ospedale, tant’è vero che, quando ho dovuto subire un delicato intervento, mi sono fatto ricoverare lì, per dimostrare che rintuzzerò sempre tutti i ricorrenti tentativi della Regione Sardegna di chiuderlo.

Sono un conservatore, ma non c’è modo di organizzare un mercato efficiente delle prestazioni sanitarie, e per questo la sanità privata costerà sempre più di quella pubblica – devo favorire perciò quest’ultima.

Alcune persone si sono stupite del fatto che io fossi ricoverato in ginecologia; ma può capitare che un uomo abbia le malattie di una donna, e che un reparto per signore sia il più adatto a curarle.

Ho pagato di tasca mia il privilegio di stare in una stanza singola come dozzinante, ma per tutto il resto sono stato trattato come un qualsiasi paziente. L’ospedale si è dimostrato bene attrezzato, ma ho notato che alcune cose si possono migliorare, e ne parlerò con l'ATS Sardegna (l'unica ASL dell'isola) nel mio prossimo viaggio a Cagliari.

A chi ha voluto angariare i miei familiari (perché li ringrazio per non avermi voluto turbare con questa pinzillacchera, per dirla con il grande Totò) con una fuga di notizie, ricordo che nemmeno in guerra è permesso attaccare il nemico ricoverato in ospedale.

Quello che hanno fatto li squalifica da ogni punto di vista, ed immagino che nessun cittadino vorrà mai affidare loro la cosa pubblica ed i dati sensibili che custodisce.

Di me non ho altro da dire; dopodomani la giunta comincerà ad attuare il programma concordato, con un’importante modifica: poiché i promotori dello stabilimento farmaceutico ‘Arbor Vitae’ hanno risposto in modo convincente alle nostre perplessità su ciò che sarebbe stato prodotto, sull’approvvigionamento dell’acqua e sull’impatto ambientale complessivo, verrà consentita la costruzione dello stabilimento.

Si prevedono 800 occupati a regime che andranno dal ricercatore addottorato al tecnico specializzato – molti di loro saranno nostri concittadini, e gli altri porteranno il loro sapere da tutto il mondo.

Per una città come la nostra è una manna, e spero che tutti apprezzino quest’opportunità – scoprirete che anche i diseredati tra noi ne trarranno profitto.

A dopodomani!”

[Fine]

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