martedì 5 settembre 2017

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[Inizio]

A forza di lipofilling, Juno trovava sempre più difficile acquistare vestiti che le stessero bene, ed aveva ormai deciso di farseli fare su misura dalla sarta Grazia. Però ogni capo le costava una cifra, tantopiù che Grazia era una perfezionista e, soprattutto quando si trattava dei reggiseni, voleva garantire eleganza e confort di prim'ordine.

Juno faceva anche una vita sedentaria, anche perché Giaele l'aveva rassicurata: è vero che più grandi sono le mammelle, più alto è il rischio di tumori, ma questo non vale per le mammelle sottoposte a lipofilling - il grasso aggiunto non aumenta il rischio.

Non ci era voluto molto per Juno per decidere di stare nuda in casa e vestirsi solo per uscire o ricevere ospiti - in modo da risparmiare sui vestiti e sulla biancheria. Rebecca aveva approvato, e pure deciso di svestirsi anche lei in casa.

Questo rendeva più facile per Juno e Rebecca dedicare ogni momento libero prima alla raccolta dello sperma di Juno con un "collection condom", e poi al concepimento di Dina - essere nude significava, nel loro caso particolare, comunicare disponibilità ed agire con rapidità.

Lo svestimento dilagò: dopo il matrimonio, Rebecca non abitava più insieme con le sorelle, ma ognuna di loro tre occupava un appartamento nella medesima palazzina - quello che sarebbe dovuto essere il quarto appartamento era stato invece allestito a negozio, rimasto per il momento vuoto.

Rebecca, Debora e Giaele continuavano a fare l'amore insieme, almeno una volta al giorno, e poiché in quella palazzina raramente entravano estranei, alla fine anche Debora e Giaele, abituate ormai ad incontrare la sorella Rebecca sempre nuda, si spogliarono anche loro.

Juno ammise di trovare carine le cognate, ma le guardò e si lasciò guardare da loro in modo distaccato, si potrebbe dire professionale. Quando nacquero le bambine, prima Rachele da Debora, poi Lia da Giaele, ed infine Dina da Rebecca, nacque la complicazione del prendersi cura di loro mentre le madri si divertivano insieme.

Juno si offrì come baby sitter, e lei e le bambine, nude tutte e quattro, giocavano volentieri insieme per pomeriggi interi.

"Perché lo fai?", le chiese un giorno la counselor Gonaria, con cui Juno si era confidata, e Juno rispose: "Non è che gli orgasmi che ha con le sorelle Rebecca non li ha con me. Al contrario, quanto più ama le sorelle, tanto più ama me".

Quando Dina ebbe due anni, e si cominciò pian piano a svezzarla, e Lia tre anni, e Rachele quattro, le loro quattro mamme (Juno era un'MtF non operata, ed aveva fecondato le tre sorelle - Debora e Giaele con la fecondazione assistita, Rebecca, civilmente unita a lei, imitando Adamo ed Eva) decisero che era il momento di cominciare a frequentare l'ambiente naturista.

Si iscrissero perciò alla Federazione Naturista Italiana (Fenait) attraverso una delle associazioni affiliate, e, ricevuta la tessera della Federazione Naturista Internazionale (FIN/INF), decisero di andare in vacanza in un campeggio naturista all'estero.

Purtroppo lì Juno non ricevette un bel benvenuto. Essere un naturista di lungo corso non vuol dire essere esente da transfobia, e diversi clienti del campeggio, vedendo le abbondanti mammelle di Juno accompagnarsi ad un pene di media misura maschile, ne furono scandalizzati.

Alla fine, la direzione chiese a Juno di coprire la "vergogna", ma Juno rispose: "Guardi che peggiorerebbe la situazione! Se l'immagina quante TERF, che ora semplicemente guardano altrove quando passo vicino a loro, ne approfitterebbero per chiedermi: 'Come? Hai il ciclo? Perché non porti la coppetta, che è più ecologica?'?"

La direzione fu irremovibile, e Juno e famiglia allargata tornarono in Sardegna. Nelle spiagge per tradizione appannaggio dei naturisti, la famiglia trascorse magnifiche vacanze, senza episodi transfobici, ma tutte le adulte meditarono vendetta.

La banca del seme Aspermer, pur offrendo condizioni economiche più gravose della concorrenza (erano i maschietti a dover pagare profumatamente per la conservazione del seme, mentre le femminucce pagavano appena le spese vive), era economicamente attiva e stava rendendo felici molte persone che non sarebbero altrimenti diventate padri o madri.

Questo convinse Juno a chiedere all'unita civilmente Rebecca, ed alle cognate Debora e Giaele, se non si poteva fondare un circolo naturista - d'estate sarebbe stato attivo in una spiaggia in concessione, d'inverno nel negozio ora vuoto trasformato in bar.

Debora e Giaele dissero che non avevano nulla in contrario, e toccava a Rachele dire sì o no. Rachele espresse delle perplessità: "In questa città ogni anno chiude un bar, e se vogliamo evitare che il bar che vuoi aprire si riempia di guardoni o peggio ancora maniaci, occorre creare un club privato in cui si entra con la tessera FNI/INF. E già gestire un comune bar in questa città è economicamente difficile; tenere in piedi questo club può essere impossibile".

"Però potrebbe attrarre gente da tutta la Sardegna."

Rebecca cominciò a fare ricerche sul web, da cui risultò che nei paraggi di Milano esiste un ristorante che un giorno la settimana offre cene naturiste. Prima ancora un ristorante simile era stato aperto a Londra, ed uno curioso, in cui dei giovanotti (non solo maschi) nudi fanno da tavoli per clienti che si siedono come mamma li ha fatti, c'è a Tenerife.

"La Sardegna ha appena 1 milione 653 mila abitanti - poco più di Milano (1 milione 369 mila)", osservò Rebecca, "Ma non ho idea di quanta gente voglia frequentare un locale naturista nell'isola.".

"Si fa sempre in tempo a riconvertire il bar in un locale qualsiasi", osservò Juno, ma Rebecca si mostrò scettica: "Appunto, uno di quelli che in questa città fatica a campare. No, amore, qui o la va o la spacca!"

"E se facessimo un ristorante? La gente non viene dall'altro capo dell'isola per un drink - viene per una cena speciale. I locali che hai elencato sono appunto dei ristoranti".

"Aprire un ristorante costa di più, e c'è già molta concorrenza qui", rispose Rebecca, "Un locale tipico sarebbe molto interessante. Lo facciamo un ristorante kasher naturista?"

Juno scoppiò a ridere, e spiegò a Rebecca: "Un ristorante kasher ha bisogno di un 'mashgiach = ispettore'. Ma l'ispettore non bada solo ai cibi ed alla loro preparazione - bada anche a quello che si fa nel locale. Un ebreo non può stare nudo in pubblico, secondo l'ebraismo ortodosso (i più osservanti si cambiano le mutande sotto una coperta, per far capire all'Eterno che vorrebbero celare le proprie nudità anche al Suo sguardo), e trovare un 'mashgiach' disposto a certificare un locale naturista è più difficile che trovare un gatto che ami fare il bagno".

"Esiste il gatto turco nuotatore. E gli ebrei non ortodossi?"

"Non hanno mai creato un corpo di 'mashgichim = ispettori', anche perché ritengono la kashrut meno importante. L'idea del ristorante kasher naturista è buona, ma per fare a meno del 'mashgiach' deve servire solo cibi che anche l'inesperto che non ha messo piede in cucina riconosce come kasher".

"Cioè?"

"Sostanzialmente, cibi vegani e crudi. E se la cucina avesse una parete trasparente in modo che i più diffidenti possano vedere come viene preparato il cibo, sarebbe molto meglio".

"Beh, detta così, sembra impresa fattibilissima."

"Pane e vino sono invece un serio problema: devono essere certificati come kasher. La birra non può essere servita negli otto giorni che seguono la Pasqua ebraica".

"Benissimo. E nei giorni di digiuno ebraici teniamo chiuso."

"Chi prepara il cibo, però?", chiese Juno e Rebecca rispose: "Tua è l'idea, tu la realizzi. Se non si cucina, è anche più difficile che tu ti faccia male!"

"Certo, non rischia di schizzarmi il sugo caldo sul davanzale!"

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