mercoledì 27 settembre 2017

Juno.00004.009 - Mariscuola Maddalena - 009


A gran velocità Juno preparò le valigie, e non appena ebbe finito provò ad offrire i suoi seni a Dina, che a dire il vero era stata già saziata da Rebecca, quindi bevette solo qualche sorso.

"Rebecca, puoi vuotarmi il seno?", chiese allora Juno, "Temo mi venga la mastite", e Rebecca provò ad accontentarla. Dina, vedendo che la mamma si era attaccata ad una mammella di Juno, volle attaccarsi nuovamente all'altra (ed a Rebecca poco mancò che le andasse il latte di traverso dal ridere), e così anche Juno potè svuotare il seno e non correre rischi per la sua salute.

Le tre si vestirono, e partirono. Dina mangiava già cibi solidi, ma quel mattino non c'era stato il tempo di fare una colazione regolare, per cui, prima di entrare a Pavia, Rebecca e Juno nutrirono Dina, una dopo l'altra.

Dopo però Rebecca dovette iniziare uno spiacevole discorso: "Ho una fame lupina. Saziare una bimba che ormai ha tre anni richiede molta energia".

"E purtroppo stamattina non abbiamo avuto il tempo di preparare il pranzo al sacco, come facciamo di solito", aggiunse Juno, "Che si fa?"

"Potremmo andare in un supermercato e comprare la frutta e la verdura che ci servono per il pranzo e la cena", osservò Rebecca, "e mangiarla nel parcheggio del supermarket".

"E ce la danno l'acqua per lavare il cibo?", osservò preoccupata Juno, al che Rebecca rispose: "Non è detto. Potremmo comprare dell'acqua minerale, ma mi pare assurdo e poco pratico".

"Cerchiamo allora un ristorante vegano nei dintorni", disse Juno, "Ci serviranno probabilmente cibi cotti, ma per questa volta pazienteremo".

Google lo trovò, e per fortuna il cibo era buono; Juno si fece apprezzare da uno dei cuochi (che non riusciva a togliere gli occhi di dosso dal suo davanzale), ma non dall'altro, al quale Juno continuava a chiedere come era stato preparato il cibo - voleva sapere se era il caso di aggiungergli degli integratori, e risultò che era proprio il caso: il ristorante preparava cibi per chi mangiava occasionalmente vegano, non per chi viveva da vegano.

Mentre Dina mangiò una sola porzione (ma da adulta!), Juno e Rebecca dovettero concedersi un bis ed un ter, per la fame che avevano; il cuoco provò a suggerire loro una birra, ma loro rifiutarono - la birra era analcolica, e quindi non creava rischi per Dina, ma la birra è una bevanda cotta, e Juno e Dina cercavano anche in quell'occasione di evitare il cotto.

"Semmai", chiese Juno, "Ci potete portare dell'acqua tiepida? Ci prepariamo un infuso di caffè verde".

Il caffè verde è caffè non torrefatto, quindi crudo - non è facile trovare negozi che lo vendano in Italia, e Juno, caffeinomane da sempre, lo ordinava online per poterlo bere senza trasgredire al crudismo.

Pagato il conto, le tre ragazze fecero una passeggiata per Pavia (la basilica di San Pietro in Ciel d'Oro è chiusa da mezzogiorno alle tre), ammirando la città, e pure le melusine (sirene a doppia coda) sul portale della basilica di San Michele Maggiore, ma verso le due dovettero tornare al loro furgone frigorifero: da una parte Dina voleva altro latte, dall'altra Rebecca e Juno sentivano il bisogno di svuotare i loro seni.

Il furgone sembrava più appartato di una panchina, ma mentre Juno stava dando la sua razione a Dina, un poliziotto la importunò bussando al vetro del furgone.

Juno pensò: "Lo so che passo male, ma questa volta ho tutti i documenti per dimostrare che sto nutrendo mia figlia", e non aspettò che il poliziotto le facesse delle domande - glieli mise davanti al naso.

"Non è un po' cresciuta sua figlia perché lei la nutra così?", provò ad intromettersi il poliziotto, e Juno rispose: "Mi dice sempre così mia moglie quando le chiedo di farmi da mangiare. La differenza tra me e mia figlia è solo tecnica, signore".

Il poliziotto decise di lasciar perdere; terminato l'allattamento, le tre ragazze poterono recarsi alla basilica, di cui apprezzarono molto i tesori artistici - tra cui la statua di Sant'Agostino dormiente realizzata dallo scultore sardo Pinuccio Sciola.

Spiegò loro infatti la guida: "Re Liutprando, prima di passare a miglior vita nel 744, aveva comprato (lo dice Beda il Venerabile, ripreso da Paolo Diacono) a gran prezzo le spoglie del santo, in un anno compreso tra il 712 ed il 725. Fino a quel momento le spoglie erano conservate in Sardegna, isola solo nominalmente soggetta all'Impero bizantino - in realtà del tutto indifesa dai saraceni.

Essi non erano riusciti ad invadere l'isola (un'invasione che sarebbe potuta durare sarebbe stata compiuta da Mujahid al-'Amiri, noto anche come Musetto, verso il 1015), ma la razziavano di frequente, e Liutprando pensò bene di acquistare la salma di Agostino - le fonti non ci dicono se dai sardi o dai saraceni.

Questo ha legato la città e l'isola, e la scultura di Sciola è stato solo uno dei modi in cui si è espresso il legame".

La guida non seppe però rispondere alla domanda di Juno: "Si sono trovati dei reperti in fondo al pozzo? A Sardara c'è una chiesa con un pozzo dentro, altrettanto antica ma assai meno adorna, ed in quel pozzo si sono trovati reperti interpretati come offerte all'antica divinità venerata nel pozzo".

La guida seppe solo dire che era incerta l'origine e l'età di quel pozzo, che alla sua acqua si attribuivano doti miracolose, e che le melusine sui capitelli della chiesa facevano pensare appunto ad un antico culto delle acque. Ma un mistero simile, osservò, ammanta i pozzi sacri sardi, perché non ci è stato tramandato nulla che ne chiarisca la funzione originaria - la suppongono gli archeologi sulla base della forma e dei reperti dentro ed intorno a loro.

"Lei conosce i pozzi sardi?", chiese Juno, e la guida rispose: "C'è un attivo circolo di sardi a Pavia. Lei non è la prima a notare le affinità tra il nostro pozzo ed i vostri".

Un'altra guida si intromise: "C'è un'altra cosa che vorrei farle notare. Io vengo dall'Africa, non posso nasconderlo, e le posso dire che quelle che voi chiamate 'melusine' somigliano tanto a Yemoja, una dea Yoruba che è la madre di tutti gli Orisha, abita le acque e protegge le donne".

"Santo cielo!", disse Juno, "Lei mi sta dicendo che per saperne di più dovrei andare in Nigeria!"

"Od in Brasile, o ad Haiti, od a Cuba, od in Uruguay. La tratta degli schiavi ha diffuso le religioni africane in tutta l'America latina!"

"Sconvolgente!", disse Rebecca, "Pensavo entrando qui di trovare un parallelo tra la presunta dea madre sarda e le melusine celtiche, ed invece trovo un fenomeno culturale molto più vasto!"

"Sheela Na Gig non ti ha portato fortuna, anche se qui ci sono molte sue raffigurazioni", osservò Juno.

"Oh ...", disse Rebecca, "Devo correggerti. Mi spiace, ti ho fuorviato io".

"Spiegati", chiese Juno stupito, e Rebecca spiegò, "Debora, la laureanda in lettere, è la studiosa di queste cose in famiglia. Mi ha spiegato che Sheela Na Gig non è ... forse è meglio che usciamo dalla chiesa prima che te lo spieghi".

Le guide dovevano aver mangiato la foglia, a giudicare dagli sghignazzi repressi, ma Juno, Dina e Rebecca le ringraziarono e le salutarono, ed una volta fuori Rebecca finì il discorso: "La tradizionale interpretazione di 'Sheela Na Gig' come 'Giulia dalle Tette' è sempre più messa in discussione, anche perché non è che queste immagini mostrino tutte una tettona. Tutte mostrano invece una donna che si spalanca una mega vulva con le mani! O perlomeno la mette in bella mostra! Ed in modo tanto grottesco che l'effetto è più comico che erotico!"

"E 'gig' cosa vuol dire allora?"

"Pare proprio che voglia dire 'fica'! Nello slang dei dialetti inglesi del nord e del gaelico d'Irlanda".

"Lo avesse scoperto Giaele, la tua sorella neurochirurga e nutrizionista, lei avrebbe detto che non si deve confondere la patata con i meloni!"

Rebecca scoppiò a ridere ed osservò: "Vero, ma l'ipotesi tradizionale è quella più citata e facile da trovare. Secondo te, quando l'archeologo Giovanni Lillìu ha ricostruito il pozzo sacro di Santa Cristina a Paulilatino, dandogli una scala trapezoidale che si allarga verso l'esterno, assolutamente atipica, a che cosa stava pensando?"

"In effetti la scala degli altri pozzi è rettilinea e stretta ... ok, non è una 'Sheela Na Gig', ma la simbologia è sempre quella".

"Esatto. La 'Sheela Na Gig' somiglia alle melusine, perché queste ultime, afferrandosi e divaricandosi le code per il punto in cui io e te abbiamo le caviglie, non possono evitare di mettere in mostra la loro nudità - probabilmente le prime hanno ispirato le seconde".

"Va bene, prenoto per il prossimo anno un viaggio all'estero. Brasile o Nigeria?"

"Brasile. Spero di non dovermene pentire, visti i rigurgiti omofobici degli ultimi tempi".

Sull'autostrada da Pavia a Genova, fu Rebecca a guidare, mentre Juno faceva una ricerca in Internet col telefonino e Dina trovava più comodo appoggiarsi alle sue tette che allo schienale del seggiolino (Rebecca aveva gentilmente, ma più volte, respinto i suoi approcci, perché le braccia le servivano appunto a guidare).

"Forse è meglio fare prima il giro d'Irlanda", disse infine Juno.

"Perché?"

"Una pagina web avverte che le 'Sheela Na Gig' si trovano non solo nelle chiese, non solo in edifici profani (perfino nelle stalle! forse dovevano augurare la fertilità al bestiame), ma perfino nei pozzi sacri irlandesi!"

"Pozzi sacri irlandesi?!?"

"Da quel po' che ho visto, hanno una storia molto più articolata dei pozzi sacri sardi, ed il loro riutilizzo nel cristianesimo è stato la regola. Anzi, c'è un almeno pozzo, quello di Tobernalt, presso il quale, tra la fine del '600 e l'inizio dell''800, quando le persecuzioni anticattoliche in Irlanda divennero particolarmente feroci, si celebravano messe e sacramenti clandestinamente (perché il pozzo è su una collina, ed una vedetta poteva avvisare per tempo se arrivavano le truppe inglesi), e la cui acqua veniva usata in esse. E questo pozzo è tuttora meta di pellegrinaggi".

"Il culto vecchio ha sorretto quello nuovo", osservò Rebecca, "accosto e mi mostri quel pozzo".

Juno le porse il telefonino, ma disse anche: "Guarda anche la seconda scheda del browser, con foto di vari pozzi sacri irlandesi!"

Rebecca lo fece e disse: "Sorbole! Somigliano molto a quelli sardi, anche se sono posteriori di diversi secoli - i Celti sono arrivati in Irlanda verso il 500 AEV, in piena Età del Ferro, quando il fenomeno dei pozzi sacri in Sardegna, scavati alla fine dell'Età del Bronzo, si stava ormai esaurendo".

"Vedo se riesco a comprare un camper che ci permetta di girare l'Irlanda! Ed anche in altre parti della Gran Bretagna con forte influenza celtica (Galles, Cornovaglia, Scozia) ci sono pozzi simili, più antichi di quelli irlandesi e forse coevi a quelli sardi".

"Come diceva Balzac, 'Vuoi essere uno scrittore di valore universale? Racconta il tuo villaggio!'", osservò Rebecca, "Abbiamo cominciato con l'appassionarci di pozzi sacri sardi, ed abbiamo trovato motivo di recarci in futuro in Gran Bretagna ed Irlanda, Nigeria e Brasile".

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