mercoledì 25 ottobre 2017

Juno.00006.020 - Trinidad - 020


Giaele telefonò alla badante, con cui combinò un appuntamento con lo zio Giacomo. Questi risultava discretamente attivo la mattina, e decisero di andare a trovarlo il lunedì successivo verso le nove - la sera tutte avevano pernottato a Sassari, all'alba avevano acquistato i cibi per i ristoranti vegani crudisti di Bosa ("Pardes Rimmonim = Giardino dei melograni", che era anche naturista) e de La Maddalena ("Ohel Mo'ed = Tenda dell'incontro"), e potevano presentarsi dallo zio.

Era una bella giornata, e lo zio si era fatto portare sul balcone per godersi il sole, la brezza ed il panorama. Non ci vedeva più bene già da prima di ammalarsi di tumore, e riusciva a distinguere le nipoti Rebecca, Giaele e Debora solo dalla voce. Quando gli dissero che erano venute in visita anche la nigeriana Yemoja e la cinese Xiuhe, egli disse di essere contento che il mondo fosse venuto a trovarlo, perché sentiva che loro gli davano energia positiva.

Oltre alle adulte, erano venute anche le bambine (Oshun e Xuannu dovevano essere allattate, e le madri di Rachele, Lia e Dina avevano preferito portare con sè le loro figlie all'affidarle ad una baby sitter). Per portare tutte queste persone, si era resa necessaria la macchina nuova di Yemoja e Xiuje, in aggiunta ai furgoni frigorifero dei ristoranti (ognuno con tre posti a sedere), e Giacomo fu molto contento di conoscere anche le bimbe.

Giacomo chiese ad ogni adulta la professione (quella di Giaele la conosceva già), e quando Juno gli disse che era un'avvocata in pensione, Giacomo pensò un attimo e poi le disse: "Posso chiedere un consiglio legale?"

"Se non è cosa complicata", rispose Juno, e Giacomo chiese: "Tempo fa ho fatto testamento, ma chi doveva essere mio erede è morto. Il testamento non è più valido, vero?"

"Eh, no!", rispose Juno, "Il testamento è sempre valido. Se chi lei ha designato ha avuto dei figli, o comunque dei discendenti, questi ereditano al suo posto".

"Non è giusto! Io e chi volevo che ereditasse siamo stati molto amici, anzi, di più; ma i suoi figli ci hanno sempre trattati a pesci in faccia. Bisogna stracciare quel testamento. Lo può fare lei?"

"Distruggere il testamento degli altri è un reato", rispose Juno, che continuò, "C'è una soluzione che non compromette nessuno e mette tutti in una botte di ferro: chiamiamo un notaio, gli detta un 'testamento pubblico', in cui precisa che tutti i testamenti precedenti sono revocati, e designa erede chi vuole lei. In questo modo lei è sicuro di chi avrà l'eredità".

Giacomo ci pensò un attimo e disse: "Mi pare una buona idea. Se riesce a far arrivare il notaio in mattinata è meglio, perchè di pomeriggio mi ricordo a malapena di respirare".

Rebecca conosceva i notai del distretto da quando faceva l'agente immobiliare, riuscì a trovarne uno pronto a precipitarsi da Giacomo. Il notaio vide che lui, pur gravemente colpito dalla malattia, era comunque in grado di intendere e volere, e disse: "Il testamento lo faccio, ma ci vogliono due testimoni. Le nipoti del signor Giacomo non possono farlo, Juno è civilmente unita a Rebecca, quindi neppure lei, le bambine sono ovviamente troppo piccole".

Yemoja e Xiuhe non avevano la cittadinanza italiana, ma erano regolarmente residenti in Italia (Yemoja in quanto rifugiata, Xiuhe aveva ottenuto il ricongiungimento familiare con Yemoja durante la loro gravidanza), conoscevano bene la lingua, non avevano parentela od affinità con nessuna (il semplice andare a letto non apparenta) e quindi funsero da testimoni.

Giacomo seppe dal notaio che in mancanza di testamento i suoi beni sarebbero andati alla sorella defunta, e quindi, per rappresentazione, alle figlie di lei Rebecca, Giaele, Debora; Giacomo disse che gli andava bene così, e che questo doveva stabilire il testamento - con l'ulteriore avvertenza che ogni testamento precedente era revocato in toto.

Il notaio scrisse, lesse il testamento, Giacomo approvò e scarabocchiò una firma (di più non sarebbe riuscito a scrivere); Yemoja e Xiuhe aggiunsero la propria, e Giacomo congedò tutti, sopraffatto dall'impegno imprevisto, ma contento per aver risolto un serio problema, e si mise a dormire soporitamente.

"Sapete chi poteva essere lo sfortunato erede di Giacomo?", chiese incuriosita Juno, e Rebecca rispose: "Immagino sia un suo cugino che, rimasto vedovo, ha preso coscienza della propria bisessualità. I figli non l'hanno mai presa bene, e Giacomo ora li ha voluti punire".

Giaele chiese a Yemoja: "Ti piace questa proprietà?", ed ella rispose: "Non è adatta ad un 'terreiro', anche perchè nei riti degli Orisha si suonano i tamburi per invocarli ed invitarli a possedere gli iniziati in una trance. Non possiamo disturbare i vicini con i tamburi, e tantomeno chi viene a messa nella chiesa vicina. Non ci fanno del male, perchè dar loro fastidio?"

"Non se ne fa niente, dunque?", chiese Juno; Yemoja le fece cenno con una mano, come per dire: "Ti rispondo dopo", e chiese a Debora: "Davvero il tuo libro di testo mostra 'terreiros' simili a questa proprietà?"

Debora rispose: "Mi sono confusa con un'altra proprietà dello zio che ho visitato tempo fa", e Rebecca intervenne: "Giusto, c'è un terreno agricolo ad alcuni chilometri da qui. Me ne ero dimenticata perchè in Italia catasto fabbricati e catasto terreni sono separati, ed io per abitudine consulto solo il catasto fabbricati".

Yemoja disse: "Ecco, prima di partire ho consultato l'opelè Ifa, l'oracolo, e questo mi ha detto che Giacomo aveva qualcosa di valore per gli Orisha - ma non poteva essere certo questa casa. La chiesa sarebbe stata perfetta, ma è dei cristiani cattolici, e gli Orisha non vogliono certo usurparla - i cattolici possono continuare a pregarvi in eterno".

"Non è che la casa di Giacomo possa essere comunque un utile punto di appoggio per eventuali devoti del candomblè pronti a venerare Yemoja nelle vesti della Stella Maris?", chiese Debora, e Yemoja disse: "Un circolo culturale dedicato al 'Maafa = Olocausto nero (di cui fa parte la tratta degli schiavi)' qui lo si può anche fare - ma un 'terreiro' è un'altra cosa".

"Che pensi di fare?", chiese Xiuhe, e Yemoja rispose: "Alla fine, spostare la banca dello sperma mi pare inutile - la sua sede è già adatta alla bisogna; e così pure il ristorante. Possiamo però aprire qui i nostri studi medici, abitarvi, e magari aprire anche il circolo culturale di cui si parlava. Si può vedere il terreno agricolo?"

Rebecca guidò la carovana verso il terreno, e Yemoja ne fu molto soddisfatta: era un orto e frutteto su un grande appezzamento pianeggiante, il cui confine occidentale era a picco sul Mar di Sardegna - non solo si aveva una magnifica vista sul mare, ma chi voleva farsi il bagno poteva scendere su una piccola spiaggia grazie a delle scale che Giacomo aveva fatto scavare nella roccia; oltre al terreno coltivabile, il campo aveva una piccola costruzione che conteneva una cucina, un bagno, il ripostiglio degli attrezzi, una legnaia, e pure la rimessa per un trattorino.

"La costruzione dovrà essere ingrandita per fare da 'barracao = sala dei riti', ma vedo che basterà solo un po' di accortezza per coltivare qui le erbe medicinali necessarie", disse Yemoja, subito precisando: "Non subito, però. Non basta un''Iyanifa = indovina' come me per far funzionare un 'terreiro', e non posso fondarne uno senza autorizzazione delle autorità della mia religione. Ci vorrà tempo per tutto questo".

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