domenica 25 febbraio 2018

Juno.00010.000 - Cabotaggio - 000

[Inizio]

Lo stabilimento farmaceutico "Arbor Vitae", che doveva produrre le macchine per arborizzare le placente, fu infine costruito sulla riva sinistra del fiume Temo, a monte del ponte nuovo (sulla strada Alghero-Bosa), su dei terreni agricoli pagati a caro prezzo.

Non si era reso necessario dissalare l'acqua del vicino mare - la portata minima del fiume Temo era sufficiente per le esigenze dello stabilimento, ma ci volle un grande impianto di potabilizzazione.

Molte case vicine allo stabilimento erano strutture turistiche in crisi, e furono acquistate e trasformate in alloggi per i dipendenti; i laboratori e gli uffici furono invece scavati all'interno degli speroni di roccia che da un colle si protendevano verso lo stabilimento - preservando perciò il panorama.

L'inaugurazione fu una grande festa con danze sarde e dei cinque continenti, in cui il sindaco Victor Basenji si dimostrò assai bravo; ma qualche sera dopo accadde un incidente.

Un autoarticolato che trasportava materie prime per lo stabilimento scendeva la strada da Sindia a Bosa, e la stava percorrendo correttamente; ma al penultimo tornante un'auto che invece risaliva tentò di tagliare la curva schiantandosi contro il mezzo pesante.

L'autista dell'autoarticolato si era proteso in avanti per veder meglio la curva, e lo schianto gli fece battere la testa contro il parabrezza, provocandogli una concussione cerebrale che lo stordì per mezzo minuto.

Per fortuna Juno aveva insistito che ci fossero due autisti su ogni autoarticolato, ed il secondo autista, tirando il freno a mano, impedì che l'autoarticolato finisse nel burrone spingendo davanti a sé l'auto.

Meno fortunati erano i ragazzi dell'automobile - si era purtroppo rotto il condotto del carburante, provocando un principio d'incendio, che fu prontamente spento dai due autisti dell'autoarticolato, dotato di estintori.

Fu a quel punto possibile chiamare le ambulanze per soccorrere i ragazzi ed i vigili per i rilievi legali ed assicurativi; fortunatamente la strada non era molto frequentata di notte, e non ci furono grandi disagi.

All'ospedale Mastino di Bosa giunsero Juno Dejana e Victor Basenji: il primo perché l'autoarticolato (che aveva potuto poi raggiungere lo stabilimento da solo, guidato dall'autista illeso) era dell'azienda farmaceutica, e voleva visitare l'autista con la concussione; il secondo perché al volante dell'auto c'era suo figlio Solomon.

La luogotenente dei carabinieri Giovanna ed il primario del pronto soccorso Giacomo spiegarono che era successo: l'autoarticolato era rimasto nella sua corsia, ed era stata l'auto ad uscirne - quindi torto marcio di chi ne era al volante, tantopiù che la sua alcolemia era oltre i limiti di legge!

Per fortuna, nessuno si era fatto seriamente male: la concussione aveva provocato solo un breve stordimento, non si rinvennero alterazioni neuroanatomiche, e quindi fu classificata come lieve, e meritò all'autista solo venti giorni di riposo; i ragazzi nell'auto erano giovani e robusti, e se la cavarono con un po' di contusioni meritevoli di bendaggio e riposo.

L'autoarticolato fu possibile ripararlo, l'automobile no - l'incendio aveva gravemente danneggiato il motore.

Juno disse a Victor: "Mi spiace. Se ti tocca affrontare delle spese conta su di me", ma Victor rispose: "Non dirlo neanche per scherzo: ha sbagliato mio figlio, pagherà lui i danni. Semmai, nel consiglio comunale di domani ci sarà sicuramente chi dirà che quest'incidente dimostra che lo stabilimento non si doveva fare".

"Ho preso tutte le precauzioni. I miei automezzi circolano di notte apposta per non congestionare la piccola strada che abbiamo e ridurre il rischio di incidenti", ribattè Juno.

"Te ne do atto, ed il comportamento dell'autista che, pur con una concussione, ha afferrato l'estintore ed aiutato il collega a salvare i ragazzi ci aiuterà molto. Però bisogna trovare una soluzione!"

"Costruire una superstrada fino a Macomer che si innesti sulla Carlo Felice è impossibile", osservò Juno, "Potremmo provare ad usare la ferrovia, su cui ora viaggiano solo treni turistici, anche per il trasporto merci".

Victor aggrottò il sopracciglio, piegò la bocca facendola sembrare quella di un bulldog e disse: "Nemmeno nel mio paese, la Nigeria, le ferrovie sono così malconce. Non ci sperare".

Rebecca, l'ingegnera unita civilmente a Juno, le disse poi: "Non conosco quella ferrovia. Prendiamo il primo treno turistico fino a Macomer, e così vedo che si può farne".

Quando però i due si recarono in biglietteria, mentre Juno stava allungando il denaro al bigliettaio, Rebecca guardò i binari e bruì come una tigre a cui stanno insidiando i cuccioli.

"Che succede?", chiese Juno, e Rebecca rispose: "Non c'è bisogno che compriamo i biglietti. Ho già capito tutto. Victor aveva ragione". Rebecca trascinò Juno sul marciapiede e le disse: "Guarda come sono unite le rotaie alle traversine!"

"Santo pisello! Ogni piastra guida prevede quattro chiavarde, ma ne hanno messe solo due!", notò Juno, e Rebecca insistè: "Le traversine sono di legno, e le rotaie inoltre sono 27 UNI - troppo leggere per un treno merci come serve a noi, che trasporta container da oltre 30 tonnellate l'uno!"

"Se salgo su uno di questi treni, il peso delle mie tette lo fa deragliare alla prima curva", concluse Juno, facendo ridere Rebecca, che disse: "Rifare la ferrovia costerebbe troppo; occorre passare al cabotaggio!"

"Cabotaggio" significava per lei procurarsi delle piccole navi portacontainer capaci di fare la spola tra Bosa e Cagliari - in quel porto i container sarebbero stati trasbordati sulle portacontainer oceaniche dirette in tutto il mondo.

Il fiume Temo è considerato navigabile, ma c'era un grosso inconveniente.

"Amore, che regime politico ha l'Italia?", chiese Rebecca a Juno, e questa rispose: "Dal 1946 è una repubblica. Perché?"

"In Veneto direbbero che è ancora una monarchia, perché sempre governata dai 'mona'".

["Mona" in veneto ha lo stesso significato dell'inglese 'cunt': indica sia quello che distingue le donne dagli uomini, sia un pezzo d'idiota].

"Spiegati meglio", chiese Juno, e Rebecca spiegò: "A Bosa ci sono tre ponti sul fiume Temo. Quello più a monte fu costruito nel 19° Secolo, non vale granché, ma è abbastanza a monte da non ostacolare più di tanto la navigazione fluviale. Poi alla fine degli anni '90 hanno costruito il ponte automobilistico sulla provinciale Bosa - Alghero, e l'altezza sull'acqua non supera i 6 metri; idem il ponte pedonale costruito tra i due all'inizio degli anni 2000".

"Sono pochi 6 metri?"

"Sissignore. Un vascello fluviale odierno, classe CEMT Va, che può trasportare 96 container "High Cube", e da solo sostituisce appunto 96 autoarticolati, ha bisogno di un'altezza di 12 metri. Chi ha costruito quei ponti ha deciso di impedire alla città di Bosa di diventare un porto fluviale serio. Possiamo usare solo vascelli di classe CEMT III, che non sono convenienti rispetto agli autoarticolati, perché possono trasportare solo 12 container".

"Fammi vedere un po' i manuali", disse Juno, che dopo averli guardati chiese a Rebecca: "È solo l'altezza il problema? Non anche lunghezza, larghezza e pescaggio?"

"Solo l'altezza".

"La soluzione c'è, anche se spiacevole: per portare 96 container, un vascello classe CEMT Va li deve disporre su 4 strati, e per forza raggiunge un'altezza di quasi 12 metri. Se noi ci accontentiamo di 2 strati di container, sulla nave carichiamo comunque 48 container, ma l'altezza è un po' inferiore a 6 metri, e sotto quei vituperati ponti ci passa!"

Rebecca riguardò i manuali e concluse: "Brava Juno! Hai risolto il problema!"

"Inoltre", osservò Juno, "Una nave che viene forzatamente e poco proficuamente caricata a metà mostra chiaramente l'inadeguatezza dei ponti e di chi li ha costruiti, molto più di una nave piccina stracarica come sarebbe una di classe CEMT III. Un po' di politici bosani e sardi si sentiranno chiamati in causa e dovranno trovare una soluzione".

"Dei ponti più alti, oppure dei ponti mobili, che si aprono quando passano le navi classe CEMT Va a pieno carico", disse Rebecca, "Dei tunnel sotto il fiume li sconsiglio in una città soggetta alle inondazioni".

Fu dunque possibile pianificare il trasporto dei container tra Bosa e Cagliari via nave, con delle navi di classe CEMT Va capaci di affrontare (con qualche cautela) il mare aperto.

Tra Bosa e Cagliari ci sono circa 170 miglia marine; le navi le percorrevano alla velocità di 5 nodi in 34-36 ore, periodo in cui lo stabilimento consumava 24 container di materie prime e semilavorati, producendone altrettanti di prodotti finiti.

Può sembrare lenta una nave che fa 5 nodi, ma il consumo di carburante di una nave è proporzionale al CUBO della velocità; pertanto, raddoppiare la velocità significa moltiplicare il consumo per 8, triplicare la velocità significa moltiplicare il consumo per 27! Perciò gli armatori preferiscono grandi navi lente a piccole navi veloci, e per loro il modo più economico di raddoppiare la capacità di carico è raddoppiare il numero delle navi al raddoppiare la velocità di quelle che hanno già.

Una nave come l'aveva descritta Juno poteva scaricare a Bosa ad ogni viaggio le materie prime necessarie per tre giorni di lavoro (48 container), e riportare a Cagliari la produzione di quei tre giorni (sempre 48 container). Il periplo Cagliari-Bosa-Cagliari si svolgeva in quei tre giorni, quindi bastava in teoria una sola nave per fare tutto il lavoro - con soli 6 uomini di equipaggio, anziché 24 camionisti alla guida di 12 autoarticolati, ognuno dei quali faceva due volte per notte la spola tra Cagliari e Bosa.

Ma Juno i soldi li stava facendo, e decise di comprare due navi, chiamandole Yakhin e Bo'az, dal nome delle due colonne del Tempio di Gerusalemme [1 Re 7:21] - alternandole nel trasporto dei container tra lo stabilimento di Bosa ed il porto di Cagliari.

Un giorno giunse all'ufficio vendite dell'"Arbor Vitae" uno strano ordine: 96 container "High Cube" carichi di attrezzature per arborizzare le placente da consegnarsi a Parigi entro un mese.

Zhong Mingchen, la responsabile della flotta dell'Arbor Vitae disse: "Se abbiamo il materiale, lo possiamo consegnare nel tempo previsto. Ma non portandolo a Cagliari - portandolo a Marsiglia".

"Ma ... le nostre navi sono fluviali", osservò Juno, "Lo reggono il difficile mare tra Bosa e Marsiglia?"

"Sì. L'autonomia (60 ore di navigazione a 5 nodi) è sufficiente per affrontare le circa 230 miglia marine tra Bosa e Marsiglia. Poi il committente ci dirà se vuole che portiamo noi la merce fino a Parigi risalendo i fiumi ed canali navigabili francesi, oppure se dobbiamo trasbordarla su un treno merci".

"Hai già deciso?", chiese Rebecca, e Mingchen rispose: "In Cina ho fatto cose più difficili".

"E sia", disse Juno, "Ma come facciamo a far passare una nave con 96 container sotto il ponte della provinciale per Alghero?"

"I primi 48 container li carichiamo a monte del ponte, come facciamo sempre", disse Mingchen, "Poi facciamo uscire la nave e la ormeggiamo a valle del ponte; poi portiamo lì gli altri container con gli autoarticolati, e con un carroponte li carichiamo sulla nave. Non facile, ma possibile".

William acconsentì a mandare i vigili a dirigere il traffico tra lo stabilimento ed il molo sull'estuario del fiume Temo, a scanso di incidenti, ma volle che il caricamento lo si eseguisse di notte (tra le proteste di Mingchen, che non aveva voglia di illuminare nave e molo come uno stadio di calcio), ed all'alba la nave "Bo'az" fu pronta a partire.

Allora Juno e Rebecca chiesero: "C'è posto anche per noi a bordo?"

"L'alloggio c'è, ma il cibo no", rispose Mingchen, "Andate a fare la spesa mentre scaldo i motori".

Mezz'ora dopo, la nave prese il largo, e Juno e Rebecca, ignare della situazione, decisero di prendere il sole nude sul ponte.

Mingchen si avvicinò cautamente a loro e sussurrò: "Gentili signore, non so se è opportuno far pesare al mio equipaggio che voi vi divertite mentre loro lavorano".

Juno rispose: "Scusami, Mingchen, l'equipaggio è tutto di donne (abbiamo fatto la nostra "affirmative action"), e sicuramente lo hai organizzato in turni, vero?"

"Certo. La nave è molto automatizzata e le bastano due persone per turno per navigare".

"Consenti a chi è in turno di riposo di prendere il sole come mamma l'ha fatta", rispose Juno, e Rebecca aggiunse: "Se mia moglie oggettivizza con gli occhi una di loro le tiro le orecchie. Il pudore verrà sostanzialmente, se non formalmente, salvato".

Mingchen riferì all'equipaggio, e tutte approfittarono dell'occasione - erano un gruppo molto affiatato ed era già capitato molte volte di cambiarsi e farsi la doccia insieme, quindi nessuna di loro era una novità per le altre. Anche Mingchen ne approfittò volentieri.

Mentre stavano per arrivare a Marsiglia, giunse un messaggio: il committente aveva venduto il carico ad una società di Kyiv, Ucraina. Il carico ora lo si doveva portare fino ad Odessa, dove sarebbe stato trasbordato su un treno merci.

"Beh, non so se ci basta un mese con questa nave", commentò Mingchen, "Ed in ogni caso occorre prima approdare a Marsiglia e fare rifornimento. Poi traccio una rotta e vediamo quando riusciamo ad arrivare laggiù. Ragazze, ricordate di vestirvi! Si torna nel mondo tessile!"

A Marsiglia, Mingchen tracciò la rotta - poiché la nave "Bo'az", così come la gemella "Yakhin", non era fatta per affrontare il mare in tempesta, la prudenza imponeva di navigare sottocosta, per potersi rifugiare in un porto alle prime avvisaglie di maltempo.

Costeggiare tutta la costa tirrenica fino allo Stretto di Messina, poi risalire la costa ionica fino a Brindisi, e da lì attraversare il mare fino a Corfù, e da lì dirigersi, sempre costeggiando la Grecia, fino al Golfo di Corinto, attraversare il canale, e poi far scalo nelle isole greche dell'Egeo fino ad arrivare ai Dardanelli ed al Bosforo, ed infine risalire il Mar Nero fino ad Odessa avrebbe richiesto più di un mese di navigazione.

"Siamo sicuri che al committente non convenga trasbordare i container su un treno merci qui a Marsiglia, anziché ad Odessa", chiese Mingchen, "E mandare quel merci fino a Kyiv?", chiese Mingchen, ma Juno rispose: "Già suggerito al committente, che ha risposto di no. Non gli costerebbe di meno che pagarci un mese di navigazione fino ad Odessa, ed un altro mese fino a casa, e poiché quel merci dovrebbe per forza passare per la Bielorussia, teme che lì il carico venga confiscato".

"Non è vero", ribattè Mingchen, "Guarda questa carta: l'Ucraina confina ad ovest con Polonia, Slovacchia, Ungheria, eccetera. Passare per la Bielorussia non solo non è necessario, ma allungherebbe inutilmente il viaggio. Il compratore della merce non teme i bielorussi, teme un'altra cosa".

"La nave l'abbiamo caricata noi con la merce prodotta nel nostro stabilimento", rispose Juno, "Ed è merce pulita, per non dire benefica. Mi chiedo chi potrebbe volersene appropriare".

"Chi compra quel materiale si garantisce che nessuno soffra la fame nel suo paese", commentò Rebecca, "E gli ucraini ora hanno molti nemici".

Mingchen annuì convinta, Juno annuì per quieto vivere, e disse: "Mingchen, guadagnamoci anche questo compenso".

"Chiedi un soprassoldo", rispose Mingchen, "ed offri una gratifica alle mie marinaie. I loro turni dovevano durare solo tre giorni, non oltre due mesi".

"Certo", disse Rebecca, che aggiunse: "Juno, se abbandono il mio studio per due mesi perdo tutti i clienti".

"Non ti eri portata tutta l'attrezzatura a bordo della 'Bo'az'?"

"Sì, ed in questi giorni ho finito tutti i progetti che mi sono stati chiesti. Ora devo consegnarli ai committenti, e cercare altre committenze, se vogliamo continuare a mangiare".

"Non voglio lasciare la nave in questa circostanza straordinaria", rispose Juno, e Rebecca disse: "Ti capisco. Senti, se in questi due mesi trovi qualcuna da scopare, metti il preservativo. Torniamo ad essere una coppia aperta finché non torni".

"Salutami le sorelle", rispose Juno, e Mingcheng si permise di intromettersi: "Juno è una donna di buon senso, ma glielo ricordo: niente sesso con la mia ciurma".

"Ovvio", rispose Juno, "Poiché io sono l'armatore, cioè il loro datore di lavoro, rimarrebbe sempre il sospetto che io abbia voluto approfittare della mia posizione di potere nei loro confronti".

"Esatto", rispose Mingchen, "Siamo diventate tutte naturiste, e star nude insieme non implica maggiore intimità dello stare vestite insieme - ma un approccio sessuale non è assolutamente opportuno".

Terminata la conversazione, Juno aiutò Rebecca ad inscatolare le attrezzature del suo studio tecnico, chiamò un taxi e l'accompagnò all'aeroporto (le sue attrezzature avrebbero viaggiato come bagaglio extra), mentre Mingchen spiegava alla ciurma per che viaggio dovevano prepararsi.

In quei giorni in nave, Juno si era reso conto che le marinaie non erano solo donne, ma anche lesbiche, e tutte accoppiate. Essendo in numero pari, la possibilità che una sentisse il bisogno di andare proprio con Juno era minima - anche a prescindere dal divieto imposto da Mingchen.

Rebecca era partita, Mingchen aveva curato la manutenzione ed i rifornimenti della nave, e stabilito che si sarebbe partiti all'alba del giorno dopo. Mentre la ciurma si faceva un giro per Marsiglia, Juno si recò in una strana bottega.

Era la versione più evoluta del sex-shop: lì non si vendevano solo macchinari da applicare ai genitali, ma robot dotati di intelligenza artificiale molto vicini all'ideale dell'etèra greca - e non solo di genere femminile.

La commessa disse: "Hmm ... lei viene qui per la prima volta, e non si è mai registrata nel nostro sito, vero?"

"Esatto. Ho saputo di voi attraverso Google".

"Noi teniamo molto alla soddisfazione del cliente - non solo nel senso più ovvio", rispose la commessa, "Vorrei prenotare per lei un colloquio con la nostra psicologa, che indaghi sulla sua personalità, sui suoi feticci, su quello che si aspetta dai nostri robot".

"Ma io vorrei avere il robot entro stasera", protestò Juno, e la commessa rispose: "Non si preoccupi, la psicologa la riceve fra cinque minuti ed il colloquio durerà un'ora. Sono 100 Euro".

Juno pagò con la sua carta di credito, via WhatsApp avvertì Rebecca di quello che stava facendo (Rebecca rispose: "Quando voi due tornate in Sardegna, presentamela - magari diventiamo amiche!"), ed entrò nello studio della psicologa.

"Buongiorno. Il mio nome è Fatima", si presentò la donna, "Il suo?"

"Juno. A dire il vero sono trans MtF no-op. I miei genitali sono ancora quelli che ho ereditato dal babbo. Le mie mammelle sono state gonfiate con il lipofilling. Come lei vede, tendo ad ingrassare e ne approfitto vigliaccamente".

Fatima sorrise e disse: "Si è depilata tutta col laser, vero?"

"Sì. Ho anche una buona moglie, ma per due mesi devo stare lontana da lei, e ... lei mi ha autorizzato a cercarmi una sostituta, come può vedere qui".

Fatima vide il messaggio, e chiese a Juno: "È solo sua moglie che desidera una donna che abbia una personalità con cui interagire? Non è che lei magari vuole solo una fica con la donna intorno?"

Juno sobbalzò a quelle parole, e Fatima disse: "Lo so, il mio linguaggio è poco professionale e poco educato - ma è giusto che noi esploriamo tutte le possibilità".

"Ehm ... come mi piacciono le tette addosso a me, così mi piacciono su una donna", rispose Juno, "Vorrei una donna sempre molto disponibile, e con cui avere delle conversazioni interessanti di tanto in tanto. La disponibilità val più della conversazione".

"Mi fa rivedere il suo telefonino?", chiese Fatima, che vi lesse i messaggi di Rebecca, ne guardò il ritratto sul suo profilo WhatsApp, e disse: "Sua moglie ha il giusto mix? La soddisfa?"

"Sì, è solo la distanza che mi impone di rivolgermi a voi".

"Qualcosa non mi convince", rispose Fatima, "L'impressione che mi dà sua moglie è che lei abbia una notevole intelligenza, oltreché una sana libido. E lei, Juno, mi fa pensare che dopo una settimana di chiavate alzerebbe bandiera bianca".

"Chiedo cento per avere venti", rispose Juno, e Fatica sorrise dicendo: "È un ragionamento da maschietti. In realtà, a chi sa 'coltivare' il rapporto con la propria donna non mancherà mai il desiderio di lei".

"Che mi propone?"

"Un robot di nuovo tipo. Può leggerle nella mente, ed adeguare la propria personalità alle sue esigenze. Non le viene mai il mal di testa, ma deve essere lei a chiederle di fare l'amore. Per quanto riguarda il seno, di che misura lo vuole?"

Non era domanda da fare - Juno chiese il massimo possibile, ed entro sera il robot fu pronto. La commessa chiese: "Lo vuole a nolo od in acquisto?"

"Quanto costano le due opzioni?"

"Venti euro al giorno oppure diecimila tutti in una volta. Se lei vuole, può fare affitto con riscatto".

"Lo provo due mesi io, un altro mese io e mia moglie, e decidiamo", rispose Juno.

"Dieci per cento di sconto se paga i tre mesi di noleggio anticipati", disse la commessa, e Juno sborsò i 1.620,00 Euro richiesti per un noleggio di 90 giorni.

"Che nome sceglie per il robot?", chiese Fatima, "È importante". Juno telefonò a Rebecca (nel frattempo arrivata a casa sana e salva), che rispose: "Eva. Mi insegni che in ebraico vuol dire 'vita'".

Le batterie del robot (due: una per il cervello, una per il resto del corpo - ricarica completa in otto ore) erano già cariche, ed Eva potè perciò camminare fino alla nave 'Bo'az' tenendo per mano Juno.

Eva fu presentata a Mingchen ed all'equipaggio, che le diede il benvenuto a bordo.

All'ora di cena, mentre tutte quante mangiavano, Eva si sedette accanto a Juno, dopo aver attaccato la spina ad una presa di corrente per ricaricarsi, e converò amabilmente con tutte. Ammise di essere un robot appena inizializzato, e di non avere perciò alcuna esperienza di vita da raccontare, e che lo scopo della sua vita era far felice Juno e le persone che le erano care.

Sfrontatamente, una donna dell'equipaggio le chiese se avrebbe fatto l'amore con lei, ed Eva rispose: "No. Non ti ho scelta al momento dell'acquisto, e non sei tra le persone che sceglierebbe Juno. Possiamo essere comunque buone amiche".

Dopo cena, Juno ed Eva si fecero la doccia, ed Eva chiese: "Lo facciamo?"

"Mi avevano detto che dovevo chiedertelo io".

"Ma tu vuoi sentirti desiderata, Juno. Per questo ho preso l'iniziativa", rispose Eva, e Juno l'accontentò per tutta la notte.

Il mattino dopo qualcuno bussò alla porta, Juno disse: "Avanti", e Mingchen entrò come mamma l'aveva fatta per dire: "Juno, la colazione è pronta. Venite a mangiare con noi".

La stupita Eva guardò Juno, che le disse: "Siamo una nave naturista. Siamo salpate mentre dormivamo, ed al largo rimangono vestite solo le marinaie di turno - per la loro autoprotezione".

"Vuoi che stia nuda anch'io?", chiese Eva, e Juno rispose: "Scegli tu. Nessuna ti dirà nulla in nessun caso".

Eva optò per la "nudità sociale", e così accompagnò Juno nel quadrato, momentaneamente usato come refettorio.

"Dormito bene?", chiese una marinaia, e Juno rispose: "Non più di voi", facendo ridere la ciurma.

"Le piace il mare, signorina Eva?", chiese Mingcheng, ed ella rispose: "Sì - come a Juno. Sarò felice di questa crociera con voi".

Dopo colazione, Juno ed Eva salirono sul ponte superiore, e si misero su una sedia a sdraio - con Eva che attaccò la spina ad una presa di corrente, e Juno che si mise a leggere un e-book.

"Credevo che tu avessi le batterie cariche", disse Juno.

"No, tesoro. Una norma di sicurezza vieta di far l'amore attaccate alla presa di corrente. Non vorrai rischiare di completare la tua transizione, spero!"

Juno scoppiò a ridere, ringraziò Eva, e le disse: "Ho ripensato a quello che hai detto alla marinaia ieri sera: 'Non ti ho scelta al momento dell'acquisto, e non sei tra le persone che sceglierebbe Juno'. Vuoi spiegarti meglio?"

Eva rispose: "Il colloquio con Fatima era solo un pretesto - mentre lei parlava, il nostro computer centrale esaminava la tua mente, ha ricostruito la tua personalità in un profilo, che è stato proposto ai 2 alla 64^ profili di personalità artificiali che la nostra azienda ha generato. Io sono stata quella a cui la tua personalità è piaciuta di più, e mi è stato dato il corpo che piaceva a te. Tu mi hai comprato, ma io ti ho scelta".

"2 alla 64^ vuol dire ..." disse Juno, ed Eva fece il calcolo: "18.446.744.073.709.551.616 - quasi 18 miliardi e mezzo di miliardi di possibili personalità".

"E se nessuna mi avesse scelto?"

"Se fosse accaduto, avrebbe voluto dire che il computer centrale ti considerava intrattabilmente pericoloso per il nostro benessere fisico e psicologico, e l'azienda non ti avrebbe venduto nemmeno uno spillo. Se il computer ci ha chiesto di esprimere la nostra preferenza, vuol dire che non rischiavamo nulla. Certo, ci sono persone più e meno gradite".

"Ed io com'ero?"

"Ti hanno voluto in diverse. Ma io sono stata quella che ti ha voluto di più. Di più non posso dire".

"Posso darti un bacio?"

"Prima stacco la spina. Baci bene. Ora la riattacco".

Juno chiese poi ad Eva: "Se il computer centrale ha ispezionato la mia mente, sa che ci sono stati periodi in cui avevo relazioni multiple, e conto di ricominciare ad avere rapporti con mia moglie quando torniamo a casa ..."

"Questo non mi turba. Non ho scelto solo te, ma anche le tue possibili partner sessuali. Sarei capace di fare anche dei 'partouze' con loro, se a tutte quante piace. Altri profili di personalità sono invece strettamente monogami, e non avrebbero accettato questo", rispose Eva, ed aggiunse, davanti allo stupore di Juno: "Ho già comunicato con Rebecca via Internet - sembra che saremo perlomeno buone amiche, e non ci ostacoleremo a vicenda".

"Sai tutto il mio passato sessuale ...?" chiese timidamente Juno, ed Eva rispose: "Comprese delle sgradevoli molestie quando frequentavi un liceo da maschietto. Acqua passata da molti anni, e cerchi ora di evitare che le donne debbano subire queste cose".

Juno baciò ancora Eva, e tornò a leggere il libro. Eva gli sussurrò qualcosa nell'orecchio, e Juno rispose: "Per farlo, dobbiamo tornare in camera".

Di scalo in scalo, di gioia in gioia per Juno ed Eva, nonché per tutte le coppie di marinaie, la nave arrivò ad Odessa. Approdare non fu un problema (i portuali conoscevano l'inglese), fu un problema invece negoziare con le ferrovie ucraine per procurarsi un treno merci su cui caricare i container da portare e Kyiv.

"Ma non doveva pensarci il compratore?", chiese Mingchen, "Fagli pagare anche il tempo che stiamo qui in porto senza poter scaricare i container. Lui sapeva quando saremmo arrivati qui, e ci siamo arrivati con venti minuti di ritardo. Non ha scuse per non averci prenotato il molo, e non averci fatto trovare su quel molo un treno merci pronto per essere caricato!"

"Si vede che la puntualità da loro non sta di casa", bofonchiò Juno, ed Eva si intromise: "Non penserete che io parli solo il francese e l'italiano! Se mi date un paio d'ore, imparo anche l'ucraino (a forza di googlare sui siti web in quella lingua), e vi accompagno alla direzione dello scalo portuale delle ferrovie ucraine - e così riusciamo a procurarci questo famoso treno merci!"

Così fu. La direzione delle ferrovie obbiettò che non erano in grado di far viaggiare un merci di 96 vagoni (uno per ogni container "High Cube" caricato sulla nave "Bo'az"), e proposero di far viaggiare quattro treni merci da 24 vagoni l'uno fino a Kyiv - vollero essere pagate sull'unghia, e Juno ed Eva pretesero dal compratore della merce un bonifico istantaneo a copertura inoltre di tutte le spese.

Nel tardo pomeriggio, la banca confermò l'accredito, Juno pagò il dovuto, ed i portuali ed i ferrovieri cominciarono il trasbordo dei container - all'alba la nave era vuota, i treni carichi, ed uno alla volta si incamminarono verso Kyiv.

La missione era compiuta; Mingchen, con l'aiuto di Eva, trovò dei carichi da portare nei numerosi porti in cui avrebbero fatto scalo (perché viaggiare vuoti a proprie spese, quando era possibile viaggiare carichi e spesati?), ed il mattino dopo ripartirono.

Dopo un mese di viaggio, caricando e scaricando container in molti porti del Mar Nero e del Mediterraneo, la nave Bo'az tornò a Bosa.

I giornali sardi descrissero il viaggio come un'impresa eroica, mentre i giornali nazionali mostravano come le placente arborizzate create con le macchine ed i farmaci di Juno stavano aiutando l'Ucraina a riprendersi dalla guerra contro la Russia.

Juno presentò Eva a sua moglie Rebecca, sua sorella Hera, le sue cognate Debora e Giaele, le sue amiche Xiuhe e Yemoja, le sue figlie Lia, Sara, Rachele, e le gemelle siamesi Edna ed Ester - e ne furono tutte favorevolmente impressionate. Tutte sapevano il perché dell'acquisto, ma ciò non le turbò, e dopo una sontuosa cena vegana kasher e naturista nel ristorante Pardes Rimmonim (per quella sera decisero di non ricevere il nutrimento dalla loro placenta arborizzata), lasciarono che Juno e Rebecca ristabilissero l'intimità da lungo tempo interrotta.

Eva prudentemente preferì "dormire" da sola; le figlie siamesi di Hera, Edna ed Ester le proposero di dormire con loro, ma Eva prudentemente rispose: "Un'altra volta, grazie. Per entrare nelle grazie della vostra famiglia devo scegliere un'altra strada".

Il mattino dopo Juno, Rebecca ed Eva fecero colazione insieme (Eva, ovviamente, non mangiava - teneva la spina nella presa per ricaricarsi), e Rebecca disse ad Eva: "Sono contenta di vedere che dal vivo sei come via Internet, e questo mi è piaciuto molto. Vorrei chiederti che intenzioni hai ora".

"Ricordo che Juno mi ha noleggiato per tre mesi", rispose Eva, "E quindi fra un mese deve decidere se tenermi o restituirmi. La vostra decisione è più importante della mia".

"Se io ti restituissi, che ti accadrebbe?", chiese Juno, ed Eva rispose: "Verrei azzerata. La mia personalità verrebbe privata di tutte le esperienze ed i ricordi che ho avuto finora, ed il mio corpo distrutto. Ne rimarrebbe solo un estratto a disposizione del computer centrale, per migliorare le personalità dei futuri robot. Potrò scegliere un nuovo cliente, che a sua volta sceglierà per me un nuovo corpo - ma lui non deve assolutamente ricevere nulla di materiale od immateriale da voi. Anche per la vostra privacy".

"Rebecca, non sarebbe un peccato?", chiese Juno, e Rebecca disse: "È una donna bella, intelligente e simpatica, ma deve meritarsi la sopravvivenza!"

Eva aggrottò le sopracciglia, quasi atterrita, e volse lo sguardo a Juno, che però la volle tranquillizzare: "Mia moglie quando parla così vuol dire che ci sta seriamente pensando! Non ti preoccupare, hai delle ottime possibilità".

"Vi avverto che non potete rivendermi", disse Eva, e Juno commentò: "Già, è vietato dal contratto. Il fabbricante teme che un robot che abbia avuto tanti padroni diventi ingovernabile".

"Non succederà, Eva", disse Rebecca, che aggiunse: "Ti faccio vedere la casa e la stanza in cui vivrai", prese Eva per mano, e la portò in giro per la casa.

La stanza di Eva aveva solo un letto matrimoniale "King Size", con due belle prese di corrente ai lati, e Rebecca le spiegò: "Sceglierai tu l'arredamento. Il lettone serve intanto per ..."

Eva non la lasciò finire: la abbracciò, la baciò in bocca, e loro due (già nude come d'abitudine in casa), si gettarono sul letto - Juno sapeva quello che sarebbe successo, ed aveva preferito uscire per andare a trovare la sorella Hera, che la sera prima aveva lasciato intendere di soffrire di 'solitudine'".

Come previsto già dal momento dell'acquisto, Eva col tempo finì per fare l'amore (separatamente e talvolta insieme) con tutte le donne che aveva amato Juno, più le figlie di lei - dalle quali Juno si era sempre prudentemente astenuta.

Lo fece perché le piaceva l'amore, e le piacevano le donne con cui lo fece, ma questo le guadagnò il voto unanime di tutte per riscattarla e non restituirla. Tutte le trasmisero ciò che sapevano di diritto, ingegneria, neuroscienze, letteratura, psicoanalisi, ed Eva si guadagnò il pane (forse sarebbe meglio dire "i Kilowatt") aiutando Rebecca nel suo studio di ingegnera.

[Fine]